Una chiesa che forma. Oltre la catechesi, prassi e criteri per una formazione possibile in parrocchia

Quale formazione è possibile in parrocchia? È questa la domanda che fa da perno al seminario-laboratorio proposto nell’aa 2023/2024 dall’indirizzo di Teologia pastorale del ciclo di licenza della Facoltà teologica del Triveneto, dal titolo Una Chiesa che forma. Oltre la catechesi, prassi e criteri per una formazione possibile in parrocchia.
A partire dall’ascolto di due esperienze di comunità cristiane (Piove di Sacco in diocesi di Padova e Borgo Sacco in diocesi di Trento) dove la scelta formativa sta cambiando il volto di parrocchia e sta generando nuove forme di Chiesa, il percorso proporrà approcci di taglio antropologico (Lucia Vantini), catechetico/formativo (Enzo Biemmi) ed ecclesiologico (Livio Tonello). Seguirà il lavoro degli studenti a gruppi su alcune pratiche pastorali utilizzando i criteri maturati nel seminario, da cui verranno raccolte indicazioni per (ri)pensare la prassi ecclesiale.

Le parrocchie, di fatto, oggi non riescono a generare alla fede e se comunità cristiana e annuncio del vangelo sono strettamente unite, si aprono alcune domande di fondo, che il seminario affronterà e di cui abbiamo parlato con don Rolando Covi, che assieme ad Assunta Steccanella coordina la proposta.

La Chiesa è a servizio della vita delle donne e degli uomini di questo tempo, prima che di una struttura ecclesiale. Quale credente, e ancora prima quale persona adulta, desideriamo formare?
«Le proposte formative da cui proveniamo sono mirate a preparare soprattutto persone qualificate in vista di un servizio nella chiesa: si pensi alla formazione nei seminari, sulla quale per lo più viene declinata anche una buona parte della formazione ai ministeri battesimali. La domanda posta invece è sanamente spiazzante, perché fa risuonare la frase di Gesù: “la tua fede ti ha salvato”. Al centro sta la fede e la fede adulta (non solamente quella dei bambini) ed è proprio ciò per cui siamo meno attrezzati. Il desiderio è quello di accompagnare, ministri ordinati e non, verso l’esperienza del discepolo-missionario: colui che accetta, in ogni momento, di ricevere, sempre nuova, la rivelazione del volto di Dio da parte di Gesù e per questo scopre la possibilità di raccontarlo con la sua vita. Per dirla con un’immagine, è la gioia di essere pienamente umani, secondo l’esperienza umana di Gesù, che qualifica un credente».

Le parrocchie, come gli istituti accademici, offrono proposte formative: sono pertinenti per generare alla fede?
«Nelle parrocchie spesso la formazione converge su alcuni corsi per settori (il corso per i catechisti, per i ministri della comunione, per i volontari Caritas, per gli animatori del Grest…); da parte loro, gli istituti accademici faticano ad avere un legame reale con la vita di una comunità. In entrambi i casi, la persona esce con un bagaglio di sole informazioni, tendenzialmente poco abituata a lavorare su di sé e con gli altri. Il cammino sinodale ci sta aiutando a riconoscere le “storie di chiesa” di ciascuno come il primo luogo formativo e ad accompagnare questo vissuto con l’esperienza della Tradizione. In sintesi, sia in parrocchia che nei luoghi accademici siamo chiamati a riscoprire la scelta di Gesù: non una scuola rabbinica, ma una comunità che riconosce nella vita la presenza di Dio».

Quale figura di formazione è necessaria?
«Da alcuni anni si è affacciato nei contesti ecclesiali il termine “laboratorio”: il rischio, come spesso accade, è che questa espressione, pur corretta, sia caricata della soluzione di ogni problema e così non si mette mano al sistema. Il primo passo invece è vivere una comunità educativa e questo non solo in parrocchia ma a partire dal livello accademico, tra docenti, perché si possa proporre ciò che per primi si è vissuto. In secondo luogo, ogni formazione deve tener conto dell’esperienza di fede dell’educando, in maniera strutturale, non come strategia. In terzo luogo, la formazione deve avere come obiettivo non la preparazione di un esperto, ma l’accompagnamento di un credente dentro una comunità. Il lavoro di ascolto tra i partecipanti è un punto nodale. Nelle realtà accademiche francofone, ad esempio, si preferisce per questo il metodo seminariale rispetto alle lezioni frontali. La sfida è prendere atto che la fede è una narrazione viva e non può che continuare con questa forma, accettando la fiducia che Dio nutre nei confronti degli uomini e delle donne che la trasmettono, anche con i loro errori».

La forma della parrocchia, preziosa per il suo legame con il territorio, è in crisi di missionarietà: dove è possibile riconoscere segni di miglioramento?
«Il rapporto della parrocchia con il territorio non ha sempre avuto la stessa forma: da comunità attorno al vescovo, a centro eucaristico attorno alla pieve o al monastero, fino al legame con ogni porzione di terra, come lo conosciamo oggi. La mobilità attuale delle persone è un invito a riscoprire il rapporto con il territorio umano, più che con quello geografico. Una parrocchia diventa missionaria quando al centro non mette il tentativo, spesso inconscio, di conservare e autopreservare l’esistente, ma il servizio alla vita delle persone, nelle loro crisi reali, sia per eccesso che per difetto. Le persone hanno già una vita piena, non chiedono che sia riempita ulteriormente: cercano invece un aiuto perché quella vita abbia senso. Dove questo accade, anche con esperienze umili, semplici e sostenibili, allora si respira la gioia della missione».

Quale figura di comunità cristiana può creare le condizioni per una crescita nella fede?
«La chiesa dei primi secoli, a carattere domestico, con una forte connotazione relazionale, ha rappresentato in pochi anni la forza missionaria del cristianesimo. Nelle nostre parrocchie, invece, per prendere un esempio, volontari e preti vivono fianco a fianco, con grande generosità, senza conoscere la storia di fede gli uni degli altri, salvo scoprirla con stupore al momento del cambio del parroco o di un funerale. I giovani ci stanno aiutando e abbiamo bisogno di ascoltare la loro voce: ci stanno chiedendo comunità fraterne, dove la riscoperta della Parola di Dio – con gruppi dedicati, ma anche con modalità più feriali – diventa il primo passo per una liturgia più partecipata, una carità più diffusa e non delegata a pochi, una casa che, come abbiamo scoperto durante la pandemia, vive gesti di fede dentro la vita quotidiana».

Paola Zampieri

Il seminario-laboratorio Una Chiesa che forma. Oltre la catechesi, prassi e criteri per una formazione possibile in parrocchia, si terrà il martedì, dalle ore 14.15 alle 16.45, a partire dal 26 settembre 2023 (primo semestre 26/9/2023 – 20/12/2023; secondo semestre 20/2/2024 – 29/5/2024).

Info tel. 049-664116, [email protected]

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(Facoltà Teologica del Triveneto)