20 Febbraio: 1910 1° partita del Padova, 1949 Padova-Torino 4-4, 1979 40 anni fa ci lasciava Nereo Rocco

Estratto Fonte: Andrea Miola per Il Gazzettino
Due eventi e una persona legata a doppio filo ai colori biancoscudati regalano un sapore particolare alla giornata di oggi. Il 20 febbraio 1910 si è innanzitutto disputata la prima storica partita del Padova, ventidue giorni dopo la sua nascita al Bar Borsa in piazzetta delle Garzerie per iniziativa del Barone Giorgio Treves de’ Bonfili. Avversario di quell’amichevole, giocata al campo di via Belzoni poi intitolato a Walter Petron, l’Hellas Verona. Finì con un pareggio a reti bianche e per il Padova scesero in campo Tessari, Bellavitis, Venturi, Cristofoletti, Pedrina, Treves (presidente e pure allenatore), Luise, Canè, Terrabujo, Pozzi e Ceresa.
Di quella ormai lontana sfida non è in vita alcun testimone, al contrario di un’altra che risale a più di settanta anni fa, considerata la più prestigiosa, divertente e rocambolesca della tradizione biancoscudata. il 20 febbraio 1949 scendeva infatti in campo all’Appiani il Grande Torino poche settimane prima del disastro aereo di Superga avvenuta il 4 maggio e che segnò la tragica fine di quel mito. L’epica partita all’ombra del Santo si chiuse con il risultato di 4-4, co il Padova avanti di due reti grazie alla doppietta di Checchetti, raggiunto da Ossola e Castigliano e poi autore di altri due gol con Vitali prima dell’intervallo e Fiore. Ci pensò infine Romeo Menti, a segno al 26° e al 42° della ripresa, a ristabilire il definitivo equilibrio. E per capire lo stile, la classe e l’umiltà di quei campioni, in un mondo del calcio lontano anni luce da quello attuale, i calciatori granata finita la partita si recarono a piedi al campo di via Belzoni per rendere omaggio con un mazzo di fiori e una preghiera, mischiati alla gente comune, a Walter Petron, che aveva giocato in entrambe le squadre ed era deceduto il 21 marzo 1945, colpito dalla scheggia di una bomba nella vicina via Loredan all’età di 27 anni.
Oggi infine ricorre l’anniversario della morte di Nereo Rocco, l’allenatore scomparso il 20 febbraio 1979 simbolo e artefice degli anni d’oro del Padova culminati con il terzo posto in Serie A nel campionato 1957/58. Da giocatore il Paron indossò la casacca biancoscudata tra il 1940 il 1942, collezionando 47 presenze e segnando 15 gol. Come tecnico subentrò nel 1954 alla 24 giornata al dimissionario Piero Rava, ottenendo un’insperata salvezza in Serie B. Nel successivo campionato la promozione in Serie A e poi sei storiche e fortunate stagioni in massima serie (204 panchine) negli anni in cui l’Appiani, diventato per tutti la Fossa dei Leoni, era uno spauracchio anche per le formazioni più titolate. Un fortunato connubio quello tra Rocco e Padova, con i contorni della leggenda anche grazie ai anti aneddoti, miti e frasi celebri tramandate dai testimoni di quegli anni. Peccato non averli vissuti di persona.


Estratto Fonte: Nino Minoliti per La Gazzetta dello Sport

(…) Il “Paron” è diventato in assoluto il tecnico più vincente nella storia del Milan ben prima che arrivasse il ciclone Berlusconi, con la sua potenza economica e la sua capacità di innovare. (…) Si capisce come la figura di Rocco sia l’archetipo di un modo d’intendere l’allenatore ben presente anche ai giorni nostri e che si contrappone a sua volta a un’altra filosofia, che potremmo definire “Sacchiana” (…).

In un certo senso, Rocco è stato infatti il «papà» di tutti quei tecnici che declinano il loro mestiere in primo luogo dal lato umano e psicologico.(…) Rocco non era laureato, ma ero uno psicologo nato: non si spiegherebbe altrimenti come sia stato capace di rilanciare campioni sul viale del tramonto o in crisi (Hamrin, Cudicini, Chiarugi) e valorizzare allo stesso tempo giovani di grande talento (Rivera e Prati su tutti). Tra una battuta in triestino, una partita a carte, un bicchiere di vino, un rimprovero da finto burbero, era capace di ottenere il massimo dai suoi, giovani e vecchi, parlando prima agli uomini e poi ai giocatori, che alla fine per lui si sarebbero buttati nel fuoco.

Chi sono nel calcio di oggi i suoi eredi? Marcello Lippi, che costruì il Mondiale del 2006 proprio sulla forza dello spogliatoio, che lui aveva totalmente in mano. Carlo Ancelotti, che ha lasciato affetto e rimpianti ovunque. Vicente Del Bosque, impareggiabile nel mettere insieme le stelle del Real Madrid e quelle della nazionale spagnola, usando saggezza e bonomia. Jupp Heynckes, l’anima del Bayern, che rappresenta la versione tedesca dei primi due. Così come prima di loro Nils Liedholm, capace di stemperare ogni tensione con l’arma dell’ironia, aveva costituito una specie di «modello nordico».

Poi c’è l’altra scuola, che volendo, con una specie di forzatura storica – che poi tanto forzatura non è visto che la figura dell’allenatore s’impose grazie al suo essere personaggio e alla sua facondia retorica – si potrebbe far risalire a Helenio Herrera, l’architetto della Grande Inter che negli anni Sessanta stava all’opposto di Rocco. Rigore, disciplina, attenzione maniacale al dettaglio, il singolo al servizio del collettivo (alla fine di ogni stagione chiedeva ad Angelo Moratti la cessione del ribelle Mario Corso, restando puntualmente deluso…). In questo senso, nel calcio moderno è stato il rivoluzionario Sacchi a far diventare dottrina questa concezione.(…) Ma, per tornare da dove eravamo partiti, certe lezioni, come quella di Rocco, non invecchiano mai.


Padova, domenica 20 febbraio 1910

PADOVA-VERONA 0-0

PADOVA: Tessari, Bellavitis, Venturi, Cristofoletti, Pedrina, Treves, Luise, Canè, Terrabujo, Pozzi, Ceresa.

VERONA: Forlivesi, Bianchi, Masprone, Liniger, Guarda, Orlandi, Cavalleri, Baschieri, Benini, Ferrari, Vigevani.
Arbitro: Sterle di Padova


Stadio Appiani, 20 febbraio 1949
PADOVA-TORINO 4-4

Reti: 22’ e 26’ Checchetti (P), 36’ Ossola (T), 39’ Castigliano (T), 45’ Vitali (P), 52’ Fiore (P), 71’ e 87’ Menti (T)
PADOVA: Luisetto, Sforzin, Arrighini, Rolle, Quadri, Zanon, Vitali, Celio I, Checchetti, Matè, Fiore. Allenatore: Serantoni
TORINO: Bacigalupo, Ballarin, Moroso, Castigliano, Rigamonti, Martelli, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. Allenatore: Lievesley
Arbitro: Gemini di Roma

Alcune pagine di storia rimangono indelebili, per l’eternità. Intrise di una strana magia che mai nessun racconto scritto, mai nessuna fotografia o filmato riusciranno a raccontare con la stessa intensità di un ricordo vissuto.
Domenica 20 febbraio 1949, in una Padova illuminata da un timido sole invernale, in uno Stadio Appiani d’altri tempi, stipato all’inverosimile, scesero in campo due squadre. I biancoscudati allenati da Piero Serantoni (ma con Tansini in panchina in quell’occasione), appena ritornati in Serie A, all’inizio di una favola calcistica che sarebbe sbocciata presto. Al loro cospetto, il Torino. Anzi, no, il Grande Torino. Quello capace di vincere cinque titoli nazionali consecutivi, quello in grado di regalare per lungo tempo nove undicesimi alla Nazionale Azzurra. Quel Toro senza eguali e mai dimenticato, che uno schianto sulle colline di Superga si portò via nel maggio dello stesso anno, dopo un volo di ritorno da un’amichevole trasferta a Lisbona.
Così lo ricordava la bandiera Gastone Zanon (scomparso nel 2016), biancoscudato per 270 partite, quel 20 febbraio 1949 ebbe l’onore (e l’onere) di fronteggiare i granata più forti di tutti i tempi. “Quello era davvero un Grande Torino. Una squadra di quelle che attaccava e difendeva in 11, dando l’impressione di mantenere sempre il possesso della palla. Nella partita d’andata a Torino siamo andati in vantaggio sul finire del primo tempo, con Adcock. Ad un quarto d’ora dalla fine eravamo ancora sull’1-0, ma in pochi minuti una doppietta di Ossola ed il gol di Mazzola portarono il Toro sul 3-1. Quel 4-4 nella partita di ritorno fu entusiasmante. La forza di quella squadra rimarrà sempre impressa nella mia memoria. Fu una partita spettacolare. Gare del genere, oggi, non se ne vedono più”.

Il Padova passò in vantaggio dopo una manciata di minuti, segnando in rapida successione con il miglior marcatore di quella stagione, Checchetti. Due a zero dopo 26 giri di lancette, con l’Appiani in fermento ed il Grande Torino preso per le corna. Poche illusioni, però: tra il 36’ ed il 39’, Ossola e Castigliano ristabilirono la parità. I biancoscudati ripresero ad attaccare, a testa bassa, con la Fossa dei Leoni ribollente ad ogni passaggio alla ricerca della zona d’attacco. Vitali fu ancora decisivo, poco prima che Gemini di Roma mandasse le squadre negli spogliatoi. Il primo tempo si chiuse sul 3-2. Per il Padova.
Chissà cosa devono avere immaginato i tifosi stipati sulle gradinate dell’impianto di Via Carducci. Il Padova, avanti di un gol sul Grande Torino, scese in campo agguerrito per la ripresa. E quasi subito segnò il 4-2, con una prodezza di Fiore ed il sogno di battere i Campioni granata lì a due passi. Al 71’ e poi all’87’, ad un soffio dallo scadere, la doppietta di Romeo Menti, ristabilì la parità.

Padova-Torino 4-4 scrisse una pagina di storia, evento storico in una gara spettacolare, entusiasmante, espressione compiuta della grandezza di un calcio che di lì a pochi mesi sarebbe scomparso tra le fiamme di un aeroplano. Il velivolo che trasportava il Grande Torino, il 4 maggio del 1949 si schiantò contro i muraglioni di sostegno del giardino posto sul retro della Basilica di Superga, sulle colline circostanti Torino, avvolte da un’insolita nebbia. Fu l’epilogo di un viaggio di ritorno dalla città di Lisbona, dove i granata avevano giocato un’amichevole contro il Benfica, per festeggiare l’addio al calcio di un campione locale.
Eccola qui, l’ultima pagina dei granata più forti di sempre: epilogo bagnato dalle lacrime della storia di una squadra che in Italia non ha avuto eguali, motivo d’orgoglio una città e migliaia di tifosi. Oltre che per una Nazione intera, che pianse il Grande Torino come si piange un figlio che non c’è più.

Fonte: Bianscudati.net

Il Grande Torino ricorda Walter Petron

(Calcio Padova)