E se l’articolo 18 fosse solo un pretesto?

L’articolo 18 è davvero il cuore del problema? La rendicontazione dei dati sull’occupazione pubblicati lo scorso gennaio hanno mostrato come nelle PMI il tasso di crescita annuo dei nuovi posti di lavoro è stato dell’1% rispetto allo 0,2 delle grandi industrie; di questa crescita , circa il 60% proviene dalle microimprese con meno di 10 dipendenti, dove quindi di articolo 18 non se ne percepisce nemmeno l’odore… A questo si aggiunga che, fatto 100 il numero di cause legate a licenziamenti, il 75% si conclude con una transazione economica, proprio quello che l’attuale Governo vuole rendere prassi. Ma allora perché tanta conflittualità?, in primo luogo per la presenza di attori ostaggi della conflittualità sociale perenne, da cui traggono non solo forza ma anche ricchezza (invitiamo a leggere i bilanci dei sindacati), in secondo luogo perché il mercato del lavoro è stato irrorato dalla prassi della raccomandazione e del clientelismo a discapito della meritocrazia, in cui anche l’ultimo dei dipendenti ha paura di perdere il suo piccolo privilegio, in ultimo la perdita di uno degli strumenti della politica più utilizzato , il baratto di voti per il posto fisso.

Quello che effettivamente lascia perplessi è come sia possibile fare una riforma del mercato del lavoro senza predisporre un piano per la crescita. Capisco che l’Europa abbia dato dei compiti da svolgere a casa, ma non credo servisse mettere in piedi il miglior corpo docenti della storia.

La mancanza di crescita porterà necessariamente all’espulsione di forza lavoro e la riforma rischia di andare nella direzione opposta rispetto all’obiettivo di sostegno all’occupazione, risultando un fattore agevolante. L’ascesa dei carburanti e l’incidenza che questo avrà sui prezzi al consumo dei beni, unito al prossimo incremento dell’IVA annunciato per il prossimo ottobre, guarda caso all’avvicinarsi delle tredicesime, non faranno che deprimere ulteriormente i consumi. Ma di misure che ad esempio consentano di drenare l’IVA attraverso  l’aumento delle detrazioni o di meccanismi di crescita per stimolare lo sviluppo delle reti d’impresa al fine di raggiungere quella dimensione che permetta loro di competere sui mercati internazionali (la Germania ha incrementato le sue esportazione del +2,3% ), nemmeno l’ombra. E’ come se di una casa fossero arrivati prima gli arredi delle stesse fondamenta.

Se si tenesse conto del nostro tessuto imprenditoriale e di come questo vada stimolato per la crescita, probabilmente la discussione sulla flessibilità del mercato del lavoro incontrerebbe maggiori consensi, poiché apparirebbe come un elemento integrante di una riforma del sistema economico complessiva non come la risoluzione del compito in classe affidatoci dalla Cancelliera Merkel.

Dal punto di vista imprenditoriale il movimento confindustriale ha espresso un giudizio positivo su tutto l’impianto, ma difatti la pressione fiscale sulle aziende subirà un incremento, perché è chiaro che l’obiettivo di contrazione della spesa pubblica e del pareggio di bilancio che il Governo persegue non viene affrontato strutturalmente ma solamente scaricato su altri settori. La nuova ASPI che sostituirà la cassa integrazione prevede un’addizionale del 1,4% per i contratti a tempo determinato, che dovrebbero essere i nuovi contratti d’ingresso al di fuori dell’apprendistato. Considerando che la stragrande maggioranza delle nuove assunzioni sarà di questa fattispecie, si comprende come la maggior parte delle entrate contributive siano in questo ambito. A questo si aggiunga l’attacco alle forme di collaborazione con  Partita Iva che spesso vanno sotto il nome di Temporay Management, le quali nei Paesi del Nord Europa vengono incentivate proprio perché alleggeriscono i costi all’impresa permettendo però di avere competenze di alto livello necessarie alla crescita , nel nostro vengono osteggiate perché non garantiscono il gettito fiscale ricercato. Viene quindi il sospetto che si stia agendo con una visione da contabili e non da governanti. Si approvano manovre che tendono ad accrescere il gettito da una parte e diminuire la spesa dall’altra. Si stabiliscono misure, come quella sull’utilizzo della moneta elettronica, con vantaggio per il sistema bancario, che oltre depositare i fondi BCE senza concedere credito, riceve un bel dono di redditività proveniente dalle commissioni sui pagamenti e nulla si dica sulla possibilità di detrazione per i redditi sotto una certa soglia.

Queste sono le perplessità su riforme che  tutto fanno meno che quello di stimolare l’economia nazionale.

 

Luigi Del Giacco

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