Dalla strada all’integrazione. Le risposte del privato sociale per favorire l’uscita dal racket

Pubblichiamo la terza e ultima parte dell’inchiesta curata dalla nostra Alessandra Franceschi sul fenomeno della prostituzione di strada a Padova (segue dalla seconda parte dell’inchiesta). Pubblichiamo la terza e ultima parte dell’inchiesta curata dalla nostra Alessandra Franceschi sul fenomeno della prostituzione di strada a Padova (segue dalla seconda parte dell’inchiesta).

Il contatto sulla strada e l’ascolto

Con lo scopo di ridurre il danno dal punto di vista sanitario, ma soprattutto umano, si muove a Padova, nell’ambito del privato sociale, l’Associazione Mimosa. Prima tra le associazioni padovane a occuparsi della prostituzione di strada nasce nel 1996 con lo scopo di aiutare le ragazze vittime della tratta e della riduzione in schiavitù, specializzandosi poi nel “contatto in strada” e strutturando nello stesso tempo un insieme di servizi capaci di rispondere alle necessità delle persone che incontrano.

Grazie all’attività dell’Associazione di monitoraggio delle presenze in strada è possibile avere un quadro del fenomeno della prostituzione in città. Gli operatori percorrono le strade del sesso con l’“unità di strada”, un camper per mezzo del quale creano il primo contatto con le ragazze. La ricerca del contatto ha delle finalità sia immediate sia a lungo termine. Quelle immediate sono di tipo informativo-sanitario sui pericoli di rapporti sessuali non protetti e di supporto fisico attraverso l’offerta di preservativi, gel umettanti, detergenti intimi, salviettine antibatteriche con lo scopo d’insegnare la cura della persona e le più elementari norme igieniche. Quelle più lontane nel tempo si basano su un rapporto di fiducia creato con le ragazze durante gli incontri in strada e necessario per passare alla fase successiva, cioè l’accompagnamento socio sanitario e l’inserimento nella rete dei servizi territoriali rivolti alla prevenzione della diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili. Ovvio che i momenti dell’accompagnamento sanitario, lontani e liberi dal contesto della strada, possono far emergere dei bisogni delle ragazze altri da quelli della tutela della salute, a esempio la fuoriuscita dalla prostituzione. Questo desiderio, però, deve nascere spontaneamente nelle ragazze.

Gli operatori di Mimosa, nel rispetto delle persone e delle loro volontà non scendono in strada con l’intenzione di dire alle ragazze “guarda che sei sfruttata, ti tiriamo via noi dalla strada”, ma per supportarle senza giudicare e per ascoltarne i bisogni. La finalità salvifica è propria di associazioni di stampo religioso come l’associazione “Giovanni XXIII” di Don Benzi, il quale rifiutava l’idea di una prostituzione “volontaria” praticata per poter comprare una casa o mantenere la famiglia in patria. Una filosofia di questo tipo limita i risultati poiché raggiunge solo quelle donne realmente sfruttate. Mentre la filosofia non giudicante di Mimosa riesce a guadagnare più persone, perché aiuta nella riflessione di che cosa significhi il rispetto di se stessi.

Il percorso sociale di fuoriuscita delle ragazze dal racket della prostituzione è strutturato in fasi precise e ben delineate Il privato sociale che opera a Padova nell’ambito dell’integrazione sociale delle persone di strada è composto da diverse realtà, ognuna delle quali ha circoscritto il proprio campo d’azione in una di queste fasi.

Oltre all’Associazione Mimosa, un altro ente che svolge attività di ascolto è la Caritas Diocesana di Padova, strutturando fin dalla fine degli anni ’90, uno sportello sociale di ascolto rivolto alle vittime della tratta. La Caritas non svolge un’attività in strada, ma interagisce con le ragazze o dietro segnalazione di altre associazioni o della Questura. Spesso è la Questura che interpella gli operatori della Caritas o a seguito di una retata o di casi specifici, a esempio di fronte a minori.

Molto importante per le associazioni che si occupano della prostituzione di strada è la collaborazione e lo scambio d’informazioni con l’Unità Mobile della Questura, è impensabile lavorare in quest’ambito senza questa cooperazione.

Si rivolgono alla Caritas per chiedere informazioni su come intraprendere un percorso sociale di fuoriuscita dalla prostituzione soprattutto ragazze nigeriane, le uniche ancora molto sfruttate e più ghettizzate. Le ragazze dell’Est sono abbastanza soddisfatte dei loro guadagni per desiderare di cambiare vita, per loro, l’articolo 18 non è più attraente, soprattutto per rumene e bulgare che non necessitano più del permesso di soggiorno.

A volte le ragazze nigeriane prima di indirizzarsi alla Caritas provano a uscire da sole dalla prostituzione intraprendendo lavoretti saltuari, ma senza altri supporti. Poi, quando vedono che non ce la fanno, che il permesso di soggiorno è lontano allora si rivolgono alla Caritas, ma a volte è troppo tardi per poter usufruire delle possibilità dell’articolo 18.

L’iter seguito alla Caritas è questo: dopo aver fornito le informazioni sul significato di un percorso di fuoriuscita, le ragazze che decidono d’intraprendere il percorso devono prima affrontare un colloquio per capire se esistano le condizioni di applicabilità dell’articolo 18, se queste vi sono, allora scatta l’accoglienza immediata. Le strutture di accoglienza immediata, le “case di fuga”, dove le ragazze si rifugiano per i primi 10 –15 giorni, sono un momento necessario per capire l’effettiva volontà delle ragazze di cambiare vita. Le case di fuga sono gestite dalle suore Francescane dei Poveri, attraverso il Progetto Miriam, progetto che ha anche strutturato e organizzato uno sportello di ascolto in collaborazione con Caritas e negli stessi locali.

Alla Caritas hanno spiegato che tra le 60 richieste annue di prime informazioni, circa 20 – 25 ragazze decidono per la prima accoglienza e poi per il percorso di fuoriuscita dalla prostituzione.

L’accoglienza

Il percorso di fuoriuscita dalla prostituzione si basa sull’elaborazione di un Progetto Personalizzato finalizzato all’autonomia e concordato con la diretta interessata. Il progetto prevede: controlli sanitari, la regolarizzazione amministrativa, la rielaborazione del vissuto personale sulla strada, il sostegno psicologico, la definizione di momenti di scolarizzazione, la formazione lavorativa e un successivo primo inserimento nel mondo del lavoro.

In città si occupano dell’accoglienza due associazioni: l’Associazione Mimosa e l’Associazione Welcome. Il “percorso di accoglienza” inizia con l’inserimento della ragazza in un appartamento di prima accoglienza a conduzione familiare, dove essa vivrà a fianco di altre ragazze e di un operatore dell’associazione. Costui avrà la mansione di controllore delle ragazze e di sostegno nei momenti di difficoltà e sconforto. La permanenza in queste prime residenze ha una durata di 5 – 6 mesi. Dopo questo periodo di tempo la ragazza inizia una nuova fase del proprio percorso verso l’autonomia trasferendosi in altre strutture abitative gestite in semi-autonomia e definite in gergo “appartamenti di sgancio”. In questi appartamenti, amministrati dalla Cooperativa Nuovo Villaggio, l’operatore non sarà più coinquilino delle ragazze perché queste dovranno sperimentare le proprie capacità di autonomia, soprattutto dal punto di vista lavorativo. La scelta della professione viene fatta in base alle capacità e alle propensioni di ogni ragazza. In questa scelta le ragazze sono aiutate dagli operatori di altre due associazioni padovane, l’Associazione Fraternità e Servizio e la Progetto Elle, le quali gestiscono dei laboratori protetti dove le donne hanno la possibilità di apprendere il lavoro per cui sono più predisposte.

Vista la funzione strategica di ogni associazione nella comprensione e nella limitazione del fenomeno, nel 2005 è nato in modo spontaneo un “tavolo di coordinamento” di queste associazioni come momento di confronto e di dialogo tra tutti coloro che si occupano della prostituzione di strada. Dal 2007 il Settore Servizi Sociali del Comune di Padova si è preso l’impegno di fungere da responsabile del Tavolo di coordinamento, visto anche il ruolo dei Servizi Sociali del comune nel fungere da centro di ascolto del disagio della cittadinanza nei confronti del fenomeno.

I clienti e la prevenzione

Non si può tracciare l’identikit del cliente “tipo” delle prostitute di strada. Il cliente tipo è una persona fisicamente normale, può avere moglie e figli, ha un’età compresa tra i 16 e gli 80 anni, appartiene a tutte le classi sociali: è operaio, agricoltore, imprenditore, avvocato, notaio, e, qualcuno mormora, anche prete. Insomma non esiste uno standard, un comune denominatore se non il fatto che chi va con le donne in strada poi frequenta anche gli altri circuiti del sesso a pagamento. Per alcuni uomini si può parlare di una “dipendenza” del sesso a pagamento simile ad altre forme di dipendenza come quella del gioco o dell’alcol, non riesce a farne a meno.

Le motivazioni per cui un uomo chiede prestazioni sessuali a pagamento sono legate a un modo distorto di concepire e vivere l’affettività. Quindi l’unico mezzo per ridurre l’alta domanda di sesso a pagamento, forse, è quello di educare i giovani, i ragazzi proprio a un’affettività “sana”. In questo senso si muovono l’Associazione Mimosa e la Caritas svolgendo un programma nelle scuole superiori di sensibilizzazione alle tematiche dello sfruttamento e delle condizioni di vita delle donne sulla strada, il cui fine ultimo e più importante è quello di educare alle relazioni affettive i ragazzi e anche le ragazze.

La prostituzione è un fenomeno “vecchio come il mondo”, le novità sono la dimensione del fenomeno e l’emergenza umanitaria che ne consegue, e forse è arrivato il momento che la società, nel suo insieme, si interroghi.

Alessandra Franceschi

Un particolare ringraziamento per la collaborazione va a: Associazione Mimosa nella persona di Barbara Maculan,
Caritas Diocesana di Padova nella persona di Sara Ferrari.

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