Epatocarcinoma, Scartozzi (UniCa): “Con immunoterapia vivo 1 paziente su 4 a 4 anni”

(Adnkronos) – Nel trattamento dell’epatocarcinoma, che rappresenta il 79% delle diagnosi di tumore al fegato, “Aifa ha approvato la rimborsabilità del nuovo regime Stride (Single Tremelimumab Regular Interval Durvalumab) basato su due farmaci immunoterapici, durvalumab più tremelimumab, che ha evidenziato un significativo incremento della sopravvivenza. Un paziente su 4 trattato con il regime Stride è vivo a 4 anni. Nessun altro regime terapeutico ha dimostrato finora questi risultati. Anche il tasso di risposta è risultato superiore con durvalumab più tremelimumab”. Così Mario Scartozzi, professore ordinario di Oncologia medica, direttore Oncologia medica, università degli Studi di Cagliari, azienda ospedaliero universitaria di Cagliari, oggi a Milano nel corso di un evento promosso da AstraZeneca, commenta l’approvazione da parte dell’Agenzia italiana del farmaco dell’immunoterapia con durvalumab in prima linea in due neoplasie epatiche (carcinoma epatocellulare e colangiocarcinoma) in stadio avanzato non resecabile e metastatico. 

Per Scartozzi “ci sarà decisamente un cambio di rotta molto rilevante in entrambe le patologie, sia per l’epatocarcinoma sia per il colangiocarcinoma”, tumore delle vie biliari. “Sono due neoplasie molto complesse del fegato – sottolinea – che richiedono una gestione multidisciplinare e collegiale ancora più forte rispetto a quello che accade normalmente negli ambienti di oncologia medica. L’aggiunta di durvalumab, incrementando e attivando la risposta immunitaria dell’organismo contro il tumore, ha portato a risultati decisamente interessanti, buona tollerabilità e qualità di vita. L’uso esclusivo di immunoterapia, nell’epatocarcinoma, o l’aggiunta di immunoterapia alla chemioterapia”, nel caso del tumore delle vie biliari, “non peggiorano la tollerabilità della combinazione in maniera sostanziale”. 

Nell’epatocarcinoma il regime “Stride – prosegue l’oncologo – è basato su un innovativo approccio di ‘priming immunitario’, con una singola dose di tremelimumab seguita da durvalumab in monoterapia. Quest’unica somministrazione di tremelimumab, a un dosaggio superiore rispetto a quello tradizionale, è in grado di fornire una ‘spinta’ alla risposta immunitaria. Inoltre la qualità di vita è stata salvaguardata, con un buon profilo di tollerabilità, molto importante nei pazienti con questo tipo di neoplasia, che tendono ad essere più fragili e caratterizzati da diverse comorbilità”. 

Come spiega Scartozzi, “uno dei meccanismi di fuga delle cellule tumorali, della loro capacità di proliferazione e di dare metastasi, sta proprio nel sapersi mimetizzare con le cellule normali. Il regime Straid previene e blocca questo meccanismo e consente alle cellule del sistema immunitario del proprio organismo di reagire. Si sono dimostrati dei vantaggi in termini di sopravvivenza davvero interessanti”, come evidenziano i risultati dello studio Himalaya, di fase 3, pubblicato su ‘Annals of Oncology’: a 4 anni il 25,2% dei pazienti trattati con durvalumab più tremelimumab era vivo, rispetto al 15,1% di quelli trattati con sorafenib – standard di cura al momento dell’avvio dello studio – e il rischio di morte è stato ridotto del 22%.  

Tutti i pazienti affetti da tumori sono speciali, “ma questi sono più particolari degli altri – evidenzia l’esperto – perché hanno in sé due patologie diverse, dato che una è una patologia di ordine per esempio metabolico, di infezione virale o di cirrosi epatica, che già mette a dura prova il fisico e l’organismo di questa persona, e l’altra è appunto la patologia oncologica che si può sviluppare da tale condizione. La gestione di due gravi patologie concomitanti richiede terapie efficaci e tollerabili, che non peggiorino la funzionalità epatica residua. In questo scenario così complesso, da un punto di vista medico, che richiede veramente una gestione multidisciplinare e attenta”, è particolarmente importante “il profilo di tollerabilità del trattamento che non va ad appesantire il carico già presente di malattia e di difficoltà della gestione patologica di un paziente molto complesso”. 

(Adnkronos – Salute)

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