Baldin (M5S): “Otto marzo, dopo Giulia, Vanessa e Sara, la Regione aumenti i fondi ai centri antiviolenza di genere. Non solo femminicidi: devono cambiare comportamenti e politiche verso le donne, dal gender gap agli asili nido, alla possibilità concreta di abortire”

06 marzo 2024

(Arv) Venezia 6 mar. 2024 –  “Si avvicina un altro 8 marzo e mai come quest’anno l’attenzione verso le questioni di genere è stata tenuta alta. Purtroppo, per motivi che tutte e tutti avremmo preferito non vivere: i premeditati femminicidi di Giulia Cecchettin, Vanessa Ballan e Sara Buratin, con le atroci settimane d’angoscia trascorse da tutta Italia, hanno forse segnato un ‘non plus ultra’ nella maniera di affrontare la questione femminile da parte della politica. Si leggono buoni propositi bipartisan, relativi all’educazione sentimentale degli adolescenti nelle scuole, ma occorre considerare che, seppur apprezzabili e comunque in ritardo, essi non esaurirebbero il compito (anzi, la missione) in capo a chi governa e amministra. A cominciare dalla necessità che la Regione del Veneto aumenti i fondi a disposizione dei centri antiviolenza, i quali svolgono un presidio decisivo nel territorio, e che proprio in concomitanza con gli ultimi tragici lutti hanno visto intensificare gli accessi e le richieste di sostegno da parte di coloro che finalmente trovano la forza di denunciare”.

Così Erika Baldin, Capogruppo del Movimento 5 Stelle in Consiglio regionale del Veneto. “Le cronache segnalano come i femminicidi in Italia nel 2023 hanno abbondantemente superato ‘quota cento’, e nove sono già le donne che hanno perduto la vita per mano maschile nei primi due mesi dell’anno in corso – ricorda l’esponente pentastellata – Non di rado, la folle gelosia si abbatte sopra ragazze già deboli nella bilancia della coppia. Non occorre volgere lo sguardo all’oscurantismo iraniano per trovare anche da queste parti storie che pensavamo di aver lasciato alle spalle. Molte sono state le donne che, messe di fronte al bivio tra lavoro e maternità, hanno rinunciato forzatamente all’impiego, con gravi ripercussioni nelle legittime aspirazioni di crescita professionale: una donna che non è libera e indipendente è una donna ricattabile, più sola, potenzialmente sotto minaccia”. “Certo – aggiunge la consigliera M5S – le politiche pubbliche non stanno aiutando: la sostenibilità economica di una maternità non è un tema secondario. È notorio come, a parità di mansioni, in tutta Italia le donne lavoratrici percepiscono stipendi inferiori ai colleghi maschi. È altrettanto evidente che, nonostante la retorica del cambiamento, nemmeno ai livelli apicali il numero delle donne dirigenti d’impresa lontanamente si avvicina a quello maschile: in Veneto, ad esempio, sono sedici su cento. Ma soprattutto, la carenza di asili nido pubblici (27 posti ogni 100 bambini in Veneto, 26 nel Veneziano a fronte di una media europea attestata a 33) offre poche alternative alle coppie che decidono di procreare: per questo motivo, ho sollevato una mozione in seno al Consiglio regionale, la cui approvazione impegnerebbe la Giunta regionale a rivedere la propria programmazione e aumentare le risorse a bilancio da destinare a questo aspetto decisivo”. “Ma anche coloro le quali, per inalienabile scelta personale, non desiderano portare avanti una gravidanza, in Veneto trovano più difficoltà che non altrove – evidenzia Baldin – L’obiezione di coscienza, infatti, da diritto sancito per legge, è diventato espediente per rendere impraticabile l’aborto in tutte le strutture ospedaliere, dove non di rado alcune associazioni ‘pro vita’ agiscono sulla psiche delle giovani donne intenzionate ad abortire, riducendo l’intera questione a mero riflesso economico. Tuttavia, lo scorso maggio, la Quinta commissione consiliare, competente in materia sanitaria, ha introdotto, fra i criteri di valutazione dei direttori generali nelle singole ULSS venete, anche l’adeguamento alla media nazionale del numero di strutture dove l’interruzione volontaria di gravidanza può essere materialmente eseguita”. “Ero stata la prima, oltre un anno fa – ricorda in conclusione Erika Baldin- a suggerire che la tutela del diritto della donna ad abortire rientrasse tra i compiti di ogni direttore: non può essere considerata efficiente una gestione dove i reparti di Ostetricia e Ginecologia sono in mano al personale obiettore. Eppure ci è voluto un anno affinché la maggioranza di centrodestra prendesse coscienza del problema e decidesse di cambiare rotta, dapprima trincerandosi dietro presunte ‘motivazioni tecniche’ e poi riconoscendo che l’introduzione di questo parametro si poteva fare. Si doveva fare, nella regione che cinquanta anni fa processava Gigliola Pierobon, giovane padovana accusata di essere ricorsa all’aborto clandestino, quando della pratica si poteva anche morire, prima dell’approvazione della legge 194/78 (mai peraltro applicata interamente). I fatti di questi giorni sono lì a dimostrare che molto dev’essere ancora fatto per abbattere in senso femminista tutti questi gender gap, e che l’evoluzione deve avvenire a partire dalla società”.

(Regione Veneto)