Sanità, stressati 6 infermieri su 10 e quasi metà pronto a lasciare

(Adnkronos) – E’ molto stressato a causa del proprio lavoro il 59% degli infermieri, quasi la metà si sente privo di energia, e il 40,2% denuncia burnout clinico, un esaurimento emotivo molto elevato. L’insoddisfazione professionale interessa il 38,3% degli oltre 165mila infermieri che prestano servizio in ospedale, e il 45,2% è pronto a lasciare il lavoro nel giro di un anno (era il 35% nel 2019). I motivi dell’insoddisfazione riguardano lo stipendio non adeguato (77,9%) e la mancanza di prospettive di percorso professionale (65,2%). Sono alcuni dei dati emersi dallo studio ‘Bene’ (BEnessere degli Infermieri e staffiNg sicuro negli ospEdali) realizzato dall’Università di Genova con il sostegno dalla Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), pubblicato sull’ultimo numero de ‘L’infermiere’, la rivista istituzionale indicizzata disponibile sul sito (infermiereonline.org/2023/12/13/benessere-professionale-dellinfermiere-e-sicurezza-delle-cure-in-epoca-pandemica). 

Dai dati emerge ancora che, sul versante dell’assistenza, solamente il 3,2% percepisce come ‘eccellente’ la sicurezza del paziente nel proprio ospedale e il motivo prevalente delle cure mancate è la carenza di personale per la metà degli intervistati. Indipendentemente dal turno di lavoro, ogni infermiere assiste mediamente 8,1 pazienti. “La crisi finanziaria del 2008 – che ha comportato una riduzione della spesa sanitaria con lo sviluppo di un ambiente di lavoro non favorevole e, come diretta conseguenza, risultati negativi per i pazienti – e la recente pandemia Covid-19 – scrivono gli autori – hanno influenzato negativamente la qualità degli ambienti di cura, impattando non solo sul benessere degli infermieri, ma anche sui risultati clinici nei pazienti e sulla loro soddisfazione”.  

Lo studio osservazionale trasversale multicentrico appena pubblicato ha coinvolto 3.209 infermieri – età media 42,1 anni, 73% di genere femminile – afferenti ai reparti di degenza di 38 presidi ospedalieri, che hanno partecipato a una survey online tra giugno 2022 e luglio 2023, appositamente sviluppata per indagare le principali variabili che impattano sul loro benessere e la sicurezza delle cure, in particolare dopo l’emergenza Covid-19. I dati mostrano che l’esposizione a pazienti Covid-19 determina un elevato livello di stress nel 46,4% degli intervistati. A questo si aggiunge il fatto che il 43,4% descrive il proprio ambiente di lavoro ‘frenetico e caotico’. Le attività assistenziali non prestate al paziente, secondo il precedente studio italiano del 2015 (RN4CAST), in 4 casi su 10, includevano l’igiene orale, il cambio frequente della posizione del paziente, il comfort e la comunicazione, l’educazione del paziente e della famiglia, lo sviluppo o l’aggiornamento del piano di assistenza, la sorveglianza adeguata del paziente e la pianificazione dell’assistenza. 

In epoca pandemica, tale situazione non solo persiste – rileva lo studio ‘Bene’ – ma aumenta principalmente per la carenza di personale infermieristico. Questo si riflette nella mancata pianificazione o aggiornamento dei piani assistenziali (52,2%), nella mancata mobilizzazione del paziente (52,1%), nella mancata educazione al paziente e alla famiglia (51,9%), nell’igiene orale non effettuata (51,6%) e nella mancanza di azioni mirate per garantire il comfort del paziente (49%).  

Lo stesso studio di 8 anni fa aveva registrato inoltre che, negli ospedali italiani, l’organico medio era di 9,5 pazienti per infermiere, determinando un rischio maggiore di mortalità del 21% rispetto ai contesti ospedalieri in cui ogni singolo infermiere assiste 6 pazienti. In Europa, il personale infermieristico varia da 3,4 a 17,9 pazienti per infermiere. Uno studio del 2014 indicava che ogni paziente aggiuntivo per infermiere è associato a un aumento del 7% della mortalità a 30 giorni in ospedale. Recenti evidenze dimostrano che l’introduzione di rapporti minimi infermiere-paziente hanno benefici evidenti: riduzioni della mortalità, delle riammissioni e della durata del ricovero. Dal punto di vista economico, è stato dimostrato – spiegano gli autori – che i costi risparmiati superano il doppio del costo aggiuntivo per il personale infermieristico. 

La pandemia – si legge nello studio – ha reso più evidenti problemi preesistenti nell’assistenza sanitaria che inducono esaurimento emotivo negli infermieri, compromettendo la sicurezza e la qualità dell’assistenza, per questo, affermano, è necessario un impegno politico e manageriale urgente per migliorare la soddisfazione e garantire un’assistenza sanitaria sicura e di qualità. A tale proposito, il report più recente della National Academy of Medicine (2019) sottolinea che la chiave per affrontare il burnout clinico è lo sviluppo di un ambiente di lavoro positivo, mentre i clinici devono ancora affrontare carichi di lavoro eccessivi, calo dell’autonomia, cattiva gestione, sistemi di documentazione elettronica mal implementati, guasti sistemici che richiedono soluzioni alternative e una eccessiva burocrazia. Alle organizzazioni sanitarie è richiesto un coinvolgimento attivo finalizzato ad implementare interventi strategici mirati al raggiungimento non solo del benessere degli operatori, ma anche della soddisfazione del paziente. Perseguire il benessere professionale – concludono gli autori – è oggi un passaggio obbligato per contrastare ‘l’intention to leave’ (intenzione di lasciare il lavoro) che sta colpendo le professioni sanitarie e favorire recruitment e retention (reclutare e trattenere i professionisti). 

(Adnkronos – Salute)

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