“Fai fecondazione assistita? Di chi è la colpa?”, Manifesto per usare le ‘parole giuste’ sulla fertilità

(Adnkronos) – “Se vuoi te lo spiego io come si fanno i figli!”, “Fate procreazione assistita? E di chi è la colpa: tua o sua?”, “Ma la mamma vera lo sa che sono nate le bambine?”. Sono solo alcune delle frasi che molte donne sentono ogni giorno, il più delle volte pronunciate inconsciamente, come risultato di anni di stigma sociale intorno all’infertilità, che in Italia riguarda il 15% delle coppie, una su sette. La società, l’ambiente, i media, e persino i medici, a volte tendono a banalizzare e sminuire il processo che i pazienti infertili attraversano, rendendo ancora più complicato il percorso che si trovano a dover affrontare. Con l’obiettivo di promuovere un linguaggio più corretto, inclusivo e rispettoso, che rifletta la complessità delle sfide affrontate da chi vive l’infertilità, nasce il ‘Manifesto del linguaggio della fertilità’, presentato oggi a Roma, sottoscritto dall’associazione ‘Strada per un Sogno’, dal movimento per normalizzare l’infertilità ‘Oneofmany’ e dalla clinica Ivi, specializzata in medicina Riproduttiva. 

“Sono una donna infertile e, prima di avere mio figlio, ho vissuto la poliabortività – racconta Martina, paziente di Ivi Roma -. Durante gli anni di infertilità mi sono scontrata spesso con parole inopportune, pronunciate da persone poco empatiche, che poi ho capito con il tempo non essere crudeli o insensibili, ma piuttosto non abituate ad avere a che fare con questa condizione. Non lo fanno con cattiveria, dicono solo la prima cosa che viene loro in mente, non sapendo che di fronte hanno una persona che sta soffrendo terribilmente. Perché spesso, chi soffre molto, indossa una maschera per non lasciar trapelare il proprio dolore e il resto del mondo percepisce di sentirsi libero di dire qualsiasi cosa. Ho dovuto confrontarmi con frasi insensibili anche in riferimento ai miei aborti. Oggi con il mio bambino tra le braccia, ho finalmente quella forza di rispondere che mi è sempre mancata e adesso rispondo sempre che Tommaso è il mio quarto figlio”. 

“L’infertilità in Italia riguarda il 15% delle coppie, equivalente a circa una su sette”, ricorda Daniela Galliano, specializzata in Ginecologia, Ostetricia e Medicina della riproduzione, responsabile del Centro Pma Ivi di Roma. “Nonostante dal 2009 sia ufficialmente riconosciuta come una malattia dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), oggi l’infertilità viene ancora descritta attraverso un linguaggio poco empatico, inappropriato, che a volte può persino risultare aggressivo. Di conseguenza, coloro che cercano una cura e ricorrono alla medicina della riproduzione per avere un figlio possono sentirsi giudicati, colpevolizzati o incompresi nel loro percorso verso la genitorialità. Per questo, è importante demistificare, rompere i tabù, evitare eufemismi. È essenziale che il linguaggio della fertilità sia equo e adeguato, evitando qualsiasi sfumatura di aggressività o mancanza di delicatezza. E vogliamo migliorare la conversazione sull’infertilità – conclude – nei nostri ambienti personali e anche medici”. 

“Il linguaggio che la società utilizza per descrivere l’infertilità o la perdita di un bambino può avere un impatto enorme su come una persona può sentirsi. Potremmo cominciare a parlare di difficoltà di concepimento più che di sterilità o di mancato impianto invece che impianto fallito. Sembrano sfumature, ma non lo sono: diventano messaggi di comprensione, vicinanza e accoglienza che fanno stare meglio l’altro”, sottolinea Vincenza Zimbardi, psicologa Ivi Roma. “Essere sterili – le fa eco Galliano – non è qualcosa per cui bisogna sentirsi in colpa o essere costretto a nascondere la necessità di aiuto medico per risolvere il problema. Nonostante i fattori che determinano l’infertilità possano riguardare sia gli uomini che le donne, forse le donne più degli uomini possono vivere questa esperienza con una sensazione di rimpianto per scelte passate, magari per non aver iniziato prima la ricerca di una gravidanza. Oppure possono provare paura, senso di inadeguatezza o vergogna”. 

Sul sito ivitalia.it – riferisce una nota – è possibile scaricare un manifesto, una guida, un vademecum per tutti coloro che si rendono conto che è necessario un cambiamento di rotta per sensibilizzare il mondo intero su un argomento spinoso, delicato e per qualcuno fonte di grande dolore. “Questo progetto è fondamentale come strumento di visibilità e sensibilizzazione sull’importanza del linguaggio della fertilità. Vogliamo essere un agente di cambiamento in modo che le persone con infertilità sentano il sostegno, l’empatia e la complicità di cui hanno bisogno; condividere con la società come ci sentiamo, su quali frasi e come vorremmo essere trattati apre la porta al rispetto e alla complicità”, afferma Loredana Vanini, autrice del libro fotografico ‘Unadelletante’ e fondatrice del movimento per l’infertilità ‘Oneofmany’, diventato un punto di riferimento in Italia per l’informazione, il supporto e l’assistenza alle coppie infertili.  

“La pandemia ha accelerato alcuni processi, portando in qualche modo l’informazione in casa e aumentando l’offerta, facilitando la partecipazione anche di quelle persone più ritrose a mostrarsi, ma ha anche dato spazio, in parte, a un’informazione meno scientifica e rigorosa”, aggiunge Luisa Musto di ‘Strada Per Un Sogno’, associazione no-profit dedicata al tema dell’infertilità e al percorso per diventare genitori. “Fino ad allora, era abitudine rivolgersi ad interlocutori più istituzionali, che hanno costruito un know-how grazie ad anni di attività e al concorso di esperti riconosciuti e, soprattutto, lo hanno fatto senza alcun fine di lucro. La semplicità con cui ora, grazie ai social, è possibile fare di questo addirittura un lavoro può divenire paradossalmente negativa. L’informazione cessa in quel caso di essere libera e disinteressata”. 

(Adnkronos – Salute)

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