Ministeri reali e linguaggi della fede, quali prospettive?

Si è svolto giovedì 12 ottobre 2023, in modalità online, il primo dei tre appuntamenti che proseguono il lavoro di riflessione già avviato lo scorso febbraio con il seminario “Serve la chiesa?”, promosso dal ciclo di licenza della Facoltà teologica del Triveneto. Nella prima edizione l’indagine e il dibattito sul volto della chiesa a confronto con l’uomo contemporaneo si erano svolti a partire dalle domande poste da un gruppo di giovani in dialogo con mons. Erio Castellucci e Paola Bignardi. Per questa seconda edizione si è colta l’opportunità di approfondire e valorizzare ulteriormente le questioni poste dai giovani interpellando nello specifico diversi relatori, nell’attenzione di far interagire teologia e prassi. La prima serata si è focalizzata su due tematiche: la ministerialità dei laici (Come mai la chiesa fatica tanto a delegare qualche ambito ai laici, a definire ruoli chiari e a fornire un’adeguata preparazione per affrontare il compito?) e i linguaggi dell’annuncio (Perché è così difficile trovare modalità e linguaggi correnti per comunicare il messaggio del vangelo, che pure appare tanto attuale in questo tempo?).

Ministerialità dei laici: serve un cambio di mentalità

Ugo Sartorio, docente di Teologia fondamentale alla Facoltà teologica del Triveneto, ha proposto un’ampia e profonda sintesi sul rapporto ministerialità-ministero ordinato, facendo riferimento ai lavori del Sinodo, mettendo in luce gli snodi critici e delineando con chiarezza l’orizzonte teologico all’interno del quale è possibile un autentico cambiamento in senso sinodale nella chiesa. È risaputo che i laici sono la maggioranza del popolo di Dio e che sul laicato sono stati fatti e si fanno discorsi di ampio respiro. Occorre però prendere atto che la realtà si presenta diversamente rispetto alle istituzioni. I modelli laicali prevalenti nella chiesa – di dipendenza, di delega, di collaborazione e di corresponsabilità – dicono della porzione maggioritaria dei cristiani che, seppur consultata, è esclusa dai processi decisionali. Sartorio ha a più riprese ribadito – con chiarezza e concretezza di esempi – che occorre un cambiamento di mentalità: abbandonare una visione supplente o funzionale del laicato per ripensare la missione della chiesa mettendo autenticamente al centro il popolo di Dio, superando i particolarismi delle condizioni di vita (clero, religiosi, laici…) e ottimizzando gli spazi di comunione, anche a livello formativo.

I linguaggi della fede: la provocazione della corporeità

Andrea Albertin, docente di Nuovo Testamento, ha affrontato la questione dei linguaggi e della comunicazione illustrando le caratteristiche dei linguaggi e degli stili comunicativi del Nuovo Testamento, proponendo – pur nella sintesi – una ricchezza di esempi a riguardo, a partire dalla comunicazione di Gesù in parabole che obbligano l’uditore a prendere posizione, per indicare poi il metodo comunicativo di Paolo, attento a partire dalle conoscenze del suo uditorio, capace di inculturazione. Il linguaggio neotestamentario ha un’intonazione esistenziale, parte dal vissuto degli ascoltatori, li coinvolge, avvalendosi anche del simbolo, trasmettendo valori e non solo contenuti. Si tratta di un linguaggio contemplativo, che sa trasfigurare la realtà, suggerire l’invisibile oltre al visibile. Il linguaggio che prevale oggi, particolarmente nel mondo occidentale, è invece un linguaggio tecnico-scientifico, che riduce la verità a ciò che è sperimentabile. È una comunicazione segnata dalla rapidità e dalla sintesi, altra rispetto a quella del vangelo, che chiede la pazienza dell’ascoltare, del domandare, del capire e che esige un’opera di mediazione non indifferente. Le pratiche che oggi anche negli ambienti cristiani stanno riscuotendo successo – lo yoga, il cammino… – suggeriscono una riscoperta della corporeità che provoca anche l’annuncio cristiano. Non si tratta di una novità, ma di ripresa di coscienza: Gesù – Verbo fatto carne – ha costantemente comunicato col corpo. Per un cristiano prendere consapevolezza del proprio respiro è percepire lo Spirito-respiro di Dio che agisce. Non è quindi sufficiente fermarsi al corpo, ma occorre esplorare il senso, valorizzare la ricerca di interiorità e riprendere consapevolezza con dimensioni della fede che dall’illuminismo in poi sono state emarginate, talvolta anche per uno stile autodifensivo della chiesa stessa che ha privilegiato aspetti più normativi che personali e affettivi.
Entrambe le relazioni hanno suscitato un vivo interesse nei partecipanti collegati (una settantina) che hanno avuto uno spazio per porre ulteriori domande, richiedere puntualizzazioni e, così, rendere ancora più stimolante quanto ascoltato. Sartorio e Albertin hanno concluso la serata con un condiviso invito, rivolto in primo luogo ai giovani attivamente coinvolti nell’elaborazione di questi appuntamenti, a continuare a interrogare e a farsi carico della ricerca di risposte di cui essi stessi saranno – nella concretezza della loro vita cristiana – artefici e protagonisti.

Marzia Ceschia
docente di Teologia spirituale
Facoltà teologica del Triveneto

Foto da Pexels.

(Facoltà Teologica del Triveneto)