Diabete, intelligenza artificiale per ridurre il dolore cronico

(Adnkronos) – Aiutare i pazienti diabetici, quasi 500 milione nel mondo, grazie all’innovazione dell’intelligenza artificiale in campo medico. E’ il lavoro che sta portando avanti Greta Preatoni, ricercatrice del Neuroengineering laboratory dell’Eth, il Politecnico federale di Zurigo. Uno dei ‘cervelli’ che sarà ospite il 30 settembre a Milano ‘Synapse’, un convegno sull’intelligenza artificiale organizzato da Bending Spoons. “Sto lavorando nel laboratorio guidato da Stanisa Raspopovic che segue diversi progetti con l’Ia, in precedenza ho seguito la ricerca che ha portato a MyLeg, una start-up che punta a realizzare tecnologie wearable che ‘restituiscono’ il senso del tatto artificialmente, diventata poi MyNerva. Oggi – spiega all’Adnkronos Salute – però sono concentrata sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale per ridurre il dolore cronico nella neuropatia diabetica. Questo grazie ad una migliore calibrazione della neurostimolazione”.  

Secondo la Società italiana di endocrinologia, circa il 30-50% dei pazienti con neuropatia diabetica sviluppano dolore, che più frequentemente è un dolore urente spontaneo ai piedi. “Oggi grazie all’Ia è possibile personalizzare l’intervento sul paziente e gli algoritmi aiutano a ridurre il tempo delle calibrazioni per la terapia, che spesso sono lunghe e difficoltose, e migliorano quindi anche la sensazione di dolore. Stiamo anche lavorando – prosegue la scienziata – a un algoritmo in grado di separare la ‘parte’ psicologica di dolore da quella nervosa”. Nel team oltre a Greta Preatoni lavorano anche altri due italiani, Noemi Gozzi e Federico Ciotti. 

Siamo di fronte ad una rivoluzione nel campo del diabete? “Se si usa l’Ia in modo corretto i benefici sono elevati – risponde Preatoni, dal 2019 in Svizzera – sono scettica nel pensare che ci sarà una completa rivoluzione nell’approccio ai trattamenti dei pazienti, ma l’idea di andare sempre di più verso una terapia individualizzata”.  

Quali sono i limiti da superare per portare la ‘medicina 2.0’ al letto del paziente? “L’impatto dell’Ai è sul tempo – chiarisce – mentre un medico può metterci dei giorni per una diagnosi difficile perché deve approfondire e confrontarsi magari con altri colleghi, un ‘computer’ può metterci una manciata di secondi. Ma serve raccogliere i dati in una struttura – conclude – che mette in rete i tanti filoni di ricerca in questo campo, altrimenti abbiamo piccoli numeri che sono limitati in ambito medico”.  

 

(Adnkronos – Salute)

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