Ancc-Coop, più discount, meno sprechi e meno cibo identitario

+21% costi beni alimentari, -3% variazione vendite a prezzi costanti in primi 7 mesi, per 8 italiani su 10 attenzione al risparmio, -15,2% consumo frutta e verdura in 2 anni

Roma, 7 set. Se l’alimentazione è una componente fondamentale dell’identità dell’Italia, tanto che gli italiani sono disposti a tutto pur di non rinunciare alla qualità di quello che mangiano, molti italiani sembrano in procinto di arrendersi alla guerra contro un’inflazione che ha rincarato di oltre il 21% il costo dei beni alimentari e che non promette di arrestarsi prima dei prossimi due anni (il 72% dei manager del settore ritiene che l’inflazione alimentare non tornerà sotto il 2% prima del 2025). I carrelli degli italiani diventano leggerissimi: -3% la variazione delle vendite a prezzi costanti nei primi 7 mesi dell’anno e in previsione per il 2024 il 60% dei manager intervistati si aspetta un risultato in ulteriore seppur modesto calo (-0,5%). E’ quanto emerge dall’anteprima digitale del ‘Rapporto Coop 2023 – Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani’, redatto dall’ufficio studi di Ancc-Coop (Associazione nazionale cooperative di consumatori-Coop) con la collaborazione scientifica di Nomisma, il supporto d’analisi di NielsenIQ e i contributi originali di Circana, GS1-Osservatorio Immagino, Cso Servizi, GfK, Mediobanca Ufficio studi. Lo fa sapere in una nota Ancc-Coop, la quale spiega che l’edizione di quest’anno è orientata a leggere, con gli occhi degli italiani, l’eccezionale complessità del mondo che ci circonda e a comprenderne gli effetti sulla loro vita quotidiana, a partire dal loro rapporto con il cibo.
Dopo la riduzione delle quantità acquistate, con l’arrivo dell’autunno gli italiani sembrano pronti a cambiare nuovamente strategia grazie ad un quotidiano impegno per contenere gli sprechi. Così la spesa diventa più frequente, l’attenzione al risparmio fa piazza pulita della fedeltà al canale di acquisto, discount e Mdd sembrano ancore di salvezza.
Otto italiani su 10 indicano nel primo il modo per mitigare l’effetto dell’inflazione, altrettanti acquisteranno più marca del distributore a discapito della marca industriale. In questo contesto, nell’ultimo anno sono raddoppiati quanti dichiarano di aver perso ogni riferimento identitario abbandonando anche i dettami della cultura tradizionale, delle tipicità e del territorio. Una deriva che potrà continuare nei prossimi mesi e metterà in discussione il concetto di alimentazione italiana e dieta mediterranea, a partire dal consumo di frutta e verdura (-15,2% il consumo negli ultimi due anni e per il 16% degli italiani si ridurrà ancora).
L’eccezionale crescita dei prezzi degli ultimi due anni ha cambiato in profondità, oltre ai consumi degli italiani, gli assetti della filiera alimentare. Nel 2022 l’incremento dei prezzi delle materie prime e l’impennata dei costi energetici hanno fatto esplodere i prezzi alla produzione, mentre le difficoltà della domanda finale hanno obbligato i retailer a contenere l’impatto finale sui prezzi al consumo. Con ricadute pesanti sui bilanci di entrambi gli operatori della filiera. L’analisi annuale di Mediobanca evidenzia come nel 2022, per entrambi gli attori della filiera, si sia verificata una significativa diminuzione del valore aggiunto e, a cascata, della marginalità operativa.
Un impatto negativo che non cambia però il differenziale positivo delle performance a favore degli operatori industriali, segnala il rapporto. In sostanza, le imprese dell’industria alimentare – soprattutto quelle di maggiori dimensioni – evidenziano una redditività strutturalmente superiore a quella della grande distribuzione alimentare. E anche nel difficile frangente del 2022 la redditività dei mezzi propri dell’industria fa segnare una diminuzione meno pronunciata di quella della distribuzione. Nel 2023 invece, pur a fronte di un rapido rientro sui valori storici dei costi delle commodities alimentari e di un altrettanto noto rientro dei costi energetici, non si è manifestata alcuna significativa riduzione dei listini dell’industria alimentare. Anzi, si è assistito ad ulteriori aumenti dei listini, addirittura superiori a quelli del 2022, e nello stesso periodo l’ulteriore logoramento del potere d’acquisto delle famiglie ha nuovamente impedito invece agli operatori della distribuzione di poter riversare al consumo l’intero incremento.
In questo modo, la comparazione tra l’andamento dei prezzi industriali e quelli al consumo continua ad evidenziare un differenziale negativo che non ha eguali negli ultimi decenni, si legge nello studio Coop. In sostanza, per la distribuzione i prezzi all’acquisto restano strutturalmente superiori a quelli praticati alla vendita. Anche nei prossimi anni divergeranno le strategie di industria e distribuzione. I retailer si concentreranno sulla marca privata per avere un governo delle filiere produttive e dei prezzi alla vendita, mentre la grande industria al momento sembra più orientata a difendere i margini concentrandosi sull’innovazione di prodotto e la difesa dell’equity del proprio marchio.
L’economia italiana perde la spinta dei consumi che, a dispetto dell’inflazione e solo grazie al sostegno dei risparmi e del credito al consumo, hanno sostenuto il Pil nella prima parte dell’anno. Nei prossimi mesi le intenzioni di spesa degli italiani fanno segnare un’inversione di rotta (36% sono gli italiani che intendono ridurre i consumi al netto dell’inflazione contro solo l’11% che pensa di aumentarli) e anche i segnali che arrivano dallo scenario internazionale, dalla produzione industriale e dal mercato del lavoro fanno prevedere un Pil 2023 solo marginalmente positivo (+0,6% per i manager intervistati). Una debole intonazione positiva che si potrà protrarre anche nel 2024, solo a patto di una manovra di bilancio equilibrata e soprattutto di compiuto utilizzo dei fondi Pnrr. Secondo l’80% dei manager intervistati, bisognerà aspettare almeno il 2025 prima che la crescita dei prezzi torni ai livelli pre-pandemici. A fronte di questo drammatico impoverimento, si legge nel rapporto, la dinamica delle retribuzioni resta ampiamente insufficiente (+2,3% su base annua nel secondo trimestre 2023) e dunque il lavoro, che sinora sembra esserci (nel 2023 sono 23,5 milioni gli occupati, mai così tanti dal 2008), è un lavoro che non paga quanto dovrebbe (il 70% degli occupati dichiara di avere necessità almeno di un’altra mensilità per condurre una vita dignitosa). Da qui la tendenza ad aggiungere lavoro al lavoro come strategia di difesa dal carovita: il 27% degli occupati intende aumentare il numero di ore lavorate, fare lavoretti aggiuntivi (25%), far iniziare a lavorare persone della famiglia che prima non lavoravano (19%).
Ma anche, a dispetto di questo impegno ulteriore, l’impatto devastante dei prezzi trascina quasi la metà degli italiani (27 milioni di persone, in crescita del 50% rispetto al 2021) in una condizione di disagio duraturo, avendo dovuto rinunciare allo standard di vita per loro minimo accettabile). Il 10% degli italiani dichiara di non arrivare a fine mese e un ulteriore il 23% ci arriva ma teme costantemente di non farcela. Anche se in un qualche modo si sbarca il lunario si fanno grandi rinunce (20%) o comunque dei sacrifici. Infatti, solo un italiano su quattro dichiara di fare senza problemi la vita di qualche anno fa. Tra le famiglie della classe media, meno della metà riuscirebbe a fare fronte senza difficoltà ad una spesa imprevista di 800 euro e solo un terzo ad una di 2.000 euro.
Eppure tra molteplici difficoltà, dal rapporto Coop emerge l’assenza, almeno sino a qui, di sentimenti di rabbia o rancore sociale. La fotografia scattata dallo studio è quella di un Paese certamente inquieto (il 30% si dichiara tale, +6% sul 2022) e dove crescono i timori (dal 20% al 32%), ma che complessivamente vede rafforzarsi i sentimenti di fiducia (36%), serenità (29%), accettazione (23%) e aspettativa positiva (28%). A questo però fa da contraltare il fatto che 1 italiano su 3 dichiara di aver fatto uso, anche sporadicamente, di psicofarmaci e 1 su 5 ne fa un uso più o meno abituale. Due su 3 coloro che sono impegnati a praticare tecniche per la gestione dello stress. E i farmaci per l’ipertensione, per la gastrite e lo stress svettano in cima alla classifica dei medicinali più venduti.
Sereni e consapevoli ma certamente più poveri, evidenzia lo studio Ancc-Coop, gli italiani di fatto non possono che convivere con una economia familiare sempre più ristretta. Calano le compravendite immobiliari (-14,5% 2023 su 2022 e in prospettiva sul 2024 -4%), si riducono gli acquisti delle auto nuove, cadono gli acquisti dei beni tecnologici. In particolare, le vendite di smartphone nuovi si riducono in quantità del 10% negli ultimi 12 mesi (sono oltre 1,3 mln di telefoni venduti in meno). In uno sforzo di sopravvivenza – e forse di sostenibilità – l’usato o il ricondizionato sostituiscono il nuovo (sono 33 milioni gli italiani che nell’anno passato hanno venduto o acquistato beni usati).
E, dopo aver riguadagnato nel primo semestre i livelli prepandemici, gli italiani si sono ancora concessi pranzi e cene con estrema oculatezza durante l’estate, ma, passeranno nuovamente l’autunno in casa (il 51% dichiara di ridurre il numero di occasioni conviviali fuori casa nei prossimi 12/18 mesi).

(Adnkronos)