‘She Leads’: parità di genere nel futuro del lavoro, gli strumenti per una rivoluzione possibile

(Adnkronos) – Promuovere l’occupazione femminile, incentivando la creazione di rapporti di lavoro equilibrati e stabili, rappresenta un’urgenza per il nostro paese e il punto di partenza per un futuro più sostenibile e inclusivo. I dati non sono ancora confortanti. Una donna su due è inoccupata, tra i manager le donne sono appena il 28% e la maternità è tuttora un ostacolo alle carriere. Siamo distanti anche da un’equità retributiva, con ancora un pernicioso scarto del 13% rispetto ai colleghi uomini. Eppure colmare la parità tra donna e uomo in ogni ambito della vita privata e pubblica consentirebbe di avere una crescita del PIL del 12%. Oggi esistono gli strumenti per eliminare le asimmetrie, come l’importante misura della certificazione della parità di genere, e le condizioni perché diventi una priorità trasversale.  

E’ di pochi giorni fa la decisione del Governo di prevedere nel Nuovo codice dei contratti pubblici la promozione della parità di genere nell’ambito dei ‘Criteri di aggiudicazione degli appalti di lavori, servizi e forniture’. Proprio in questo 2023, l’anno di una rivoluzione possibile, prende forma il libro edito dal Sole 24 Ore ‘She Leads: la parità di genere nel futuro del lavoro’, scritto da Stefano Cuzzilla, presidente Federmanager e 4.Manager insieme con Andrea Catizone, avvocata sui diritti della persona e delle discriminazioni e a cura della giornalista Silvia Pagliuca. Il volume, promosso da 4.Manager, associazione bilaterale Confindustria-Federmanager e presentato a Milano nella sede del Gruppo 24 ORE, indaga le ragioni del gender gap denunciando le fragilità attuali ed evidenziando le possibili vie di miglioramento, per diffondere una cultura aziendale più equa e inclusiva.  

“Le donne sono state assenti per centinaia di anni dalle posizioni apicali, nell’ambito politico, nel mondo del lavoro e della ricerca. Ma oggi qualcosa sta cambiando”, commenta Stefano Cuzzilla, presidente 4.Manager e Federmanager. “L’Italia -continua- ha la sua prima premier donna, e la prima presidente donna alla Corte di cassazione così come alla Consulta. Il fatto che alcune delle cariche più importanti del nostro Paese siano ora occupate da donne, è espressione di tutto ciò che dovremmo intendere per empowerment, ovvero potenziamento dei talenti e delle opportunità”.  

“Oggi ci sono strumenti -spiega ancora- per una rivoluzione possibile, prima tra tutti la Certificazione della parità di genere, attraverso cui nel concreto le imprese si impegnano a eliminare le disparità di genere nel mondo del lavoro e nella vita sociale, guadagnando in termini di crescita, inclusione e innovazione. Uno strumento consolidato anche dal Governo che nel nuovo Codice appalti prevede il riconoscimento di premialità in favore delle imprese che rispettano le politiche di genere. Oggi le istituzioni, il mondo delle imprese e i manager sono pronti e maturi per sostenere questo cambiamento”.  

“Gender gap significa -rileva Silvia Pagliuca, giornalista curatrice di ‘She Leads’- vivere in un Paese in cui il tasso di occupazione femminile è tra i più bassi in Europa, il 50,8%, in cui a 5 anni dalla laurea le donne guadagnano il 20% in meno rispetto ai colleghi uomini di pari livello, in cui essere madri è un ostacolo alla realizzazione della carriera. La percentuale di occupazione tra i 25 e i 49 anni passa, infatti, dal 72% per le donne senza figli al 53% per le donne che hanno un figlio under 6”. “E ovviamente -conclude- c’è un impatto anche in termini di reddito: i salari lordi annuali delle mamme lavoratrici sono inferiori di 5.700 euro rispetto alle lavoratrici che non sono mamme. Questa è la child penalty, i cui effetti impattano esclusivamente sulle donne. Per questo, se vogliamo davvero che le donne possano sfondare il soffitto di cristallo, è urgente lavorare fin dal primo gradino di sviluppo professionale. Quando parliamo di futuro del lavoro la parità di genere non è più un’opzione”.  

Guardando ai nuovi lavori il gender gap è ancora più evidente. Si pensi alle stem: in Europa, la percentuale degli uomini che lavorano nel settore digitale è 3,1 volte superiore a quella delle donne e solo il 22% di chi si occupa di intelligenza artificiale è donna. Stessa situazione in Italia. E il divario si allarga se si sale negli organigrammi di tutti i comparti: in media, solo il 35% dei manager in Europa è donna. In Italia la percentuale è ancora più bassa. I dati dell’Osservatorio 4.Manager mostrano come le posizioni manageriali femminili sono ferme al 28% del totale e la quota si riduce al 19% se consideriamo le posizioni regolate da un contratto da dirigente. Il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione è rivestito solo per il 12,2% da donne, percentuale che si abbassa all’11,9% tra gli amministratori delegati. Eppure la diversity fa bene, in termini di produttività, sostenibilità, innovazione e benessere della forza lavoro. Ad esempio le imprese a conduzione femminile presentano un punteggio più alto sul grado di digitalizzazione rispetto alle imprese a conduzione prioritaria o esclusiva maschile. Il problema della disuguaglianza di genere è presente anche nelle istituzioni pubbliche.  

“Il gender gap è evidente anche in università. Lo dimostra la bassa percentuale di donne nei percorsi stem e nei gradini più alti della carriera accademica. La strada da fare è ancora lunga: l’Università ha l’importante compito di promuovere iniziative di formazione e ricerca per ridurre il divario”, ribadisce Marilisa D’Amico, professoressa ordinaria di diritto costituzionale e prorettore con delega alla legalità, trasparenza e parità di diritti presso l’università degli studi di Milano, durante il suo intervento alla presentazione del libro ‘She Leads’.  

Le fa eco Francesca Nanni, procuratore generale presso la Corte di Appello di Milano che spiega: “I dati statistici relativi alla presenza delle donne in magistratura, in particolare a marzo dello scorso anno, dimostrano che tra i magistrati in ruolo, il 27% circa dei direttivi, il 45% circa dei semidirettivi e il 58% dei magistrati con funzioni ordinarie erano donne. La percentuale di donne con incarichi direttivi sale, se guardiamo ai soli uffici giudicanti, al 33,9% (contro il 31% dello scorso anno), mentre, per quanto attiene a quelli requirenti, soltanto nel 23% (22% lo scorso anno) dei casi un magistrato donna ha responsabilità di comando. Tale squilibrio vale anche per gli incarichi semidirettivi, che sono assegnati a donne nel 48,7% dei casi fra i giudicanti (48% lo scorso anno), e soltanto nel 33% delle volte negli uffici requirenti (29% circa lo scorso anno)”, aggiunge. “In particolare, tra i problemi che ancora oggi ostacolano il raggiungimento della parità di genere, in Lombardia si registra -continua- una mancanza di magistrati appartenenti alla c.d. pianta organica flessibile, secondo le norme da assegnare agli uffici nel caso di assenze per maternità. Nella valutazione dei requisiti per accedere agli incarichi direttivi non sempre viene adeguatamente valutato il merito”.  

Oggi esistono gli strumenti per raggiungere la parità di genere, ma deve essere una priorità trasversale per le imprese e i manager che devono sperimentare forme di organizzazione più inclusive; per lo Stato che deve potenziare il welfare. Sta giocando un ruolo cruciale il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che promette di generare un aumento dell’occupazione femminile del 4% entro il 2026. Il Parlamento Europeo ha lavorato affinché entro la metà del 2026, tutte le grandi società quotate riservino alle donne almeno il 33% del totale dei posti di amministratore. Un cambiamento sostenuto anche da un’altra, storica, misura: la Certificazione della parità di genere, con cui le imprese potranno valutare il proprio impegno in termini di capitale umano ottenendo importanti benefici. Le imprese, infatti, potranno godere di un esonero dal versamento dei contributi previdenziali che sarà determinato in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna impresa. Entro giugno 2026, si stima che almeno 800 Pmi potranno essere certificate e circa 1000 aziende riceveranno le agevolazioni fiscali.  

“La certificazione di genere è uno strumento fondamentale affinché il sistema economico italiano e il mondo del lavoro diventino un luogo più inclusivo, più equo e anche con una redditività più sostenibile. Numerosi studi, come quelli dell’Osservatorio 4.Manager, dimostrano come le aziende più inclusive e con un maggior equilibrio di genere siano in grado di creare un valore più elevato: secondo il Diversity Brand Index le imprese certificate fatturano il 23% in più. Inoltre, incentivare l’equilibrio di genere garantisce, oltre ai vantaggi economici diretti ed indiretti, una serie di benefici intangibili, tra i quali la spinta all’innovazione e una crescita della reputazione nel mercato”, sostiene Mirja Cartia d’Asero, amministratrice delegata del Gruppo 24 ORE, una delle quattro top manager intervistate nel libro, che aggiunge: “Per questo sono molto orgogliosa che il Gruppo 24 Ore abbia ottenuto la certificazione di genere lo scorso dicembre come prima media company italiana, facendo anche da apripista per le aziende del settore. Ma siamo ben consapevoli che si tratta di un punto di partenza -un buon punto di partenza- e che rappresenta soprattutto un impegno a migliorarci nei prossimi anni”.  

“Con la certificazione della parità di genere si è voluto, per la prima volta, creare un insieme di azioni che, pensate per le imprese e le realtà produttive di beni e servizi, costruiscano in modo graduale una cultura inclusiva in grado di riconoscere le diversità e valorizzarle”, sottolinea l’avvocata Andrea Catizone. “Ed ora il nuovo Codice dei contratti pubblici, che entrerà pienamente in vigore dal 1° luglio, si arricchisce di una norma ad hoc che obbliga le stazioni appaltanti a prevedere nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, il maggior punteggio da attribuire alle imprese per l’adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere comprovata dal possesso della certificazione della parità di genere. Si tratta di una vera rivoluzione culturale sulla sostenibilità sociale, la s delle esg, che si traduce in vantaggi misurabili senza che siano un costo, ma un investimento per ogni soggetto coinvolto”, aggiunge ancora.  

A chiudere l’incontro la riflessione di Giuseppina di Foggia, amministratore delegato e direttore generale Terna S.p.a: “Voglio sottolineare due aspetti: il primo riguarda i ragazzi e le ragazze che stanno lavorando o che si apprestano a lavorare. Il mio invito -aggiunge- è di non soffermarsi sulle delusioni, sui pregiudizi o sulle difficoltà che sicuramente possono incontrare ma piuttosto concentrarsi su quelli che sono gli obiettivi continuando ad impegnarsi e a studiare. Il secondo punto che vorrei sottolineare riguarda noi che siamo in posizioni apicali e che possiamo spesso decidere. E’ importante che le nostre decisioni siano basate soprattutto sul merito. Sono convinta che così facendo si possano risolvere più agevolmente molti problemi come l’inclusione e non soltanto l’inclusione di genere ma anche l’inclusione legata ad esempio alla provenienza piuttosto che all’età”, conclude.  

(Adnkronos – Lavoro)

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