“Confessarsi” in tempo di pandemia

Siamo grati ai vescovi delle nostre diocesi del Nordest che ci hanno offerto, a Natale e ora anche per Pasqua, una possibilità nuova e diversa di sperimentare la riconciliazione con Dio e con i fratelli e le sorelle in questi mesi faticosi di pandemia, in cui è problematico confessarsi nelle solite modalità. Ancora una volta la chiesa, come Madre, in questo tempo inedito ha attinto al patrimonio delle sue celebrazioni una forma straordinaria, ma prevista e valida, per assicurarci la celebrazione di un sacramento non sempre facile da celebrare e già in difficoltà anche prima della pandemia: il Rito per la Riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione generale (senza la confessione individuale), chiamato anche “III forma”.

Molti fedeli hanno apprezzato questa modalità in occasione dell’Avvento e vi hanno partecipato con consapevolezza e serietà, ricavandone un autentico frutto di conversione e di adesione al Vangelo. In base alle norme liturgiche e al diritto canonico, prima di poter celebrare ancora questa modalità dell’Assoluzione generale, si dovrebbe ricorrere alla confessione personale (se caduti in qualche peccato grave); ma il perdurare della situazione eccezionale ci consente questa ulteriore occasione.

L’attuale Rito della Penitenza, che vide la luce ben dieci anni dopo il Concilio Vaticano II (un lavoro che non fu facile) nel 1973, fu subito tradotto in italiano nell’anno seguente: segno dell’attesa e del desiderio di modalità nuove per celebrare e vivere il sacramento della “confessione”. Esso prevede le tre forme: il Rito per la riconciliazione dei singoli penitenti; il Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuale; e la terza modalità ora concessa. Senza dimenticare che la stessa celebrazione della messa rimette, perdona i peccati veniali.

La possibilità di celebrare il sacramento della riconciliazione in questa forma, definita anche straordinaria, ci dice chiaramente la volontà della chiesa di venire incontro a momenti problematici come quelli che stiamo vivendo. Non si tratta semplicemente di un’amnistia, un’assoluzione a buon mercato, ma di offrire la possibilità di riconoscersi insieme peccatori e invocare la misericordia e il perdono di Dio. Il Rito prevede che chi partecipa a questa forma comunitaria manifesti il suo pentimento, abbia la consapevolezza di quello che avviene, la volontà di non peccare più e vivere da cristiano, ma anche l’impegno ad accostarsi personalmente al sacramento della riconciliazione, quando questo sarà possibile, soprattutto per confessare gli eventuali peccati gravi di cui si è macchiato.

I sacerdoti, per quanto possibile e nell’attenzione alle cautele necessarie, sono invitati a offrire tempi e luoghi anche per la confessione individuale. La “confessione” in qualsiasi forma, però, non si può mai celebrare nella messa come avviene per gli altri sacramenti (battesimo, matrimonio, cresima, unzione degli infermi, ecc.) e neppure per via “telematica”. I sacramenti richiedono la presenza per essere validi.

Questa è una modalità straordinaria, che contiene però alcuni elementi importanti da non dimenticare mai anche nelle altre due forme di celebrazione individuale o comunitaria. Anzitutto il ritrovarci insieme, il riconoscerci insieme peccatori; come dice il Rito: “Si aiutino a vicenda con la preghiera”. Un altro aspetto essenziale, spesso dimenticato nelle nostre confessioni private, è quello dell’ascolto della parola di Dio. C’è poi l’interessante prospettiva che ci unisce in questa modalità celebrativa: compiere insieme un gesto di penitenza (in ginocchio, a capo chino…) e avere un’unica penitenza o soddisfazione da compiere, ognuno personalmente, ma tutti allo stesso modo. C’è infine una presenza molto importante evidenziata in questa celebrazione ed è quello dell’invocazione e dell’azione dello Spirito santo, vero protagonista della nostra conversione.

Certamente anche questa modalità, come ogni celebrazione della riconciliazione, ha come suo elemento fondamentale l’assoluzione, la formula dell’assoluzione dai peccati; ma non dimentichiamo mai che scopo di questo sacramento è la nostra conversione. Il perdono da parte di Dio nell’assoluzione c’è sempre, ma non sempre c’è la nostra volontà di conversione. Forse proprio questa occasione del ritrovarci insieme a invocare la misericordia di Dio in questi mesi così faticosi, diventa espressione di volontà comunitaria, oltre che personale, di ottenere la conversione, cioè di cambiare qualcosa della nostra vita. La pandemia che ha sconvolto, ormai da più di un anno, la nostra esistenza, con i suo i morti e i suoi “feriti”, non può essere semplicemente una parentesi della nostra vita, della vita delle nostre comunità e della nostra società; è un tempo da non sprecare, un’occasione in cui ritrovare noi stessi, verificare il nostro rapporto con Dio e rinnovare la nostra realtà di vita comunitaria nella Chiesa, per ripartire.

mons. Giulio Viviani
docente di Liturgia
Studio teologico accademico tridentino
Istituto superiore di Scienze religiose “Romano Guardini”
Trento

(Facoltà Teologica del Triveneto)