E’ GIUNTA VERAMENTE LA FINE DELL’EURO?

Ci sono reali rischi di fuoriuscita di alcuni Paesi dall’Euro?; è così critica la situazione nell’Eurozona?; le Autorità politiche e soprattutto le Istituzioni finanziarie continuano a nascondere e a mistificare la realtà dei fatti?.

Personalmente credo esistano concrete possibilità di uscita dall’Euro di alcuni Paesi europei ma la mia convinzione non deriva solamente da una storica antipatia nei confronti della valuta unica; già infatti in occasione della sua introduzione, nel 1999 a livello interbancario e nel gennaio 2002 a livello fisico, mi ero schierato tra gli euroscettici –vedasi alcuni miei articoli in merito ancora leggibili all’interno di siti web e pubblicazioni– per una serie di motivazioni qui sinteticamente riunite:

  • macrodifferenze tra le economie dei Paesi aderenti alla moneta unica;
  • molteplici regimi fiscali all’interno dell’Eurozona con notevoli disparità di trattamento dei contribuenti nonché cittadini europei;
  • parametri di Maastrich assai rigidi e vincolanti che avrebbero sicuramente penalizzato sin da subito le economie più deboli e che utilizzavano l’arma della svalutazione monetaria per rimanere competitivi (Italia in primis);
  • indipendenza assoluta e natura privatistica della Banca Centrale Europea, al contrario di quanto accade invece per gli altri maggiori Paesi industrializzati dove gli Istituti Centrali seguono le direttive dei Governi ed hanno il potere di stampare moneta in periodi particolari di crisi e/o per ripianare e ridurre i deficit pubblici (Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, Canada, ecc…);
  • obiettivo principale della BCE, come da Statuto, del mantenimento della stabilità dei prezzileggasi: controllo dell’inflazioneanche a costo di sacrificare altri fondamentali economici quali la crescita produttiva ed il mantenimento dell’occupazione. Ma è facile intuire che la BCE non è stata altro che una trasmigrazione della Bundesbank, con le sue finalità e poteri, nella nuova Banca Centrale Europea.

Definivo e definisco tuttora l’Euro una valuta convenzionale ed artificiosa che ha preteso di unire Paesi ancora troppo distanti economicamente, fiscalmente e soprattutto culturalmente.

E all’epoca fui anche attaccato e criticato da pseudo-economisti, da politici ignoranti in materia ma che si professavano esperti economici, da laureati in materie finanziarie in famose Università inglesi i quali nelle loro motivazioni si rifacevano a dottrine economiche classiche ma puramente teoriche, ecc… (a distanza di tempo e soprattutto di fronte agli attuali dati di fatto, mi verrebbe voglia di ricontattare tutti questi personaggi…, ma probabilmente ora sono anche schierati dalla parte di chi critica la nuova valuta…).

Fattostà che, dopo un’immediata e veloce impennata del costo della vita soprattutto all’interno dei Paesi dell’area del Mediterraneo (circa 80-100%), purtroppo non accompagnata da un altrettanto incremento di stipendi e pensioni, dopo un lento ma progressivo aumento della disoccupazione fino a livelli record, soprattutto di quella giovanile (circa il 30% in Italia), dopo un PIL stagnante e attestato su bassi tassi di crescita nell’ultimo decennio, dopo un aumento generalizzato della pressione fiscale, dopo un impoverimento della classe media europea, ed ora con lo scoppio della grave problematica dei bilanci statali con il rischio default per numerosi Paesi dell’eurozona e della Comunità Europea, sembra si sia arrivati veramente alla resa dei conti ed al punto in cui si decideranno le sorti della moneta unica.

Le mie convinzioni di fuoriuscita di alcuni Paesi e di crisi dell’Euro derivano comunque dallo studio di scenari e strumenti finanziari; sto infatti seguendo da un paio d’anni l’evolversi delle quotazioni dei CDS –Credit Default Swap- Governativi.

I CDS sono nati come strumenti assicurativi che permettevano appunto di assicurarsi contro il rischio di default di uno Stato ma, con il passare del tempo, sono diventati dei veri e propri strumenti derivati utilizzati dai grandi speculatori quali Banche d’Affari, fondi hedge e fondi d’investimento, per guadagnare sulle spalle degli Stati e dei loro cittadini –vedasi il caso della Grecia praticamente affondata dalla speculazione finanziaria-. Il fatto è che questi strumenti possono essere utilizzati solamente da investitori istituzionali ma non da clienti retail quali per esempio un piccolo risparmiatore.

Nella tabella I potete vedere le quotazioni dei CDS governativi alla data del 25 gennaio 2011 , nemmeno un anno fa, e già allora si notavano le situazioni negative di Grecia (715.26), Irlanda (553.66), Portogallo (381.67), Spagna (253.09) ed Italia (184.11) rispetto ai più virtuosi Francia (107.70) e Germania (69.14). Per i non addetti ai lavori, più alto è il punteggio raffigurato, maggiore è il costo per assicurarsi contro il rischio di default, il ché equivale a dire che sono più alte le possibilità di crack di un determinato Paese.

La tabella in sostanza ci dice che la fotografia del nostro continente, ad inizio anno, era quella di un’Europa a 2 velocità all’interno della quale si contraddistinguevano Paesi pesantemente indebitati (quelli con un punteggio superiore a 150) i quali avrebbero dovuto attuare misure restrittive in tempi brevi per sanare le posizioni deficitarie, e Paesi con i conti in regola (quelli al di sotto di tale soglia) che potevano navigare… tranquillamente, almeno nel breve periodo.

Ben più emblematica è la tabella II, relativa ai CDS Governativi alla data del 25 novembre 2011, ovvero circa una settimana fa.

Balzano agli occhi gli accresciuti livelli delle quotazioni di Grecia (6648.99) che ne sanciscono oramai l’effettivo default, Portogallo (860.26), più che raddoppiato rispetto alla rilevazione di inizio anno, Irlanda (582.75), stabilizzata ma sempre assai negativa, Italia (524.17), praticamente triplicata rispetto alle precedenti quotazioni il ché denota un pesante aggravamento della situazione finanziaria pubblica oltre i limiti di rischio ma che ci ha anche fatto superare, in ordine di rischio, la Spagna (441.77).

Sono da menzionare però anche le quotazioni dei Paesi precedentemente “virtuosi”, ovvero di Francia (258.37), e di Germania (132.35), raddoppiate rispetto a quelle di gennaio.

La tabella però ci dice qualcos’altro di assai importante e significativo ma soprattutto di allarmante, cioè che tutte le quotazioni dei Paesi dell’Eurozonastanno accelerando verso l’alto in una spirale generale di incremento del rischio; in sintesi, ciò che fa paura ora è la situazione dell’intera Eurozona e non solamente di quei Paesi considerati un po’ scellerati nella gestione delle finanze pubbliche. Quindi il rischio di disfacimento o di profondi cambiamenti nell’Euro si fanno sempre più concreti.

Vorrei fare un piccolo inciso: nelle tabelle suindicate è anche facile calcolare a quanto sono ammontati i guadagni di chi ha comperato ad inizio anno un CDS sulla Grecia al prezzo di 715.26 ed ora magari decide di rivenderlo al prezzo di 6648.99…; il medesimo discorso vale per i CDS sull’Italia o su quei Paesi che hanno visto aumentare vertiginosamente le quotazioni di tali strumenti; in definitiva, profitti da capogiro…

Per tornare quindi alla mia iniziale convinzione di foriuscita di alcuni Paesi dall’Euro, il dilemma sta nello stabilire quali saranno le Nazioni che saranno costrette a fare tale passo: i Paesi con le più gravi situazioni finanziarie (Italia, Irlanda, Portogallo e naturalmente Grecia) i quali, non riuscendo più ad ottemperare e a rispettare i parametri imposti dal Trattato di Maastrich, avranno come uniche alternative altre successive finanziarie “lacrime e sangue” e/o la fuoriuscita dalla valuta unica,  oppure la stessa Germania la quale deciderà arbitrariamente di uscire poiché il permanere in questa condizione aggraverà automaticamente e progressivamente anche i propri conti..?. A tale proposito circolanorumours relativi alla stampa di marchi da parte di due Società svizzere su incarico del Governo tedesco.

Al di di quali saranno i prossimi scenari relativamente all’Euro e alla permanenza degli attuali Paesi all’interno dell’Eurozona, i prossimi giorni, da qui a fine anno 2011, saranno decisivi per la sopravvivenza della Moneta Unica. E se alla fine, sull’orlo del preannunciato disastro, intervenissero a sorpresa i “buoni” e “caritatevoli” alleati americani a salvare le sorti dell’Europa, come già fecero dopo la II Guerra Mondiale con il Piano Marshall..?; quali sarebbero poi le controprestazioni richieste ai nostri Governi..?, ma queste sono considerazioni esclusivamente personali.

Fabrizio Zampieri

Economista ed Analista Finanziario

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