La città degli ultimi

I piloni della tangenzialeLi hanno visti arrampicarsi sul terrapieno, rapidi e sicuri come se l’avessero già fatto cento volte. Li hanno visti arrivare fino in cima, a quindici metri d’altezza, dove la gobba di terra interseca i piloni della tangenziale. E li hanno visti sparire, inghiottiti dal pilone, trascinandosi dietro un fagotto.

I piloni della tangenzialeLi hanno visti arrampicarsi sul terrapieno, rapidi e sicuri come se l’avessero già fatto cento volte. Li hanno visti arrivare fino in cima, a quindici metri d’altezza, dove la gobba di terra interseca i piloni della tangenziale. E li hanno visti sparire, inghiottiti dal pilone, trascinandosi dietro un fagotto.

Gli agenti hanno chiesto rinforzi, e sono saliti per capire dov’erano finiti i tre uomini. Così mercoledì pomeriggio la città invisibile si è svelata agli occhi esterrefatti di un nugolo di poliziotti all’inseguimento di tre ladruncoli romeni. Il passaggio aperto tra il pilone e la base della tangenziale era la porta di quella città: una volta oltrepassata, in un folle inseguimento durato otto ore tra cunicoli, topi morti, detriti e immondizia, sono venute alla luce le tracce evidenti di una vita stanziale, condivisa da chissà quanti disperati, da chissà quanto tempo.

Spettri dell’autostrada
La città fantasma vive sotto un raccordo di Padova, si stende lungo tre chilometri e si moltiplica per quattro, quanti sono i basamenti tra l’asfalto e i piloni di Corso 13 Giugno, tangenziale che collega la zona Ovest della città alla zona Est e che porta come nome la data in cui si celebra Sant’Antonio, al quale italiani e romeni sono in uguale misura devoti.

La tangenziale è completamente sopraelevata, corre a 15 metri di altezza; i piloni reggono intercapedini di cemento armato sui cui poggia l’asfalto; le intercapedini sono chiuse ai lati e sono quattro, una per corsia, collegate tra loro da intersezioni che si succedono a distanze regolare. Tutto vuoto, tutto in collegamento: un mondo, per chi lo sa vedere, e la disperazione può far vedere l’impossibile. Quegli sconfinati cunicoli, sospesi nel vuoto tra il rombo e le vibrazioni dei camion che ci passano sopra, erano diventati un rifugio per uomini senza fortuna: quelli che avevano qualcosa da nascondere, e quelli che da nascondere avevano soltanto se stessi e il fallimento di un sogno chiamato Italia.

Quotidianità disumana
La polizia ha recuperato refurtiva di ogni tipo, ma ha trovato anche i segni di una vita al limite del possibile: materassi e coperte lerci, scatoloni a fare da armadio per vestiti luridi e poche scarpe sformate. Sacche buttate ovunque, vecchie riviste. Un fornello da campeggio, pentole e stoviglie, specchietti e lamette da barba, asciugamani luridi. Piccoli angoli di disumana quotidianità, qualcosa da mangiare ma soprattutto molto da bere, bottiglie di birra ancora da aprire e molte di più scolate e schiantate in mille frammenti nella rabbia ubriaca di una vita da topi.

Non li avrebbero mai trovati, se non per un caso. Marco Calì, dirigente della squadra Mobile di Padova, lo ammette: «Chi, tra tutti coloro che passano sopra quella tangenziale ogni giorno, avrebbe mai pensato di correre sopra una città?». Non basta la fantasia, serve la disperazione: «E’ vero che a Padova molto è stato fatto per togliere ogni rifugio di fortuna. Ma evidentemente c’è sempre un modo per andare oltre».

Li hanno scoperti così, inseguendo tre ladruncoli che nascondevano il bottino dell’ultimo furto: e anche l’inseguimento è stato una follia con trenta agenti e rinforzi che arrivavano di continuo a correre un po’ a testa alta e un po’ carponi tra i cunicoli di cui i tre romeni conoscevano ogni segreto. Poca luce, il frastuono del traffico, il senso di claustrofobia incombente, la bocca dello stomaco che si chiudeva di fronte alle carogne degli animali morti e ai segni lasciati dagli uomini.

L’eco delle urla, mentre nella corsa lo sguardo cominciava a registrare i segni inconfondibili di una vita in qualche modo vissuta. Alla fine, costretti a un angolo senza più vie di fuga, i tre romeni non si sono arresi: si sono avvicinati a una delle intersezioni, e si sono buttati. Gli è andata bene, era tra le più basse: la terra era a cinque metri, ne sono usciti illesi.

Li hanno presi e portati in Questura, hanno detto solo due parole: «comunitario» e «avvocato». Impossibile cercare un censimento per quanto approssimativo della città invisibile; per loro, che hanno età compresa tra i 20 e i 30 anni, quella vita sopraelevata era comunque priva di stupore, e migliore della città nelle fogne che ha visto sopravvivere, a Bucarest, tanti loro coetanei.

ANNA SANDRI, La Stampa
Tratto da:
 www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200703articoli/19040girata.asp

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