Tumore del colon-retto: evoluzione presente e futura della terapia

Si tratta della forma di tumore più diffusa del mondo occidentale che ha avuto,negli ultimi trent’anni, profonde modificazioni in relazione all’introduzione di tecnologie innovative.

22 dicembre 2023 – “UP TO DATE SULLA CHIRURGIA ONCOLOGICA, L’ESEMPIO DEL COLON-RETTO”, promossa da Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Johnson & Johnson MedTech, è una tavola rotonda per esaminare le varie sfaccettature che la chirurgia oncologica del colon-retto pone all’organizzazione sanitaria dal punto di vista clinico-assistenziale, organizzativo-gestionale e didattico-professionale.

“Si tratta della prima patologia oncologica, nella somma dei due sessi, che ha avuto negli ultimi trent’anni profonde modificazioni in relazione all’introduzione di tecnologie innovative: dalle suturatrici alla laparoscopia/robotica, dall’integrazione multidisciplinare alla preabilitazione preoperatoria dei pazienti”, spiega Enrico Restini, Direttore Dipartimento Chirurgico-Traumatologico, ASL BAT: “È tutto nell’ottica di rendere compatibile l’innovazione nella più diffusa forma di tumore del mondo occidentale”.

EVOLUZIONE IMPORTANTE DAL PUNTO DI VISTA FARMACOLOGICO E CHIRURGICO

“Il tumore del colon al retto ha avuto un’evoluzione importante negli ultimi due decenni – conferma Claudio Zanon, Direttore Scientifico Motore Sanità –sia dal punto di vista farmacologico con chemioterapie innovative e immunoterapia, sia dal punto di vista chirurgico, dove la chirurgia laparoscopica è diventata il gold standard della chirurgia del colon-retto. Oggi si tende a risparmiare il più possibile il retto e ad arrivare a fare interventi anche addirittura transanali con l’asportazione del retto stesso e del mesoretto, che fino a poco tempo fa si pensavano impossibili. La radioterapia è sempre abbinata sia per ciò che riguarda il carcinoma del retto, sia talora per il carcinoma del colon; abbinata come radiochirurgia, diventa estremamente importante per alcune soluzioni che possono in qualche modo supplire o alla chemioterapia, o comunque anche alla chirurgia stessa. È chiaro però che, per ottenere risultati omogenei, bisogna sempre di più concentrare questo tipo di chirurgia all’interno di chirurgie che sono specializzate, in cui un operatore dovrebbe fare almeno 30 tumori del colon all’anno e 20 tumori del retto.Anche perché, di fronte a un’evoluzione importante dal punto di vista tecnico-chirurgico, chemioterapico e radioterapico, esistono ancora centri che non sono adeguati a fare il trattamento per questo tumore e incidono sulla salute dei pazienti”.

IL CHIRURGO DEVE ESSERE INSERITO IN UN GRUPPO ONCOLOGICO MULTIDISCIPLINARE

“Il tema della chirurgia colon-rettale e, più in generale, della chirurgia oncologica, richiede alcune considerazioni”, chiosa Gianni Amunni, Coordinatore Scientifico ISPRO. “La prima, bisogna sempre di più pensare a volumi critici di casistica e a specifiche competenze dei chirurghi operatori. Secondo, il chirurgo deve essere inserito in un gruppo oncologico multidisciplinare in cui siano presenti tutte le competenze necessarie per un inquadramento a tutto tondo del caso e per l’offerta di procedure terapeutiche integrate a volte particolarmente complesse. Terzo, è bene che i percorsi dei pazienti affetti da questa patologia siano inseriti dentro reti oncologiche efficienti, in maniera tale che il percorso del paziente avvenga su binari in cui si tengano conto volumi critici di statistica, competenze professionali presenti e dotazione tecnologica. Quarto, occorre implementare livelli di adesione e di estensione agli screening per il tumore colon-rettale, in modo da avere una quota maggiore di forme in fase iniziale e quindi più curabili”.

IL TEMA DEL LAVORO IN EQUIPE

“La medicina sempre di più trova la specialità dentro la specialità e sicuramente la chirurgia oncologica dell’intestino colon-retto è un esempio di questo”, evidenzia Luciano Flor, già Direttore Generale Area Sanità e Sociale Regione del Veneto. “Penso che all’ospedale di Padova c’è un’unità operativa che è dedicata a questo tipo di chirurgia che distingue nella chirurgia oncologica le alte vie digestive dalle basse vie digestive, stessa distinzione che peraltro c’è nel mondo anglosassone e a livello internazionale, ma accanto al tema di specialità dentro la specialità, c’è il tema del lavoro in equipe. Oggi non è più solo l’oncologo, non è più solo il chirurgo, non è più solo il gastroenterologo, ma sono le equipe che fanno i gruppi multidisciplinari che mettono a disposizione del malato tutti i punti di vista scientifici per garantire le migliori cure. Questo è un modello che deve progredire, perché tutti i cittadini che hanno necessità possono avere un pari trattamento molto qualificato. Credo che dalla discussione di questa tavola rotonda emerga come la definizione di standard di qualità non è più un obiettivo per il clinico, ma è un’aspettativa e un diritto per il malato. Non dobbiamo mai dimenticare che, alla fine, il risultato dobbiamo misurarlo sul malato. Il malato oggi ha delle aspettative, se a queste corrisponde una capacità clinica ma anche organizzativa, noi potremo dare soddisfazione a queste aspettative, altrimenti sempre più cittadini andranno a trovare le soluzioni dove questo oggi è disponibile. È quindi una responsabilità anche dei professionisti, mettere le loro esperienze in comune per garantire questo approccio multidisciplinare”.

IL RUOLO CRUCIALE DELLA PREVENZIONE

“Per quanto riguarda gli interventi da farsi in caso di malattia, personalmente credo nelle reti oncologiche che sono in grado di far confrontare i diversi specialisti e poi di indirizzare il paziente allo specialista più adeguato per l’intervento più appropriato”, conclude Enrico Rossi, Relazioni con le Regioni – Motore Sanità – (già Presidente Regione Toscana).“Vorrei anche sottolineare l’importanza della prevenzione di primo e di secondo livello, relativa sia all’alimentazione, sia agli screening. È banale dirlo, viene sempre trascurata, ma è il momento di fare sul serio, anche da parte delle autorità pubbliche”.

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