Pascal e la modernità, miseria e grandezza dell’umano

Il 19 giugno 2023, nel quarto centenario della nascita di Blaise Pascal (1623), papa Francesco ha promulgato una lettera apostolica a lui dedicata che, sin nel titolo, Sublimitas et miseria hominis, coglie il cuore antropologico della proposta pascaliana. Una proposta di straordinaria attualità, che attraverso le pieghe dell’esperienza dell’uomo accompagna a riconoscere la fede cristiana come la sua più compiuta interpretazione, e la soluzione al tempo stesso delle sue contraddizioni, cosicché pare in lui chiaramente anticipato quel noto passaggio di Gaudium et spes, per cui “Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (n. 22).

In questa ricorrenza, la Facoltà teologica del Triveneto organizza una giornata di studio dedicata al poliedrico pensatore che, oltre a essere annoverato tra i maggiori matematici e fisici del tempo, è da considerare tra i padri della lingua letteraria francese moderna e soprattutto un profondo filosofo e apologeta. Una risorsa per pensare la fede nella modernità. Blaise Pascal tra scienza, filosofia e teologia, nel IV centenario della nascita è il titolo della proposta, in programma giovedì 14 dicembre a Padova.
Ne parliamo con Alberto Peratoner, docente di Metafisica e Teologia filosofica e di Antropologia filosofica alla Facoltà teologica del Triveneto.

Professor Peratoner, riprendendo il tema della giornata di studio, la fede che risorsa rappresenta per la modernità?
«Nessuno sembra oggi riconoscere la correlazione tra il processo di secolarizzazione in atto e il deterioramento della qualità umana, dalle relazioni interpersonali e instabilizzazione della sfera affettiva sino al degrado nella percezione delle responsabilità personali e professionali, nel perseguimento disinteressato del bene comune, nell’evaporazione di una cultura politica che meriti ancora di dirsi tale. Ecco, quale compimento dell’umano la fede oggi rappresenta una straordinaria risorsa di rigenerazione di civiltà, il vero e ultimo antidoto alla decostruzione del tessuto sociale e della qualità delle relazioni da parte del ripiegamento soggettivistico che ha segnato la parabola della modernità e di cui tutti soffriamo nelle forme più diverse».

Quali aspetti del pensiero di Pascal alimentano la cultura contemporanea?
«La cultura contemporanea, nell’elaborazione del pensiero filosofico, che solitamente viene assimilato nella cultura diffusa soltanto a lungo termine, da decenni a secoli, per alcune istanze fondamentali, è andata sviluppando una sensibilità particolare per l’esperienza umana e l’universo relazionale affettivo, evidentemente creato a compensazione del vuoto creatosi con il razionalismo postcartesiano, attraverso l’Illuminismo e i Positivismi. Il pensiero sapienziale ed esistenziale di Pascal sembra annunciare con tre, e oramai quattro secoli d’anticipo, tale sensibilità, ragione per cui i suoi scritti incontrano l’interesse e la sym-patheia di molti autori contemporanei, credenti e non credenti. Più che di un’alimentazione presentemente attiva, però, potremmo parlare di consonanze da un lato, dall’altro di potenzialità ancora largamente inespresse del pensiero di Pascal per la cultura contemporanea, e si potrebbe dire altrettanto di un altro gigante del pensiero moderno, Rosmini. Sono autori più attuali oggi di quando vissero, ma attendono ancora di essere più profondamente riscoperti».

Qual è il cuore antropologico della proposta pascaliana?
«La modernità di Pascal, quella per cui è così attuale e parla ancora all’uomo d’oggi, è la centratura antropologica della sua riflessione, la proposta cioè di ripartire dall’esperienza, in quanto dimensione che ciascuno può, nell’intimo della propria coscienza, ritrovare attraverso i propri vissuti. È far vedere che Cristo illustra e parla della verità del fondo del nostro essere, in un modo che ciascuno può riconoscere guardandosi dentro con onestà intellettuale. I materiali preparatori dell’originalissima Apologie che Pascal non portò mai a termine, i ben noti Pensieri, mirano a costruire il percorso di scoperta della fede a partire dall’analisi dell’umano, negli aspetti negativi e positivi della sua esperienza, nelle “contrarietà” di miseria e grandezza»

Quali sono i tratti caratterizzanti il pensiero di Pascal sulla scienza, la filosofia, la teologia?
«Ecco, Pascal applica proprio, attraverso quella che chiamo una “traslazione”, il metodo sperimentale, già praticato nelle ricerche sul vuoto e la pressione atmosferica, alla sua proposta di percorso apologetico. Ogni fenomeno osservato richiede una spiegazione. Formulata un’ipotesi capace di renderne ragione in tutti i suoi aspetti, si procede alla sua verifica. La complessità dell’umano, nelle sue tensioni di grandezza e miseria, è il fenomeno che richiede una spiegazione adeguata. L’ipotesi è Gesù Cristo. La verifica la nostra stessa esistenza nell’“esperimento” di una fede vissuta».

In particolare, come si configura il rapporto tra ragione e fede, tra il pensatore religioso e l’uomo di scienza?
«In una battuta sono solito dire che il rapporto tra ragione e fede, in Pascal, è un rapporto di continuità nell’eccedenza e di eccedenza nella continuità, come dev’essere del resto per ogni cristiano, e di fatto è la posizione classica della chiesa. La fede, scrive Pascal, vede “oltre” le evidenze empiriche dell’esperienza sensibile, ma non “contro” queste evidenze. Anzi, rappresenta la chiave di lettura più completa della realtà nella complessità dei vissuti dell’esperienza umana. L’oggetto proprio alla fede cristiana è Gesù Cristo quale vero Dio e vero uomo, un contenuto che non appare in forma immediata nell’orizzonte delle evidenze della vita presente. Eppure non contraddice la struttura dell’esperienza, anzi, la illumina come nessun’altra prospettiva. E in questo risiede l’anima portante dell’apologetica pascaliana».

E il “cuore” che spazio ha?
«Il cuore – coeur – in Pascal ha una ricchezza semantica straordinaria. Assomma le qualità del significato biblico di baricentro intellettivo-volitivo della persona, rivisitato attraverso Agostino e la prospettiva sapienziale patristica e della letteratura spirituale cristiana sino all’età moderna, alla funzione di momento intuitivo del pensiero, che attraverso l’apprensione dei principi precede lo sviluppo argomentativo del discorso. È quindi l’espressione più acuta e pura della “razionalità”, nella sua luminosità focale originaria, quella della fondamentale non-contraddittorietà dei dati dell’esperienza elementare. Quella che abbiamo dimenticato e non sappiamo neppure più concepire, avendo identificato la razionalità stessa, tutta, col “calcolo”, ma senza la quale, dissociandone radicalmente gli affetti, abbiamo finito per de-razionalizzarli e, di lì, destrutturarli».

Paola Zampieri

(Facoltà Teologica del Triveneto)