Pillola per la depressione post-partum, come funziona: i tempi per l’Europa

(Adnkronos) – Biogen punta a portare in Ue la prima pillola contro la depressione post partum, zuranolone, che negli Usa ha ottenuto l’approvazione della Fda ad agosto. “La nostra intenzione è ora quella di portare il farmaco anche in Europa” annuncia Christopher A. Viehbacher, presidente e Ceo di Biogen, in un’intervista all’Adnkronos Salute. “Stiamo lavorando per sottoporre la richiesta di approvazione l’anno prossimo”, nel 2024, “all’Agenzia europea del farmaco Ema”. La risposta dell’ente regolatorio Ue, considerati i tempi tecnici necessari per la revisione potrebbe arrivare nel 2024 stesso o anche nel 2025, dipende da quando partirà effettivamente l’application dall’azienda. Quando è arrivato il via libera negli States, c’era aspettativa tra gli esperti per il lancio di zuranolone. “La depressione post partum – osserva Viehbacher – è una condizione molto importante”. Sottodiagnosticata e sottotrattata, ha evidenziato il manager quando c’è stato l’ok Usa. 

“Probabilmente colpisce più madri di quanto pensiamo. La stima è circa una su 12, ma in realtà il dato potrebbe essere più alto” analizza il Ceo. E’ molto difficile, perché “le neomamme “si sentono enormemente in colpa per il fatto di non essere felici di avere” fra le braccia “il loro bambino. Pensano solo che ci deve essere qualcosa che non va. Si dicono: ‘Dovrei essere felice e non lo sono’. E non vogliono confidarlo a nessuno. Questo è un problema. E il secondo è che, anche se la madre va da un medico, non è chiaro quale sia la figura che può aiutarla. A volte è molto difficile andare da uno psichiatra e una madre forse non pensa di averne bisogno. In inglese abbiamo un’espressione, baby blues, che indica qualcosa di normale. Ma in realtà questo è un diverso tipo di depressione, c’è un cambiamento ormonale che colpisce” la neomamma. Il ginecologo-ostetrico potrebbe aiutarla? “Questi specialisti sono addestrati per far nascere bambini e fare interventi chirurgici. Non sempre si sentono ugualmente preparati e capaci di curare la depressione. E poi ci sono i medici di base che sono sempre molto impegnati”, riflette il Ceo. Con zuranolone, che segna l’ingresso di Biogen nell’area neuropsichiatrica, l’idea è di dare uno strumento ai camici bianchi per aiutare le mamme a superare questa problematica. E’ un trattamento orale che si assume una volta al giorno per 14 giorni.  

Secondo gli studi condotti, è in grado di fornire rapidi miglioramenti dei sintomi depressivi nelle donne con depressione post partum (Ppd). La Fda ha ritenuto che non ci fossero invece prove sostanziali dell’efficacia a sostegno dell’approvazione per la depressione maggiore e per questa condizione ha valutato come necessari uno o più studi aggiuntivi. Mentre per la Ppd l’approvazione Fda – chiesta e ottenuta da Biogen con Sage Therapeutics – si basa su due studi che hanno entrambi rilevato una riduzione media significativa dei punteggi nella scala che misura la gravità della depressione al 15esimo giorno rispetto al placebo. E uno di questi trial (Skylark) ha fotografato una significativa riduzione dei sintomi depressivi osservata già al giorno 3 e mantenuta fino al giorno 45. 

Commercializzare un farmaco di questo tipo richiede “un approccio speciale”, fa notare Viehbacher. “Dovremo fare due cose: la prima è aiutare i medici che tradizionalmente non trattano la depressione a capire come diagnosticarla e riconoscerla, e a supportare le madri. E la seconda è che dovremo ‘destigmatizzare’ tutto questo, in modo che le mamme si sentano più a loro agio nel cercare aiuto. Penso che potremmo usare i social media” per questa attività di sensibilizzazione “e potremmo aver bisogno di alcuni portavoce. Ci ha incoraggiato – rimarca il Ceo Biogen – l’elevata attenzione mediatica per questo farmaco. Se le mamme saranno in grado di parlare del problema, sarà già il primo passo per ricevere cure. Riconoscere che ci sono altre madri che soffrono di questa condizione, può rendere tutto molto più semplice. Quindi stiamo cercando di supportare le madri nel sentirsi bene nel cercare un trattamento. E poi, quando le mamme vanno dal medico, dobbiamo assicurarci che abbiano il supporto adeguato. Non si tratta solo di dire: abbiamo una nuova pillola per la depressione. C’è molto da modellare. E noi pensiamo di poter dare un contributo importante all’assistenza sanitaria con questo farmaco”. 

Un anticorpo monoclonale, che agisce contro l’Alzheimer riducendo le placche di beta-amiloide, da lanciare in Europa l’anno prossimo; lo sviluppo di un nuovo farmaco mirato a colpire la proteina Tau; il lavoro per nuove formulazioni più a misura di paziente come quella sottocute. Sono alcuni dei progetti che Biogen ha in cantiere per la malattia di Alzheimer, un campo sul quale sta intensificando gli sforzi, nonostante le difficoltà poste dalla patologia, che ha spinto anche alcune aziende ad abbandonare il campo. “Prevediamo che per i prossimi 25 anni Biogen sarà coinvolta in modo significativo nella ricerca di nuovi trattamenti per questa malattia, oltre a fornire la terapia attuale”, spiega in un’intervista all’Adnkronos Salute il presidente e Ceo di Biogen, Christopher A. Viehbacher. 

“Sull’Alzheimer abbiamo avuto una svolta – ripercorre il manager -. Con lecanemab”, sviluppato con Eisai, “abbiamo scoperto che avevamo l’anticorpo giusto per poter introdurre abbastanza farmaco nel cervello e ridurre le placche di beta-amiloide abbastanza da poter effettivamente vedere un beneficio cognitivo. E ora sappiamo anche che prima trattiamo – prima che troppi neuroni muoiano – e meglio è. Per quanto riguarda l’Europa, la richiesta di autorizzazione per il farmaco è stata presentata alla agenzia europea del farmaco Ema nel gennaio di quest’anno. E se tutto andrà bene, ci aspetteremmo di ottenere l’approvazione nel primo trimestre del 2024”, annuncia Viehbacher. “E ci aspettiamo di presentare in Ue anche la formulazione sottocutanea”, di lecanemab-irmb, e gli altri progetti su cui si sta lavorando. 

 

Un farmaco per “un migliaio di pazienti nel mondo, un centinaio in Italia”, sottogruppo di malati già rari come quelli con Sla. “Investire centinaia di migliaia di dollari con questo obiettivo può sembrare un’operazione all’apparenza senza un senso finanziario nell’immediato, ma ha un senso medico e scientifico”. Perché la ricerca condotta per sviluppare tofersen, trattamento per adulti con sclerosi laterale amiotrofica che presentano una mutazione di un gene chiamato Sod1 (superossido dismutasi 1), ha permesso “di convalidare un biomarcatore, i neurofilamenti” Nfl (neurofilamenti a catena leggera), “e ora chi fa ricerca sulla Sla avrà un lavoro più facile”. Non solo: “I neurofilamenti riguardano anche una serie di altre patologie neurologiche. E tutto questo lavoro pensiamo possa accelerare la capacità nostra e di altre aziende di definire nuovi trattamenti per alcune di queste malattie devastanti”. Il presidente e Ceo di Biogen, Christopher A. Viehbacher, spiega con questo esempio – in un’intervista all’Adnkronos Salute – la strategia dell’azienda sulle malattie rare. 

“In queste patologie – sottolinea – i bisogni insoddisfatti si legano all’assenza di medicinali, e il motivo per cui non ci sono farmaci è che di solito si tratta di malattie più complesse e difficili da comprendere. A Biogen piacciono le sfide. La Sla per esempio è una malattia terribile, spesso le persone muoiono entro 2 anni dalla diagnosi, ma le cause non sono ancora state ben comprese. Trent’anni fa è stato scoperto un gene specifico che causa la Sla in un piccolo numero di pazienti. Biogen ha lavorato molti anni per trovare un modo per interferire con quel gene, così da migliorare la salute di questo sottogruppo di pazienti. Negli Usa se ne contano solo 300”. In Italia, riferiscono dall’azienda, si stima siano tra 80 e 100. Mentre sono 67 i pazienti che nel nostro Paese sono già in terapia con tofersen per uso compassionevole. 

Il farmaco è dunque nato così e la sua approvazione, arrivata prima negli Usa, si è basata proprio sulla riduzione del biomarcatore Nfl osservata nei pazienti trattati. E’ vero, ammette Viehbacher, che “la maggior parte delle aziende quando sviluppa un nuovo farmaco guarda prima di tutto all’epidemiologia e si indirizza dove sono presenti molti pazienti. In questo caso noi abbiamo una popolazione molto piccola” di potenziali destinatari del farmaco. “Ma questa attività può offrire un contributo scientifico significativo. E per questo Biogen non si tirerà indietro – assicura – anche se potrebbe non rappresentare una grande opportunità commerciale. Poi è ovvio che un’azienda ha bisogno di sopravvivere e non sopravvive sviluppando solo prodotti del genere”. 

In quest’ottica Biogen, illustra il manager, ha portato avanti scelte come quella di “acquisire Reata”, un’operazione da “7 miliardi e mezzo di dollari” che ha permesso di “ampliare la nostra presenza sulle malattie rare e ci ha dato un prodotto di crescita a breve termine”, omaveloxolone per il trattamento dell’atassia di Friedreich, rara malattia neuromuscolare, già lanciato negli Stati Uniti, “e che prevediamo di lanciare in Europa l’anno prossimo”. L’acquisizione della società, che si occupa di sviluppo di farmaci che regolano il metabolismo cellulare e l’infiammazione in gravi malattie neurologiche, è stata completata a settembre 2023. E “ci consente di aumentare nuovamente i ricavi – evidenzia Viehbacher – perché è necessario realizzare profitti in modo da poter continuare a spendere in ricerca e sviluppo. Una voce sulla quale noi investiamo oltre il 25% dei nostri ricavi, un dato sopra la media”. 

(Adnkronos – Salute)

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