Fine vita: ripartire dalla vulnerabilità per una cultura della cura

Il documento della Conferenza Episcopale Triveneta sul tema del suicidio assistito, dal titolo Suicidio assistito o malati assistiti? (scarica il testo integrale), pone diverse questioni sul tavolo, ma ritengo che sia anzitutto da sottolineare lo stile di questo documento.

Di fronte all’urgenza di una presa di posizione, l’Episcopato si pone in maniera interrogativa di fronte al tema, non brandendo risposte preventive ma offrendo la propria comprensione e spunti di riflessione rispetto ad una domanda che interpella tutti. Fin dal titolo, posto in forma interrogativa, il documento non vuole dunque “chiudere il discorso”, ma animare un dialogo e un dibattito costruttivo e generativo, a livello ecclesiale come civile, oltre la postura di una bioetica conflittuale tra laici e cattolici – una “bioetica di Porta Pia” –, dinamica che ha dettato l’agenda bioetica nel secolo scorso.

Sul piano dei contenuti va ricordato il necessario approccio transdisciplinare a questi temi, che richiedono il convergere di dinamiche mediche, assistenziali, giuridiche, psicologiche, filosofico-teologiche, senza dimenticare delle prospettive delle scienze sociali come per esempio la demografia. Il secondo elemento centrale del documento è il tema della vulnerabilità creaturale, riconoscendo ognuno di noi come “essere del bisogno”: «un bisogno che si concretizza nel pianto del neonato, nella fragilità dell’adolescente, nello smarrimento dell’adulto, nella solitudine dell’anziano, nella sofferenza del malato, nell’ultimo respiro di chi muore. Tale cifra attraversa ogni fase dell’esistenza umana». Questo aspetto consente di riportare le questioni bioetiche da ambito iper-specialistico marginalizzato a livello accademico come di dibattito ecclesiale, alla prospettiva di ecologia integrale del “tutto è connesso” (Laudato si’, n. 117) per una cultura della vita (Evangelium vitae).

Sul piano specifico alcuni elementi bioetici sono fondanti un autentico dibattito e dialogo sul fine vita: non possiamo ridurre l’ampia gamma delle prospettive di fine vita al mero dibattito “suicidio assistito sì o no”, dal momento che così sfuggirebbero tutte quelle pratiche come le cure palliative o la sedazione palliativa profonda che vanno in direzione di evitare un’ostinazione irragionevole delle terapie. Anche quando non si può più guarire, si può sempre curare. Il rischio che alcune pratiche diventino una facile scorciatoia, come testimoniano i dati di molti Paesi in cui tali pratiche sono già legali, assume la fattezza di una prospettiva relativamente certa. L’implementazione solo parziale di alcune pratiche già oggi possibili, dalle cure palliative normate dalla legge 38/2010, alla pianificazione condivisa delle cure normata dalla legge 219/2017, indica la necessità di dar corpo a quanto già ora è possibile. In tal senso manca spesso una prospettiva di formazione del personale socio-sanitario come di informazione ed educazione (civica) della popolazione su queste tematiche. È di gran lunga più facile spingere il dibattito sulla polarizzazione mediatica e sulla parcellizzazione delle questioni, ridotte a mero antidoto burocratico e procedurale rispetto a domande di senso che, pur abitando le procedure, vanno molto oltre le stesse.

«Una società capace di cura evita lo scarto e costruisce cammini di speranza non solo per le persone assistite ma anche per chi se ne prende cura, non lasciando sole le famiglie e rinsaldando il vincolo sociale di solidarietà di fronte a chi soffre». Emergendo la sfida di un cammino non facile ma gioioso e solidale, anche la comunità cristiana è chiamata a farsi carico, in sede di dibattito culturale e accademico, per la promozione di un dialogo generativo e costruttivo con le autorità civili, favorendo soprattutto la crescita di spazi etici di riflessione che siano porta aperta nelle comunità e nei territori per donne e uomini – credenti, non credenti, in ricerca o senza una chiara appartenenza, i cosiddetti nones – che incontrano tali temi come singoli affetti dalle patologie, come familiari, come caregiver, come operatori di ospedali, case di cura, RSA e hospice e a cui non basta più solo una risposta tecnico-procedurale.

Leopoldo Sandonà
docente di Bioetica
Facoltà teologica del Triveneto

(Facoltà Teologica del Triveneto)