Santanchè e Delmastro, Anm: da Palazzo Chigi e ministero attacco a magistratura


Il presidente Santalucia: “Critiche pesantissime. Si parla di scontro ma è uno scontro non voluto che stiamo subendo”
Roma, 8 lug. – “Un attacco pesantissimo, ancora più insidioso perché riferito a fonti anonime”, a cui “sono seguiti due attacchi dal ministero della Giustizia”, Così, in apertura dei lavori del Comitato direttivo centrale, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, riferendosi agli interventi di e di sui casi del ministro Daniela Santanché e del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro. Si tratta di “critiche pesantissime” il tema è “la legittimazione della magistratura” e di “accuse gravissime, che colpiscono al cuore la magistratura”.
L’accusa “è quella di schierarsi in maniera faziosa nello scontro politico”. Questo “non riguarda l’Anm ma – sottolinea Santalucia – l’intera magistratura nell’esercizio delle sue funzioni”. Perché, ammonisce, “un magistrato fazioso che si schiera politicamente non è un cattivo magistrato, semplicemente non è un magistrato”. L’Anm “è libera e trasparente, non abbiamo nulla da nascondere, non abbiamo bisogno di riconoscimenti o di legittimazione”, sottolinea.
“Stiamo occupando le cronache senza volerlo – afferma Santalucia -. Si parla di scontro tra politica e magistratura, è uno scontro non voluto che stiamo subendo” e che “si è innalzato senza che noi si sia fatto nulla”.
“La magistratura – assicura – non ha alcuna voglia di alimentare lo scontro, ma quando il livello dello scontro si alza il silenzio sarebbe l’impacciato mutismo di chi non sa reagire a una politica che mostra i muscoli verso una istituzione di garanzia. Il silenzio sarebbe un arretramento, e noi non arretriamo davanti alla difesa della Costituzione”.
“Non sappiamo nulla di quello che è avvenuto” sul caso della ministra Daniela Santanchè, ma “il ministero della Giustizia dovrebbe fare il contrario, non manifestare sconcerto ma avendo poteri ispettivi chiedere una relazione su quello che è successo”. Il ministro “avrebbe dovuto fare altro, questo mi sarei atteso, una indagine immediata per disperdere ogni sospetto malizioso, e se era avvenuto qualcosa procedere nei confronti del singolo”, sottolinea il presidente dell’Associazione nazionale magistrati.
“E’ la seconda volta in un mese che ci troviamo a difendere non le ‘toghe rosse’ delle procure ma i giudici. Questo è un segno di crescente preoccupazione”, ha scandito Santalucia al comitato direttivo centrale. “Un giudice, che non conosco, ha fatto il suo mestiere: ha emesso un provvedimento con cui ha chiesto al pubblico ministero di esercitare l’azione penale perché in quel caso vuole vederci meglio”, ha sottolineato riferendosi al gip di Roma che ha chiesto l’imputazione coatta per il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro. “Qui si consegna all’opinione pubblica l’idea che un magistrato abbia esercitato in modo anomalo un potere-dovere, che invece è garanzia di legalità” e che “sta alla base dell’obbligatorietà dell’azione penale”, ha chiarito Santalucia. E questo “ci allarma”.
Il sospetto, aggiunge poi il vertice dell’Anm, è che le riforme costituzionali siano sbandierate non perché si crede servano a migliorare il sistema, ma come risposta di punizione nei confronti della magistratura. Se questo è, io chiedo con rispetto e umiltà di cambiare passo”, dice Santalucia.
Il ministro, ha ricordato, aveva assicurato che queste riforme “non sono in un orizzonte immediato” ma ora “ha detto che occorre accelerare sulla separazione delle carriere perché un giudice non è stato d’accordo con un pm”. Noi, ha ribadito Santalucia, “vogliamo discutere di riforme che sembrano utili e di quelle che utili non ci sembrano, non interferiamo”.
Un concetto ribadito nel documento approvato all’unanimità dal Comitato direttivo centrale dell’Anm. “Riteniamo – si legge – che intervenire nel dibattito che, fisiologicamente, precede e accompagna ogni proposta di riforma legislativa capace di incidere proprio sui diritti e sulle libertà sia propriamente un dovere dell’Associazione nazionale magistrati: è un dovere perché il nostro intento è solo quello di far conoscere all’opinione pubblica, ed alle istituzioni cui poi spetta il compito delle decisioni e delle scelte, ogni aspetto, ogni profilo, ogni implicazione sottesi alle annunciate riforme”, sottolinea l’Anm. “Lungi dall’essere un’interferenza, è la pretesa di essere ascoltati perché portatori di conoscenze ed esperienze proprie del nostro ruolo; e perché tra i compiti, altissimi, della nostra Associazione vi è quello, irrinunciabile, di presidiare i valori essenziali dell’indipendenza e dell’autonomia, e di tutti quelli che vi sono indefettibilmente collegati”, chiarisce il documento. “Ecco perché non rinunceremo mai a far sentire la nostra voce; ed ascoltarla, da parte di chi ha poi la responsabilità di compiere le scelte come espressione della sovranità popolare, è, per noi, indice, e dimostrazione, della qualità della democrazia”.
L’Associazione nazionale magistrati “rappresenta la quasi totalità della magistratura italiana, e nei 114 anni della sua storia ha esercitato un ruolo essenziale, come interlocutrice qualificata e autorevole delle istituzioni dello Stato, del mondo forense, dell’Accademia, delle forze politiche e sociali. Con la sola parentesi, lunga e dolorosa, del regime fascista, la nostra Associazione è stata voce libera ed ascoltata, perché è la voce di chi esercita un ruolo essenziale nella vita della Repubblica, e per questo è portatrice di conoscenze e fautrice di proposte, in quanto animata dal solo proposito di rendere migliore il difficile compito dell’esercizio della giurisdizione, presidio dei diritti e delle libertà dei cittadini”.
Nel documento si torna anche sul caso Delmanstro. “Le prese di posizione, che si susseguono in questi giorni censurando i provvedimenti di un giudice, sono incomprensibili”. E “se queste posizioni provengono dal ministero della Giustizia l’incomprensibilità lascia posto allo smarrimento”. A denunciarlo, in un documento approvato all’unanimità dal comitato direttivo centrale, è l’Associazione nazionale magistrati, riferendosi al caso che vede coinvolto il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro. L’Anm esprime l’auspicio “che queste prese di posizione siano frutto di una lettura affrettata della vicenda processuale, che non siano veramente condivise dal responsabile del dicastero e dalla maggioranza governativa e che alcuni giorni di riflessione possano condurre a conclusioni più meditate”.
“Il fatto che un giudice controlli l’azione del pubblico ministero non solo quando egli esercita l’azione penale e quella cautelare, ma anche quando intenda chiedere l’archiviazione, costituisce esercizio di una funzione strettamente connessa alla tutela dei diritti e degli interessi pubblici presidiati dalle norme penali ed è garanzia dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge”, sottolinea l’Anm. E le censure sono incomprensibili “specie laddove provengano da chi propone, nello stesso tempo, di affidare a tre giudici invece che a uno la valutazione delle richieste di misure cautelari. Quando invece la richiesta del pubblico ministero va nella direzione auspicata, allora il giudice non serve più. Prima si auspica la separazione delle carriere perché i giudici sarebbero subalterni ai pubblici ministeri, poi si insorge quando un giudice si discosta dalle loro richieste”.
L’Anm, infine “ribadisce con convinzione che l’architettura costituzionale che disegna la separazione dei poteri dello Stato è garanzia dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e della tutela dei diritti fondamentali di fronte a ogni potere. Si tratta dei fondamenti dello Stato di diritto e della democrazia costituzionale al cui presidio sono poste anche la magistratura e l’esercizio della giurisdizione”.

(Adnkronos)