Ruby ter, giudici: “Errore processuale sentire olgettine come testimoni”


Uno dei passaggi nelle motivazioni dell’assoluzione dello scorso 15 febbraio per tutti i 29 imputati
Milano, 16 mag. La procura di Milano ha elencato nel processo Ruby ter, quali prove del presunto accordo corruttivo tra l’ex premier Silvio Berlusconi e le olgettine, “elementi che – in forma di indizi – erano già a disposizione dei collegi dei processi cd. Ruby 1 e Ruby 2” e ciò “dimostra” ad avviso dei giudici del tribunale “che in quei processi quegli elementi potessero e dovessero determinare all’escussione delle imputate come indagate sostanziali”, rispetto alle quali non servono prove ma “sono sufficienti indizi del reato”. E’ uno dei passaggi delle motivazioni, molto tecniche, con cui i giudici della settima sezione del tribunale di Milano spiegano l’assoluzione per l’ex premier Silvio Berlusconi e gli altri 28 imputati del caso Ruby ter.
Le ragazze che avrebbero ricevuto soldi o altre utilità in cambio del silenzio non dovevano essere ascoltate come semplici testimoni, ma come ‘assistite’ e questo “avrebbe evitato un dispendio di attività processuale di fatto rivelatasi inutil(izzabil) e posto le legittime premesse per trarre le corrette conseguenze in tema di responsabilità” si legge nelle quasi 200 pagine. “Gli elementi per qualificare correttamente le odierne imputate erano negli atti a disposizione dell’autorità giudiziaria già prima che le medesime fossero chiamate a sedere sul banco dei ‘testimoni’. I due tribunali li valorizzarono nelle sentenze solo al fine di privare in concreto di valore probatorio le dichiarazioni rese, anche in considerazione della ritenuta falsità delle medesime” si aggiunge.
“Ma, all’evidenza, non si poteva certo aspettare che il soggetto asseritamente pagato per rendere dichiarazioni false rendesse queste ultime per dimostrare un’indebita interferenza con l’attività processuale di cui già c’erano indizi. Diversamente, come osservato, si finirebbe per realizzare l’obiettivo che le norme sull’incompatibilità a testimoniare intendono scongiurare: costringere taluno ad autoaccusarsi e incriminare il soggetto già impropriamente escusso come testimone per le dichiarazioni rese in una veste che non poteva legittimamente assumere”, spiegano i giudici.
“Se le imputate – scrivono i giudici – fossero state correttamente qualificate e gli avvisi fossero stati formulati, si sarebbe potuto discutere della configurabilità dell’articolo 377 bis del codice penale” – delitto di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria – “ovviamente nei confronti del solo Berlusconi in relazione alle dichiaranti che avessero scelto il silenzio e dell’articolo 319 ter codice penale”, ossia corruzione in atti giudiziari, “con riferimento a quelle che invece avessero consapevolmente deciso di rendere dichiarazioni sulla responsabilità altrui. Ma quell’omissione di garanzia ha irrimediabilmente pregiudicato l’operatività di fattispecie di diritto penale sostanziale strettamente connesse con il diritto processuale”. In parole semplici le ‘olgettine’ dovevano essere sentite non come testimoni assistite e non averlo fatto ha ‘pregiudicato’ l’andamento del procedimento che si e concluso senza condanne.
Nel processo Ruby ter Silvio Berlusconi è chiamato a rispondere, “quale privato corruttore, di tutte le condotte di corruzione in atti giudiziari contestate alle odierne imputate”, un reato che si fonda sull’accordo tra privato corruttore e pubblico ufficiale corrotto: non può configurarsi senza i due termini dell’accordo corruttivo, ossia il privato corruttore e il pubblico ufficiale corrotto.
Ma la fattispecie corruttiva non può configurarsi “perché quelle che sono state ipotizzate come testimoni corrotte non hanno mai assunto quel pubblico ufficio”, come sentenziato con il dispositivo della corte del 3 novembre 2021, quindi “non può che concludersi per l’insussistenza del fatto tipico anche nei confronti dell’ipotizzato corruttore, Berlusconi”, si legge nelle motivazioni. “Neppure vi è spazio per una riqualificazione dei fatti o per la trasmissione degli atti al pm perché proceda per un fatto diverso, provvedimenti invero nemmeno sollecitati da alcuna delle parti”.
Le olgettine non sono testimone ma indagate di un reato connesso, e questo vale anche per Karima El Mahroug. “Il crollo dell’impianto accusatorio” nei confronti di chi è accusata di corruzione in atti giudiziaria, e di falsa testimonianza, fa venir meno anche alle accuse nei confronti di Luca Risso, ex compagno di Ruby, accusato di riciclaggio.
“Nessuna delle imputate di corruzione in atti giudiziari – si legge ancora – ha mai acquisito l’ufficio pubblico di testimone. Non solo perché tutte loro erano incompatibili con tale qualità perché ciascuna era stata raggiunta da indizi sostanziali di reità sin da epoca ampiamente antecedente il momento in cui ha reso dichiarazioni, ma anche perché i due Tribunali (Ruby 1 e Ruby 2, ndr) hanno autorizzato la citazione delle dichiaranti in un momento ben posteriore alla data di emissione dell’ordinanza di ammissione delle prove orali che le riguardavano”.
Ciascuna delle olgettine, imputate di corruzione in atti giudiziari, “prima dell’escussione nei due dibattimenti Ruby 1 e Ruby 2 fosse stata sostanzialmente già raggiunta – ritiene la corte – da indizi di reità della fattispecie corruttiva”, elemento che porta a escludere che i pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio potessero sertirle come testimoni. Una “omissione di garanzia” che ha portato i giudici ad assolvere tutti.
E ancora: “Se fossero state osservate le garanzie collegate all’effettiva veste delle dichiaranti, non si sarebbero disperse energie processuali nell’acquisizione di dichiarazioni da fonti che si sapevano ‘inquinate’ a monte e che, a valle, sono state comunque ritenute sterili ai fini dell’accertamento dei fatti”.
“Tutte le odierne imputate sono state infatti ritenute inattendibili proprio perché contaminate dal più volte evocato ‘inquinamento probatorio’, come efficacemente denominato dalla sentenza resa all’esito del processo cosiddetto Ruby 2. Senza contare la generazione di un terzo filone processuale, il presente, che non ha potuto fare a meno – diversamente avrebbe tradito l’essenza dello Stato di diritto – di ripristinare quell’ordine di garanzie violato, il tutto con profusione di ulteriori energie processuali che una riflessione sulla posizione processuale delle dichiaranti, prima di escuterle, avrebbe evitato. Si chiude qui l’unica considerazione postuma che questo collegio si è concesso” aggiunge il collegio.
In conclusione, “quanto accaduto nella vicenda processuale oggetto del presente giudizio è paradigmatico del fatto che l’autorità giudiziaria deve assicurare il rispetto nel caso concreto del bilanciamento tra la garanzia dell’individuo e le istanze della collettività di accertamento dei reati, conchiuso nelle norme sullo statuto dei dichiaranti. Ma, in definitiva, il presidio di quel delicato punto di equilibrio tra esigenze contrapposte si nutre della leale collaborazione di tutti i soggetti del processo, anche delle parti: esse sono chiamate a segnalare all’autorità procedente elementi idonei a identificare la corretta veste processuale con cui assumere le dichiarazioni di un soggetto nel procedimento”.

(Adnkronos)