Covid, lo studio: ‘spia’ nel sangue può predire gravità



Milano, 9 dic. (Adnkronos Salute) – Una ‘spia’ nel sangue potrebbe aiutare a predire se un paziente con infezione da Sars-CoV-2 rischia di sviluppare una forma grave di Covid-19. A identificarla un team di scienziati in uno studio condotto a Milano, una delle città italiane più colpite dalla pandemia, nella sua seconda ondata. Gli scienziati hanno messo sotto la lente una molecola, la sfingosina-1-fosfato, che mostra un ruolo chiave nell’infezione e che, misurata attraverso un prelievo ematico già ai primi sintomi, potrebbe fornire informazioni preziose sull’evoluzione del quadro clinico.
La ricerca, i cui risultati sono pubblicati sulla rivista ‘Embo Molecular Medicine’ è frutto di una stabile collaborazione tra l’università degli Studi di Milano, il Policlinico del capoluogo lombardo e l’Aeronautica militare con l’Istituto di medicina aerospaziale di Milano. A portarla avanti un team multidisciplinare di esperti, guidato da Giovanni Marfia e coordinato da Stefano Centanni e Laura Riboni. Lo studio è stato condotto su 111 pazienti e ha rivelato la presenza di questo biomarcatore associato all’aggressività di Covid, descrivendo uno dei “potenziali meccanismi responsabili della sua morbidità e mortalità”.
“Bassi livelli circolanti di sfingosina-1-fosfato – spiega Giovanni Marfia, del Laboratorio di neurochirurgia sperimentale e terapia cellulare del Policlinico di Milano e medico del Corpo sanitario aeronautico – sono indicativi di un’aumentata probabilità che s’instauri un grave quadro clinico, che richieda il ricovero in terapia intensiva del paziente, oltre a indicare un’aumentata probabilità di esito sfavorevole e quindi di decesso”.
I dati analizzati, prosegue Marfia, “ci hanno consentito di determinare un valore soglia di sfingosina-1-fosfato, misurabile dopo un prelievo ematico già al momento della manifestazione dei primi sintomi, sotto al quale aumenta l’incidenza di complicanze e danno severo a diversi organi tra cui polmoni, fegato e rene”. Lo studio dimostra come il dosaggio di questo marcatore al momento della rilevata positività o all’accesso in pronto soccorso, attraverso un semplice prelievo di sangue, ematico possa consentire di stratificare i pazienti in funzione del rischio individuale e introdurre interventi terapeutici tempestivi.
“La sfingosina-1-fosfato – descrive Laura Riboni, professore ordinario di Biochimica dell’Università degli Studi di Milano – è un biomodulatore chiave in molti processi cellulari vitali, tra cui lo sviluppo e l’integrità vascolare, il traffico linfocitario ed i processi infiammatori. Quando i livelli circolanti di sfingosina-1-fosfato diminuiscono, s’instaura un danno vascolare e un’alterata risposta del sistema immunitario che determina un eccessivo e persistente stato infiammatorio. Il ripristino dei livelli fisiologici di sfingosina-1-fosfato può rappresentare una strategia utile a ridurre il rischio di progressione infausta del quadro clinico in pazienti con Covid ed anche ad indurre un’efficace risposta immunitaria dopo vaccinazione”.
“Lo studio, tutto italiano – sottolinea Stefano Centanni, direttore del Dipartimento di scienze della salute e della Uoc di Pneumologia dell’Asst Santi Paolo e Carlo – potrebbe avere risvolti importanti, in quanto la sfingosina-1-fosfato può essere utilizzata come marcatore prognostico e di monitoraggio per l’andamento della malattia, permettendo una più precisa classificazione dei pazienti e la concretizzazione di interventi precoci”.
Un altro risvolto importante di questo studio, prosegue, “è che la sfingosina-1-fosfato può essere considerata un nuovo bersaglio terapeutico, sia in termini di ripristino dei normali livelli circolanti, sia nel potenziamento dei protocolli terapeutici in quei pazienti a più alto rischio, consentendo anche una migliore allocazione delle risorse sanitarie”.
“Siamo orgogliosi del team di ricerca che si è creato e che ha portato a questo importante traguardo”, spiega Giuseppe Ciniglio Appiani, attuale Capo del servizio sanitario dell’Aeronautica Militare. “Come rappresentanti delle Forze armate abbiamo partecipato attivamente a servizio del Paese per la gestione dei focolai Covid durante le fasi più critiche dell’emergenza in Lombardia. Ci fa onore essere riusciti a contribuire a questo importante studio scientifico che potrà sicuramente avere un impatto rilevante nella gestione dei pazienti.

(Adnkronos)

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