Spiagge ‘occupate’, sempre meno libere e balneabili



Roma, 4 ago. – Trovare un posto in spiaggia per prendere il sole liberamente e gratuitamente è sempre più difficile. L’erosione aumenta ma aumentano anche le concessioni balneari che a oggi interessano oltre il 50% delle spiagge italiane, mentre l’8% di costa non è balneabile perché il mare è inquinato. A dirlo è il nuovo rapporto Spiagge di Legambiente, che come ogni anno fotografa la situazione e i cambiamenti in corso nelle aree costiere italiane, insieme alla campagna Goletta Verde.
Mettendo insieme i dati del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, di Regioni e Comuni, e analizzato foto aeree, l’associazione ha stilato la classifica dei primi dieci comuni costieri con la maggiore occupazione di spiagge in concessione: Alassio, Jesolo, Forte dei Marmi, Rimini, Lido di Ostia, San Benedetto del Tronto, Alba Adriatica, Pozzuoli, Giardini Naxos e Mondello.
Mancano spiagge libere in Versilia e in Romagna, dove meno del 10% dei litorali è spiaggia libera, risultato che è spesso la somma di corridoi tra gli stabilimenti e di zone in cui è vietata la balneazione. Il record a Forte dei Marmi, dove lungo 4,7 km di linea costiera si contano 125 stabilimenti, per un’occupazione del 93,7% della costa. Mentre in Liguria ed Emilia-Romagna quasi il 70% è occupato da stabilimenti balneari, in Campania il 67,7%, nelle Marche il 61,8%.
In Sicilia la percentuale di spiagge in concessione è più bassa che in altre regioni, ma nel 2019 sono state presentate oltre 600 richieste di nuovi stabilimenti. A confermare la necessità di controlli sono alcune situazioni di illegalità come a Ostia o Pozzuoli, dove muri e barriere impediscono vista e accesso al mare.
Oltre la spiaggia, il mare. Dove però non sempre è facile fare un bagno in tratti di costa puliti, come emerge dai dati 2020 del portale Acque del ministero della Salute, elaborati da Legambiente.
Il 7,8% dei tratti sabbiosi in Italia (tra chilometri di costa interdetti alla balneazione e abbandonati, ossia aree in cui ricade la foce di un fiume, di un torrente o di uno scarico e che non vengono campionate) è sottratto alla balneazione per ragioni di inquinamento, in special modo in Sicilia, Calabria e Campania che in totale contano circa 73,5 km sui 90 interdetti a livello nazionale; mentre sono complessivamente 169,04 i km di costa ‘abbandonati’ in tutta Italia.
Il risultato è che la spiaggia libera e balneabile nel nostro Paese si riduce mediamente al 40%, ma con grandi differenze tra le Regioni.
La sabbia non scompare solo dietro gli stabilimenti, ma anche a causa dell’erosione costiera. Dal 1970 i tratti di litorale soggetti a erosione sono triplicati e oggi ne soffre il 46% delle coste sabbiose, con tendenze molto diverse tra le regioni e picchi del 60% e oltre in Abruzzo, Sicilia e Calabria. In media è come se avessimo perso 23 metri di profondità di spiaggia per tutti i 1.750 km di litorale in erosione. E i cambiamenti climatici con l’innalzamento del livello del mare in atto, mettono a rischio inondazione 40 ambiti (elaborazione Enea).
Secondo l’Ue, l’impatto sulle coste europee di questi fenomeni ha provocato danni pari a 7 miliardi di euro all’anno che, si stima, passeranno a 20 miliardi di euro all’anno nei prossimi anni, con una popolazione colpita pari a 10 milioni di europei.
L’unico intervento normativo sulle spiagge negli ultimi 14 anni ha riguardato la proroga senza gara delle concessioni balneari: ultima, in ordine di tempo, quella approvata nella Legge di Bilancio 2019 e nel recente Decreto Rilancio che le estende fino al 2033, nonostante già nel 2009 l’Ue abbia avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia chiedendo la loro messa a gara, visto che la Direttiva Bolkestein del 2006 prevede la possibilità anche per operatori di altri Paesi Ue di partecipare ai bandi pubblici per l’assegnazione.
Entrate per lo Stato pari a 103 milioni di euro (secondo gli ultimi dati del 2016) a fronte di un giro d’affari miliardario. Sono i canoni pagati per le concessioni balneari, come denuncia Legambiente nel suo ultimo report “Spiagge”. Un totale di 10.812 stabilimenti balneari in Italia, tra realtà di enorme successo e concessioni fuori dai circuiti turistici principali, dove per poche settimane all’anno si riempiono gli ombrelloni in realtà degradate da inquinamento e abusivismo edilizio.
“Siamo l’unica nazione europea a non porre alcun limite alla quantità di spiagge date in concessione, lasciando questa scelta alle Regioni”, denuncia Legambiente. Tra le regioni più virtuose Puglia, Sardegna e Lazio, dove la quota minima di spiagge da garantire alla libera fruizione (o libera fruizione attrezzata) è regolamentata e fissata tra il 60-50%. Continuano a essere cinque, invece, le regioni prive di norme che specifichino una percentuale minima da destinare alle spiagge libere: Toscana, Basilicata, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Veneto. Il problema, tuttavia, riguarda nei fatti il rispetto dei limiti di legge da parte dei singoli Comuni, anche nelle Regioni che si sono dotate di norme.
Qualche nota positiva, però, c’è. Da una parte i cittadini, sempre più sensibili al tema, si sono organizzati in gruppi per difendere tratti di costa minacciati, dal Coordinamento nazionale Mare Libero ai blitz contro la privatizzazione delle spiagge a Massa, Napoli e Mondello. Dall’altra, si moltiplicano esperienze di gestione di qualità.
Tra le buone pratiche dell’estate 2020, le spiagge accessibili e “smoke free” a Bibione (qui hanno realizzato tavoli e sedute con il legno degli alberi caduti durante la tempesta Vaia); la fondazione Cesare Serono ha realizzato, prima in Italia, una mappatura multimediale delle spiagge accessibili ai disabili; il Bagno Sport 70 di Cesenatico, capofila nella lotta all’uso della plastica (bevande alla spina e borracce termiche ai clienti, prevedendo per la stagione un risparmio di circa 20mila bottiglie di plastica).
Aumentano le spiagge pet-friendly, come la Baubeach a Maccarese, la Dog Beach di San Vincenzo, la spiaggia di Pluto a Bibbione e il Bagno 81 di Rimini. Infine, il Parco Regionale Isola di S. Andrea e Litorale di Punta Pizzo in Puglia: qui la conservazione dell’area è stata affidata a Legambiente Gallipoli che si occupa della realizzazione della Carta aggiornata degli Habitat, di individuare con criteri ecocompatibili aree adibite a parcheggio temporaneo al servizio di attività turistico-ricreativo-costiere, della pulizia, della posidonia spiaggiata, delle aree umide del canale dei Samari e dello stato di salute di alcune specie animali.
“La sfida che vogliamo lanciare ai Comuni costieri, ai balneari, al Governo è di aprire un confronto sul futuro delle spiagge italiane: se entriamo infatti nel merito delle questioni diventa possibile trovare soluzioni di qualità, interesse generale e innovative – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – È un obiettivo condiviso che vi siano maggiori e più efficaci controlli rispetto alle trasformazioni in corso lungo le coste italiane, per trovare regole capaci di migliorare e diversificare l’offerta, di affrontare questioni ambientali, come l’erosione, che si aggraveranno in una prospettiva di cambiamenti climatici”.
Ogni anno, ricorda Sebastiano Venneri, responsabile turismo di Legambiente, “scompaiono chilometri di spiagge per l’erosione costiera e perché insieme al sistema di porti, città e borghi marinari, aree protette, rappresenta una risorsa chiave per il rilancio del Paese, che potrebbe rafforzarsi grazie anche a un’offerta più qualificata e diversificata per aree e stagionalità. L’errore da non commettere è continuare ad affrontare separatamente questioni che necessitano di politiche integrate e di programmazione degli interventi di recupero, di un turismo sostenibile e accessibile, di regole trasparenti e dell’isolamento per chi non le rispetta”.
Queste le priorità per una Legge di riordino delle spiagge, secondo Legambiente: garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge, fissando limiti alla percentuale data in concessione e una quota prevalente di spiagge libera per ogni Comune, ma anche spingendo verso forme di concessione più leggere; premiare la qualità dell’offerta nelle spiagge in concessione, coloro cioè che puntano su una logica ambientale sempre più integrata con il territorio e su imprese locali e familiari capaci di garantire l’occupazione.
E ancora: canoni adeguati con risorse da utilizzare per riqualificare il patrimonio naturale, con una parte degli stessi che rimanga ai Comuni, così come chiesto anche dai balneari; una strategia nazionale per erosione, inquinamento e adattamento al clima, che riguardi tutti gli 8 mila chilometri di coste italiane, la metà dei quali soggetti a erosione, e la garanzia del diritto a un mare pulito, restituendo alla balneazione acque soggette a cattiva depurazione o non più campionate.

(Adnkronos)

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