Pasqua 20024, la riflessione di Don Giorgio Bozza

In occasione della Settimana Santa proponiamo la riflessione del consigliere ecclesiastico

Gratitudine

Ci siamo lasciati intorno a Natale in cui raccontavo l’aneddoto di una nonna e di sua nipote che attraversano la strada sulle strisce pedonali.

Dopo aver letto questo racconto, alcuni amici mi hanno confidato di aver preso l’abitudine di dare la precedenza ai pedoni e, in diverse occasioni, hanno ricevuto anche loro un cenno di gratitudine. La cosa mi fa piacere, prima di tutto perché si rispetta il codice della strada, in secondo luogo perché non c’è cosa più bella che ricevere un grazie inaspettato.

In questo augurio di Pasqua, vorrei continuare la mia riflessione su quell’episodio, ma guardandolo dalla prospettiva di chi esprime la gratitudine, anziché da chi la riceve.

Perché sentiamo il bisogno di ringraziare l’automobilista? È come ringraziare il salumiere per averci venduto il salame: non è forse il suo lavoro? Non è lì per quello? Perché questi gesti che possono sembrare senza senso; l’automobilista deve sempre dare la precedenza al pedone? La risposta è semplice: perché ci sentiamo riconosciuti come persone.

Ogni volta che qualcuno ci tratta come donne e come uomini, noi lo apprezziamo. Non ci interessa che sia l’automobilista o il salumiere, ci fa piacere essere trattati come persone e non solo come pedoni o clienti. Anche un semplice saluto di cortesia è segno di questa attenzione. Sono piccoli gesti che ci fanno sentire importanti, ci fanno capire che non siamo oggetti, ma persone, e che meritiamo attenzione.

Quando veniamo trattati come esseri umani, dentro di noi scatta un senso di gratitudine. Questa, prima di un atteggiamento o di un comportamento è un’emozione. L’essere al centro dell’attenzione ci emoziona, cioè ci “tira fuori”, “ci smuove”, “ci fa uscire da noi”, come suggerisce l’etimologia del verbo “emozionarsi”. Chi perde l’abitudine di ringraziare, perde anche la capacità di emozionarsi e con essa la gioia di vivere. Forse i giovani e i bambini non provano più emozioni perché non trovano adulti che li facciano sentire importati, che li mettano al centro delle loro attenzioni.

Tutti i racconti dei Vangeli in cui donne e uomini incontrano il Risorto, e che leggeremo in questo periodo pasquale, sono scene piene di gioia, entusiasmo, ma anche di paura, incredulità e dubbio. Sono un turbine di emozioni che costringono chi le vive ad uscire da sé, a muoversi, a correre da una parte all’altra, a lasciare da parte la tristezza per aprirsi a qualcosa di nuovo.

La Pasqua non è solo l’annuncio di una vita che è eterna, ma l’emozionante esperienza di sentirsi fissati dal Cristo Risorto. Al di là del velo della morte, Gesù ci rassicura con il suo sguardo: «Tu esisti! Non sei un oggetto, ma una persona e come tale hai la mia attenzione e non morirai mai».

Uno dei significati più belli della parola “amore” rimanda due termini latini a-mors: “senza-morte”, “immortale”. Amare una persona significa dirle: “non morirà mai”. Sono parole che ogni anno sentiamo risuonare nelle nostre chiese nella notte di Pasqua e ci portano a innalzare una preghiera di ringraziamento verso Colui che ha attraversato le tenebre della morte per donarci il suo sguardo a-morevole. Buona Pasqua.

(Coldiretti Padova)