La Polizia di Stato esegue sequestro preventivo di una cooperativa di Vigonza che sfruttava migranti irregolari

Gli Agenti della Squadra Mobile della Questura di Padova, nel corso della mattinata odierna, hanno dato esecuzione, congiuntamente a personale dell’Ispettorato del Lavoro di Padova co-delegato all’esecuzione del provvedimento, ad un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, disposto nei confronti di una società Cooperativa con sede in Vigonza.

Il provvedimento è stato disposto dal Giudice delle indagini preliminari di Padova su richiesta della locale Procura della Repubblica ad esito di attività delegata a questa Squadra Mobile nei confronti di un 48enne padovano, già Presidente della suddetta cooperativa (fino al dicembre u.s.), indagato per violazione di norme in materia di immigrazione (D.lg. 286/1998), caporalato (artt. 603 bis c.p.) ed estorsione (art. 629 c.p.).

Costui, legale rappresentante della suddetta Cooperativa, pur non essendo la stessa partecipe del capitolato di appalto con la Prefettura di Padova per l’accoglienza straordinaria (CAS), utilizzava e impiegava a titolo di manodopera dipendente, per prestazioni di assemblaggio ed etichettatura (anche con l’uso di pressa), in assenza di totale retribuzione, di qualsiasi formazione, assistenza medica ed infortunistica (i lavoratori erano privi di protezione individuale e addirittura senza scarpe) ed in situazione alloggiativa degradante (carenza cibo, vestiario, medicine, etc.), 19 cittadini stranieri (del Mali, Burkina Faso, Senegal, Costa D’Avorio, Guinea) giunti irregolarmente in Italia nell’aprile 2023, assegnati, quali richiedenti asilo in attesa di rilascio del titolo di soggiorno, ad una seconda cooperativa – avente sede nel medesimo stabile-capannone–, approfittando del loro stato di bisogno e facendo loro sottoscrivere un patto formativo di lavoro volontario quantomeno di tre mesi dietro minaccia della perdita di ospitalità (vitto, alloggio) e di non inoltrare e/o ritardare la formalizzazione alla Questura di Padova delle istanze per ottenere l’asilo (con relativa possibilità di essere poi inseriti regolarmente nel mondo del lavoro).

L’indagine, condotta senza il supporto di attività tecnica, è scaturita all’esito della perquisizione personale e domiciliare disposta nei confronti di un uomo tunisino, soggetto espulso dal territorio italiano l’11 giugno 2019 (in esecuzione della misura di sicurezza dell’espulsione ex art. 86 DPR 309/90) e rientrato illegalmente sul territorio italiano. Gli investigatori della Squadra Mobile verificavano nella circostanza che quest’ultimo era stato assunto dalla cooperativa posta oggi sotto sequestro sebbene privo di un valido titolo di soggiorno. Sequestrata la documentazione relativa all’assunzione dello straniero, si è poi accertato come la medesima cooperativa (con un’unità locale anche all’interno del carcere di Rovigo ed altra sede operativa a Pianiga (Ve)), rappresentata dal principale indagato, avesse alle sue dipendenze numerosi soggetti stranieri, di cui solo alcuni in possesso dei requisiti necessari per la permanenza sul territorio nazionale.

A seguito di due successive ispezioni disposte dalla Procura, operate congiuntamente all’Ispettorato del Lavoro di Padova, è emerso che la seconda cooperativa gestiva formalmente il CAS (centro per l’accoglienza straordinaria) quale aggiudicataria della seconda gara negoziata per le singole unità abitative, ma che 16 ospiti alla stessa assegnati erano di fatto impiegati dalla Cooperativa nei cui confronti era diretta l’attività d’indagine senza un legittimo contratto di lavoro. Pur essendo impiegati in un vero e proprio rapporto di lavoro di natura subordinata, con orari fissi, mansioni determinate e sottoposti a potere direttivo del datore di lavoro, gli stranieri lavoravano senza alcun titolo e senza alcuna retribuzione. Agli stessi (benché privi di conoscenza della lingua) erano stati fatti sottoscrivere degli accordi aventi ad oggetto un “patto formativo di inclusione sociale” a titolo di “volontariato” (le mansioni a cui venivano adibiti erano tuttavia prive dei presupposti di spontaneità e finalità sociale, consistendo per lo più in attività di assemblaggio ed etichettatura, senza alcuna assicurazione contro gli infortuni e le malattie).

Gli stranieri hanno dischiarato di avere accettato di sottoscrivere il “patto” per paura di perdere l’ospitalità fornita e il pocket money garantito dalla Prefettura (peraltro consegnato loro proprio dal presidente della cooperativa nonostante l’accoglienza fosse formalmente erogata dalla seconda cooperativa). Le condizioni di vitto e alloggio risultavano lesive della dignità, né erano mai state programmate visite mediche. In sede di ispezioni effettuate nel corso dell’indagine sono state rilevate altresì violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro.

A tre cittadini del Mali – che avevano chiesto il trasferimento ad altro CAS a seguito delle pressioni subite affinché prestassero l’attività lavorativa gratuita presso il laboratorio della cooperativa – era stato detto che lavorare era l’unica soluzione per rimanere in Italia e che ai lavoratori della cooperativa sarebbero stati garantiti appuntamenti più celeri presso la Questura.

(Questura di Padova)