Covid, nuova variante ipermutata: dal Sudafrica arriva Ba.2.87.1

(Adnkronos) – Una nuova variante di Covid fa la sua comparsa sulla scena internazionale. E’ stata scoperta in Sudafrica dallo stesso gruppo di scienziati che per primi hanno rilevato Omicron, ed è già stata identificata con la sigla Ba.2.87.1. Si tratta di una variante ipermutata: presenta infatti oltre 100 mutazioni, di cui più di 30 nella proteina Spike, evidenziano gli esperti su X.  

“Sono stati depositati 8 genomi di un nuovo lignaggio di Sars-CoV-2, con più di 100 mutazioni, dal Sud Africa. Questo è probabilmente il lignaggio più divergente identificato quest’anno”, spiega Tulio de Oliveira, direttore del Centro per la risposta alle epidemia e l’innovazione alla Stellenbosch University, che l’ha identificata. Il ricercatore illustra alcune caratteristiche principali del nuovo lignaggio, originariamente etichettato come Ba.2.X. La variante è stata rilevata fra metà settembre e metà novembre 2023: “È geneticamente distinta dai lignaggi Omicron attualmente circolanti (in particolare BA.2.86 e JN.1) – scrive de Oliveira – e l’analisi iniziale suggerisce che probabilmente è emersa da Ba.2 o dal nodo basale di Omicron”. Com’è nata? “L’ipotesi più plausibile, come nel caso di Ba.2.86, sarebbe un’infezione cronica seguita dalla trasmissione nella popolazione, in cui ha circolato non rilevata. Tuttavia, non possiamo escludere anche l’ipotesi di un serbatoio animale”.  

“Il grado di trasmissibilità e la patogenicità sono ancora sconosciute – prosegue de Oliveira -. Per determinare quanto sia diffuso questo nuovo lignaggio, il Sudafrica ha aumentato la sorveglianza genomica, e al momento ci sono pochissimi segnali che si stia diffondendo ampiamente e possa sostituire l’attuale variante dominante JN.1”. Ba.2.87.1 per ora non preoccupa. In Sudafrica, dove è stata scoperta e circola ormai da un po’, i contagi restano bassi. Inoltre, “analisi preliminari indicano che Ba.2.87.1 è meno immunoevasiva rispetto a Jn.1. Deve produrre ulteriori mutazioni per restare competitiva”, rileva Raj Rajnarayanan, ricercatore e professore associato al Nyitcom all’università dell’Arkansas. 

La nuova variante,identificata in Sudafrica, “che fa sempre parte della famiglia Omicron e sembra derivi da Ba.2, è assolutamente da monitorare e tenere sotto controllo. Speriamo che non diventi prevalente” dice all’Adnkronos Salute l’epidemiologo Massimo Ciccozzi. Secondo l’esperto, Ba.2.87.1 “è una variante interessante perché ha molte mutazioni, più di 100, ma quello che colpisce è che di questo centinaio almeno 32 sembrano essere sulla proteina Spike”, la chiave che permette l’ingresso del virus nelle cellule. “Non solo. Si tratta di mutazioni non sinonime – spiega Ciccozzi – cioè c’è la sostituzione di un amminoacido con un altro che è totalmente diverso. Questo indica un’evoluzione importante del virus. In più la variante presenta 7 delezioni, quindi mancano proprio dei pezzi del virus: 3 sono sulla proteina Spike e 2 di queste 3 hanno almeno una delezione di 10 aminoacidi importanti sul segmento che serve al riconoscimento anticorpale. Anche questo fa parte dell’evoluzione del virus, che sacrifica parte di se stesso pur di evadere il sistema immunitario. Le delezioni sono, dunque, estremamente più importanti di una mutazione anche non sinonima. Insomma, il nuovo lignaggio di Sars-Cov-2 va monitorato e tenuto sotto controllo”, chiosa. 

La nuova ‘versione’ di Sars-CoV-2, con le sue oltre 100 mutazioni di cui più di 30 nella proteina Spike, deve preoccuparci? “E’ troppo presto per dirlo”, risponde all’Adnkronos Salute il virologo dell’università Statale di Milano Fabrizio Pregliasco. “Come sempre sarà importante il monitoraggio” costante, raccomanda. Anche perché, precisa, “adesso siamo in una fase serena, ma il Covid rimarrà a darci fastidio” e varianti via via diverse si passeranno il testimone: “Ciclicamente, ogni 4-6 mesi, ne arriveranno di nuove”, ribadisce l’esperto. Comunque andrà con BA.2.87.1, per Pregliasco “la comparsa di quest’altra nuova variante evidenzia come Covid tornerà con una ciclicità che, diversamente da quanto accade per l’influenza – puntualizza – non necessariamente sarà collegata all’inverno e ai fattori che in quest’ultima stagione hanno alimentato la circolazione di un cocktail virale particolarmente importante”. Da qui la parola d’ordine: “Sorveglianza” continua, senza mai abbassare la guardia. 

La nuova variante di Sars-Cov-2, identificata in Sudafrica e battezzata Ba.2.87.1, “non sembra, al momento preoccupante”. Secondo le prime indicazioni, infatti, “sembrerebbe meno capace di ‘evadere’ l’immunità e i vaccini rispetto al virus Whan. Sia le vaccinazioni che le infezioni avute, quindi, sembrerebbero in grado di proteggere di più da questa nuova variante. E ciò spiegherebbe perché non si sta diffondendo rapidamente” dice all’Adnkronos Salute Giovanni Rezza, ex direttore della Prevenzione del ministero della Salute e oggi professore straordinario di Igiene all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. 

Ba.2.87.1, infatti, “è stata rilevata ormai da qualche mese ma non sembra abbastanza ‘feroce’ da sostituire quelle precedenti. In teoria, quindi, non è pericolosa”. Rezza sottolinea, inoltre che “siamo comunque sempre di fronte alla famiglia di Omicron. Questa variante ipermutata è simile a Ba.2, ‘madre’ di una vasta popolazione di ‘figli'”. Anche per questo “non dovrebbe preoccupare sul piano clinico, rientra nella ‘zuppa di varianti’ generate da Omicron”. Il fatto che sia stata identificata in Sudafrica non sorprende perché “in Paesi dove ci sono molto immunodepressi – come appunto il Sudafrica dove è diffuso l’Hiv – si determinano infezioni croniche e il virus, all’interno di una stessa persona tende a modificarsi. Quindi dà luogo a una serie di sottovarianti o nuovi lignaggi, in una sorta di gioco di scatoline cinesi continue. Da questo possono derivare nuove ondate epidemiche quando la variante non viene riconosciuta dagli anticorpi generati da quella precedente. In quel caso tende a sostituirla. Le nuove ondate però – conclude- ormai non sono troppo intense e non generano un impatto clinico elevato”. 

 

(Adnkronos – Salute)

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