Schizofrenia, studio Neuromed apre a nuove prospettive di trattamento

(Adnkronos) – La schizofrenia è uno dei più gravi disturbi psichiatrici, con un’incidenza dello 0,5% nella popolazione, e molte sono ancora le lacune sui meccanismi alla base. Una ricerca dell’Unità di Neurofarmacologia del Dipartimento di Patologia molecolare dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia) mette ora l’accento su un particolare tipo di recettori presenti sulla membrana delle cellule nervose: i recettori delle amine in traccia (Taar), che vengono sempre più visti come componenti essenziali della trasmissione di segnali tra neuroni. Le amine in traccia sono infatti molecole che possono influenzare l’attività dei neurotrasmettitori più comuni, regolando così la trasmissione sinaptica. 

I ricercatori Neuromed, che hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista scientifica ‘Schizophrenia Bulletin’ – si legge in una nota – hanno analizzato campioni cerebrali autoptici forniti dall’Harvard Brain Tissue Resource Center, in Usa. In particolare, 23 campioni provenienti da individui affetti da schizofrenia sono stati messi a confronto con altrettanti provenienti da individui non affetti dalla malattia. “Abbiamo potuto vedere – riferisce Milena Cannella, ricercatrice dell’Unità di Neurofarmacologia, ultimo autore del lavoro scientifico – che nei campioni di corteccia cerebrale prefrontale provenienti da individui affetti da schizofrenia c’era un aumento significativo dei livelli di espressione del recettore delle amine in traccia denominato Taar1. Farmaci che attivano i recettori Taar1 sono in fase avanzata di sviluppo clinico per il trattamento della schizofrenia. Questo ci induce a pensare che l’aumentata espressione di Taar1 osservata nella corteccia prefrontale di pazienti affetti da schizofrenia rappresenti un potenziale meccanismo di compenso finalizzato a correggere le disfunzioni della trasmissione nervosa causate dalla malattia”. 

Ciò che i farmaci sperimentali farebbero non è colpire i meccanismi all’origine della schizofrenia – si precisa nella nota – ma favorire un processo naturale che il cervello sta già cercando di mettere in moto per contrastare le disfunzioni causate dalla malattia stessa. 

(Adnkronos – Salute)

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