Lavoro: tra stress e rischio burnout, ecco il manager della felicità

(Adnkronos) – Lavorare per favorire e accrescere il benessere organizzativo all’interno di un contesto ispirato al modello di ‘organizzazione positiva’, in un momento in cui trecento milioni di persone nel mondo soffrono di disturbi mentali derivanti dal lavoro. E’ il manager della felicità, figura nata già tempo fa negli Stati Uniti e pian piano si sta diffondendo anche in Italia, dove al momento ce ne sono solo 300 ufficiali e riconosciuti dall’Italian Institute of Positive Organization. Non solo nelle big company ma anche nel tessuto delle piccole e medie imprese. 

Come Francesca Cafiero, certificata Cho (chief happiness officier), presidente di Nieco, realtà impegnata da oltre 40 anni nello smaltimento rifiuti del centro Italia. La figura del ‘manager della felicità’, che si basa su un’equazione: felicità=competenza, presta molta attenzione al benessere di dipendenti e collaboratori perché la felicità in azienda favorisce e stimola la produttività.  

Preso atto di uno scenario preoccupante, Nieco ha stilato una lista di consigli utili forniti direttamente dal presidente Francesca Cafiero, che avendo una certificazione cho conosce alla perfezione i principi che si celano dietro la felicità aziendale. È una piccola guida utile sia ai manager che ai lavoratori, indipendentemente dal ruolo. Volendone citare 5, Nieco propone i principali che si rifanno proprio ai pilastri della scienza della felicità. 

Spesso si sa, in ogni contesto lavorativo si tende a primeggiare. Mettere al centro l’’io’ è l’errore più grande che si possa fare. Alimenta l’invidia, le gelosie, i rancori. Ragionare di gruppo è la chiave vincente per raggiungere grandi traguardi. Perché quando i risultati sono buoni si gioisce insieme, quando lo sono meno, si condivide un insuccesso e ci si rialza più facilmente e velocemente. 

Abbattere le barriere culturali e di ruolo e favorire così una chimica positiva. È un approccio utilissimo sia ai manager che ai dipendenti perché alimenta l’amalgama in un gruppo di lavoro grazie a relazioni interpersonali sane che hanno dei benefici anche nelle scelte aziendali. Non ridursi a chiedere di eseguire. E neanche ad eseguire. I lavoratori non sono automi, hanno dei sentimenti. È importante mettere in mostra le proprie qualità umane e il compito di un buon manager è quello di valorizzarle al meglio. L’essere prima di tutto: solo così è possibile attenersi al meglio i propri compiti e contribuire al raggiungimento dei risultati aziendali. 

Ogni organizzazione che si rispetti deve giustamente avere delle regole. Lavorare fuori orario, chiedere ripetutamente straordinari non pagati, non rispettare i ruoli, lasciare spazio a simpatie e antipatie e non riconoscere i meriti, alimenta un inutile caos all’interno di un contesto aziendale. È importante che ci sia disciplina e che vengano garantiti i diritti di ogni singolo lavoratore che di conseguenza si sentirà stimolato e valorizzato nel suo percorso in azienda. 

Spesso la vita lavorativa in molte aziende è fatta di silenzi. Non vengono fatti notare errori o di contro non si riconoscono mai i meriti ad un dipendente, oppure ci si disinteressa totalmente se un collega sta attraversando un periodo personale difficile. Si tende sempre ad andare avanti e fare finta di nulla. Niente di più sbagliato. Come in ogni relazione interpersonale, il dialogo è fondamentale, sia dal punto di vista umano che professionale. Interessarsi dello stato di salute di un dipendente o collega, senza essere invadenti ovviamente, è una buona pratica che rafforza il rapporto innanzitutto tra persone e poi tra professionisti. 

“Compito di un buon manager è quello di mettere in campo le migliori iniziative possibili per migliorare l’ambiente di lavoro”, commenta Francesca Cafiero, presidente Nieco e manager della felicità. “Questo è possibile -continua- favorendo buone pratiche utili a stimolare creatività e produttività di tutti i lavoratori. L’ approccio, quindi, è orientato al benessere che permette di abbattere ogni tipo di barriera culturale favorendo invece un approccio sempre più trasversale e di contaminazione positiva”.  

“Questi cinque consigli vanno esattamente in quella direzione. È importante controbilanciare le pratiche negative con quelle positive, ecco perché parliamo di più e meno in questi 5 consigli. Seppur questo sia un percorso non facilmente condivisibile in prima battuta, si tratta di un’ottima base di partenza per ridurre i livelli di stress e favorire un maggiore benessere psico-fisico dei lavoratori”, conclude.  

(Adnkronos – Lavoro)

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