Quando il grano fa ammalare, da celiachia ad allergia al frumento

(Adnkronos) – Pasta, pane e pizza sono i cardini dell’alimentazione degli italiani, ma oggi sempre più messi da parte per l’aumentare dell”intolleranza al glutine’ che solo in Italia riguarda circa il 12% della popolazione. Domani al Policlinico universitario A. Gemelli Irccs di Roma un congresso riunisce gastroenterologi, allergologi, nutrizionisti, agrari e produttori per discutere delle possibili cause di questa ‘epidemia’. Ma quando il grano fa ammalare e quando parliamo di celiachia, di allergia al frumento o di sensibilità al glutine? Rispondono gli esperti del Gemelli.  

“E’ una patologia ben nota che riguarda l’1% della popolazione italiana (circa 600.000 persone, delle quali si stima che solo un terzo sia stato correttamente diagnosticato) ed è in crescita; insorge in soggetti geneticamente predisposti (portatori dell’aplotipo Hla DQ2/DQ8, ma il test genetico serve solo per escludere la diagnosi). “L’ingestione di prodotti (frumento, orzo, segale, farro, ecc.) contenenti gliadina (proteina del glutine) – spiega Giovanni Cammarota, direttore dell’Unità operativa complessa di Gastroenterologia presso la Fondazione Policlinico Gemelli Irccs – scatena una risposta infiammatoria autoimmune che danneggia la mucosa intestinale e ne riduce la capacità assorbitiva”.  

“La diagnosi – prosegue lo specialista – si basa sul sospetto clinico, sull’analisi sierologica degli anticorpi (anti-endomisio, anti-transglutaminasi di classe IgA e IgG, anti-gliadina deamidata), che va fatta mentre si segue una dieta libera e non ‘gluten free’, e sulla conferma istologica con la biopsia dei villi duodenali prelevati attraverso una gastro-duodenoscopia, che evidenzia l’atrofia dei villi intestinali (nei bambini per la diagnosi è sufficiente dimostrare la presenza di anticorpi anti-transglutaminasi superiori di 10 volte la norma). L’unico trattamento è rappresentato per ora da una dieta priva di glutine, che consente di ripristinare i tessuti intestinali danneggiati”. 

“Alcune persone – ricordano gli esperti del Gemelli – possono presentare un’allergia ad una proteina del grano. E’ una vera allergia, una reazione immediata scatenata dalle IgE. Si può manifestare con reazioni orticariodi, prurito intenso, dolori addominali forti. Si manifesta in genere nei neonati e nella prima infanzia e tende a scomparire con la crescita. E’ presente in oltre un terzo dei bambini con dermatite atopica. Negli adulti si manifesta come allergia al glutine del grano a reazione immediata o come anafilassi grano-dipendente indotta dall’esercizio fisico (Wdeia), e in questo caso è destinata a perdurare nel tempo. Il trattamento consiste in una dieta di esclusione dei prodotti del grano o in una terapia desensibilizzante al grano, ricorrendo anche ad antistaminici, cortisonici e farmaci biologici”. 

“E’ un capitolo molto vasto e molto insidioso (se la autodiagnostica fino al 12% degli italiani) e non ci sono marcatori diagnostici obiettivi in grado di intercettarla”, evidenziano gli specialisti. “Il paziente – descrive Cammarota – riferisce sintomi (dolori addominali, gonfiore, nausea, mal di testa, sensazione di stanchezza, disturbi dell’alvo) a seguito dell’ingestione di glutine e si autodiagnostica questa ‘intolleranza’. Si tratta di una condizione molto diffusa, ma di difficile inquadramento diagnostico”. 

Dunque “la diagnosi è solo clinica e si confonde con quella del colon irritabile e con i disturbi funzionali. Potrebbe avvalersi di un rechallenge (cioè di una risomministrazione) al glutine, che teoricamente andrebbe però fatta in doppio cieco (cioè né il paziente, né il medico dovrebbero sapere che gli alimenti somministrati contengono il glutine)”, puntualizzano gli esperti del Gemelli. 

“Sarebbe importante – conclude Cammarota – avere un dialogo continuo con la produzione, per cercare di variare la tipologia di frumento e di glutine e fare dei trial clinici controllati per capire se una certa lavorazione provochi o meno la comparsa dei sintomi. Questa ondata di ‘sensibilità’, però, potrebbe non essere imputabile alla genetica del frumento (non sarebbe cioè una questione di grani ‘antichi’ o di grani ‘moderni’), quanto piuttosto alle moderne tecniche di produzione e di processamento”.  

Per lo specialista, “interessante sarebbe anche andare a variare la tipologia del glutine all’interno del frumento, per individuare quello più immunogenico e in grado di stimolare la sensibilità. C’è insomma glutine e glutine, sia in termini di quantità che di qualità”. 

(Adnkronos – Salute)

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