Aids, esperti: “Hiv può essere cronico e non trasmissibile ma pochi lo sanno”

(Adnkronos) – L’arrivo di terapie efficaci ha ampliato le prospettive di vita delle persone con Hiv. “La malattia è cambiata, si può cronicizzare e non trasmettere”, ma molti non lo sanno e “rimangono delle vulnerabilità”. Lo ha detto Giovanni Guaraldi, professore ordinario di Malattie infettive dell’università degli studi di Modena e Reggio Emilia e direttore della clinica metabolica Hiv dell’Azienda Policlinico Universitaria di Modena, intervenendo oggi al webinar “I bisogni delle persone con Hiv”. Si tratta della prima di una nuova serie di dirette del progetto ‘Parliamo di Hiv oggi. Per guardare al domani’, promosso da Adnkronos, in collaborazione con ViiV Healthcare e disponibile sui canale web e social del Gruppo editoriale. Questo viaggio nel mondo dell’Hiv nel nostro Paese, grazie al confronto tra esperti, clinici e pazienti, racconta l’evoluzione clinica e sociale della malattia e invita a guardare, con fiducia, a un domani più consapevole, oltre lo stigma. 

La prima vulnerabilità “riguarda il ritardo nella diagnosi – continua Guaraldi – Nel 50% dei casi arriva infatti quando c’è già un danno immunologico che condizionerà l’accelerazione del processo di invecchiamento” e delle malattie croniche ad esso associate. “C’è poi un problema di stigma sociale, anzi, di self-stigma, un senso di colpa, anche personale, nei confronti della malattia”. Dal punto di vista clinico, “oggi le persone in terapia antiretrovirale efficace hanno una carica virale soppressa e non sono più in grado di trasmettere l’infezione, ma questa certezza scientifica non è nota a molti medici e a molte persone con Hiv”. Inoltre, “è disponibile in Italia – aggiunge Guaraldi – un terapia che viene somministrata ogni 2 mesi per via intramuscolo, ma in futuro si avranno trattamenti orali long acting (a lunga durata, ndr) da assumere ogni 15 giorni, intramuscolari con distanziamento più lungo o dispositivi gastrici o sottocutanei che potrebbero avere somministrazioni paragonabili a quelle di un vaccino”. 

Sull’accesso alle cure, Roberto Rossotti, infettivologo dell’ospedale Niguarda di Milano, osserva che “le persone con Hiv sono sottoposte più intensamente a visite ed esami per la presenza di patologie diverse dovute anche all’invecchiamento. Poter offrire la giusta cura a queste persone più fragili, con un approccio multidisciplinare, diventa difficile per la condizione del sistema sanitario, banalmente per le lunghe liste d’attesa. Nel caso poi della fragilità sociale, c’è necessità di un accompagnamento all’inserimento, per esempio, al lavoro che diventa più difficile per queste persone”. Guardando all’aspetto dello stigma, “bisogna metterci la faccia ed educare non solo chi ha la patologia, ma anche la società. I medici sono sulla parte clinica, ma le associazioni in questo possono fare un gran lavoro per scardinare i pregiudizi. Sapere di non essere più contagiosi è incontrovertibile ed è un aiuto per uscire allo scoperto”.  

In rappresentanza di Milano Check Point Ets, realtà nata recentemente dall’unione di 5 associazioni e luogo per prendersi cura della salute sessuale, il coordinatore, Daniele Calzavara sottolinea che i bisogni sono diversi. “Ci sono persone con Hiv che hanno appena ricevuto la diagnosi – spiega – e altre che hanno una lunga storia di 20-30 anni di Hiv, di co-morbidità, quindi altre patologie che fanno parte anche del processo di invecchiamento che rendono più fragili queste persone. Oggi le persone con Hiv possono non trasmettere il virus: è una promessa per chi ha l’Hiv e in prospettiva. Questo però – ribadisce – non basta per chi ha una lunga storia di Hiv perchè ha altre patologie”. Intanto, in questi giorni “con tutte le associazioni italiane –  ricorda Calzavara – per la prima volta stiamo lanciare la campagna ‘U=U impossibile sbagliare’ – undetectable (non rilevabile) = untransmittable (non trasmissibile) ndr – per chiedere a persone” con Hiv e non Hiv “di essere alleati e ambasciatori di questo messaggio che può abbattere lo stigma e la discriminazione”. 

(Adnkronos – Salute)

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