Food, Aiost: dall’Antica Roma ai Borboni torna l”Ostricaro fisico’, al via corso in Campania

(Adnkronos) – Riprendersi un pezzo di storia di un territorio che si è perso nel tempo. E, perchè no, lanciare una figura professionale che può rappresentare un’opportunità per l’intero settore della ristorazione. Nasce così il corso di primo livello per ‘Ostricaro Fisico’ che prenderà il via domani, 20 settembre, organizzato da Aiost – Associazione italiana ostricari, con le lezioni che si terranno presso le aule formative dell’Istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno di Portici (Na) e presso il Rione terra di Pozzuoli (Na), grazie ad un protocollo d’intesa con l’Iszm e il patrocinio morale del Comune di Pozzuoli.  

Un salto indietro nel tempo, a quando nei Campi Flegrei, oltre duemila anni fa, prosperava l’allevamento di ostriche. O al tempo dei Borboni, tanto ghiotti di questi molluschi da ‘inventarsi’ una figura professionale ‘ad hoc’. E il corso punta proprio a creare una figura professionale esperta a 360 gradi sull’ostrica, come spiega ad Adnkronos/Labitalia Alessio Cutino, manager nella ristorazione, tra i fondatori di Aiost, di cui è vice presidente, e promotori del corso per ‘Ostricaro fisico’.  

“L’associazione, che è una no profit, nasce da me e da due ristoratori campani, Daniele e Simone Testa. Parte tutto dalla nostra passione e dalla curiosità, generata in ambito lavorativo, di conoscenza di questo prodotto. E, così, nel tempo, siamo andati alla ricerca di informazioni, anche sul web, per approfondire la nostra cultura personale e metterli al servizio, specie per quanto riguarda Daniele e Simone, del loro locale”, spiega.  

“E quindi è nata -continua- la volontà di diffondere questa cultura dell’ostrica di qualità, che si è persa nel tempo. Anche perchè oltre duemila anni fa, in epoca romana, proprio qui nei Campi Flegrei, un imprenditore, Sergio Orata, sviluppò l’allevamento intensivo delle ostriche, nel lago Lucrino. Allevamento che poi si diffuse anche nel lago Fusaro. Una tradizione che si è poi persa nel tempo, anche per modifiche morfologiche al terreno, con eruzione e altro”, racconta.  

Tempi lontani perchè oggi la produzione di ostrica in Italia è minima. “Oggi le ostriche in Italia vengono allevate prevalentemente in Sardegna, dove c’è la quantità maggiore di produzione. Poi c’è produzione anche in piccola parte in Liguria e da alcuni anni in Puglia. Una produzione minima rispetto, ad esempio, alla Francia dove contiamo migliaia di allevamenti. Questo è dovuto a tanti fattori: innanzitutto, l’Iva sull’ostrica in Italia è al 22% mentre in Francia è pari alla baguette, sostanzialmente un consumo più alto”, spiega Cutino. 

Partendo da qui l’obiettivo di Cutino e soci è chiaro. “Il nostro obiettivo è sì creare una cultura dell’ostrica in Italia, ma soprattuto di creare la figura dell”ostricaro fisico’ che riprende quella presente a Napoli in epoca borbonica, che era un po’ il pescivendolo esperto nella somministrazione di ostriche, un titolo che era stato coniato da Re Ferdinando II, appassionato di molluschi, dopo aver provato un’ostrica del lago Fusaro. Noi intendiamo quindi formare la figura dell’Ostricaro fisico che è una figura a 360 gradi, nuova nel mondo della ristorazione, esperto non solo dell’ostrica ma di tutto ciò da servire crudo nel ristorante”, aggiunge ancora.  

Il corso, previsto con un tetto massimo di 35 partecipanti, non lascia nulla al caso, con un team di biologi ricercatori, storici, docenti universitari, acquacoltori, ostricoltori, consorzi. “Facciamo quindi un corso attraverso tre livelli formativi: prima -spiega Cutino- andiamo a toccare la storia, per poi arrivare all’aspetto sanitario, e poi la conservazione e la somministrazione del mollusco. E poi le varie aree di produzione, quante tipologie di allevamenti ci sono, cosa succede all’interno dell’allevamento, come si arriva a questo prodotto più che a un altro, e quali sono le caratteristiche dei territori in cui l’ostrica viene allevata a livello europeo. Per poi entrare nel tecnico, andando a definire una carta delle ostriche, con tutte le caratteristiche”, spiega.  

Un ruolo, quello dell’ostricaro fisico, che può diventare chiave nello sviluppo di un’attività ristorativa. “Può affiancare il ristoratore, in sala o in cucina, visto che è un ruolo abbastanza ambivalente, può valere sia per lo chef o per chi lavora in sala”.  

L’obiettivo finale è far ‘nascere’ una cultura dell’ostrica nel nostro Paese. “Oggi c’è una mancanza di conoscenza sul prodotto. La degustazione di un’ostrica che è quello che noi insegniamo a fare è simile alla degustazione di un calice di vino. Quindi magari molti non immaginano una cosa del genere, perchè siamo stati abituati nel tempo all’ostrica da cerimonia, di scadente qualità, con un guscio gigantesco e un frutto piccolissimo”, dice.  

Ma il vento sta cambiando e cresce la quota di chi cerca la qualità. “Si apprezza sempre di più l’ostrica speciale, più carnosa e con una percentuale di carne rispetto al guscio dal 12% al 14%”, osserva.  

E nel corso tema centrale sarà l’attenzione alla tutela della salute.”Se viene somministrata un’ostrica che non è buona -avverte Cutino-ovviamente ha delle conseguenze immediate per la salute, rispetto ad esempio al vino. C’è quindi un tema di tutela sanitaria, che noi affrontiamo attraverso la collaborazione con l’Istituto zooprofilattico definendo le caratteristiche necessarie per essere un’ostrica di qualità, e i difetti e le patologie dell’ostrica che possono portare a delle conseguenze per la salute. Che tra parentesi sono anche minori rispetto ad altri molluschi bivalvi come cozze e altri. L’ostrica si alleva sempre dove c’è una promiscuità di acqua dolce e salata quindi tendenzialmente le patologie più gravi e i batteri si sviluppano di in ambito acqua salata che di acqua dolce”, rimarca.  

Oltre al corso resta un altro sogno nel cassetto per Aiost. “Noi vorremmo che un giorno le ostriche tornassero a essere coltivate in Campania. Che ci fosse quindi un progetto, e non escludo che ci sia, per il ritorno delle ostriche nei Campi Flegrei. E’ un pezzo di storia, e anche di business, che ci siamo persi”, conclude.  

 

(Adnkronos – Lavoro)

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