Morto Giuliano Montaldo, il discepolo del Neorealismo che indagò il potere


Sua la trilogia composta da “Gott mit uns” (1970), “Sacco e Vanzetti” (1971) e “Giordano Bruno” (1973)
Roma, 6 set. – Ultimo grande regista formatosi nel dopoguerra alla scuola del Neorealismo, Giuliano Montaldo, decano del cinema italiano morto oggi a 93 anni, ha espresso quell’impegno civile che ha caratterizzato la sua intera attività registica in particolare con la trilogia composta da “Gott mit uns” (1970), “Sacco e Vanzetti” (1971) e “Giordano Bruno” (1973), rispettivamente sul potere militare, giudiziario e religioso.
Nato a Genova il 22 febbraio 1930, con un’ideale adesione da ragazzino alla Resistenza partigiana, il regista cinematografico, teatrale e televisivo con accanto la moglie, attrice, sceneggiatrice, costumista e assistente alla regia Vera Pescarolo, la figlia Elisabetta e i suoi due nipoti, Inti e Jana Carboni. Non si terranno funerali pubblici per volontà della famiglia.
Dopo alcune esperienze come attore teatrale Montaldo esordì nel cinema in due film di Carlo Lizzani, “Achtung! Banditi!” (1951), ispirato alla Resistenza, e “Cronache di poveri amanti” (1954), dal romanzo omonimo di Vasco Pratolini. Dopo aver collaborato come assistente alla regia di autori quali Elio Petri, lo stesso Lizzani e Gillo Pontecorvo, Montaldo passò alla regia scegliendo un film il cui tema è la fine della Seconda guerra mondiale vista con gli occhi di un soldato della Repubblica di Salò in crisi di valori, “Tiro al piccione” (1961), tratto da un romanzo di Giose Rimanelli.
“Una bella grinta” (1965) nacque dall’esigenza del regista di capire e spiegare i complessi nodi della realtà italiana del periodo attraverso il ritratto di un uomo deciso a sfruttare cinicamente il boom economico da cui invece viene distrutto. Il film vinse il Premio Speciale della Giuria al Festival di Berlino.
Alle impegnate prove iniziali seguirono film su commissione nei quali, maneggiando abilmente intrighi avventurosi (una rapina in banca in “Ad ogni costo”, 1967; la struttura da gangster film di “Gli intoccabili”, 1969), Montaldo ottenne ottime prestazioni da attori di prestigio, come in seguito da Nino Manfredi in “Il giocattolo” (1979).
Anche con una certa propensione pedagogica, Montaldo fu capace di spettacolarizzare l’analisi del potere militare, giudiziario e religioso, con figure e momenti di storia quali il processo per diserzione e la fucilazione a cinque giorni dalla fine della guerra di due soldati della Wehrmacht in “Gott mit uns” (con Franco Nero); il processo e l’ingiusta condanna di due anarchici italiani negli Usa in “Sacco e Vanzetti” (con Gian Maria Volonté e Riccardo Cucciolla), presentato al Festival di Cannes nel 1971 con la vittoria della Palma d’oro e con una memorabile colonna sonora composta da Ennio Morricone e la canzone “Here’s to You” interpretata da Joan Baez, che divenne un inno generazionale; la persecuzione da parte della Santa Inquisizione e il rogo del filosofo Giordano Bruno (con Gian Maria Volontè).
Questa capacità di ricreare affreschi del passato ha portato Montaldo ad affrontare il romanzo storico televisivo realizzando il kolossal all’italiana “Marco Polo”, trasmesso nel 1982 in otto puntate dalla Rai, (con Kenneth Marshall nei panni del mercante veneziano), apprezzato dal grande pubblico e dalla critica per la precisione nelle ricostruzioni ambientali. “Marco Polo” rappresentò all’epoca la produzione internazionale della Rai di maggior successo nel mondo, venduta in 76 nazioni e vincitrice del premio Emmy come migliore serie televisiva presentata negli Usa.
Anche stimato regista di opere liriche, in cui ha diretto Luciano Pavarotti e Placido Domingo, Montaldo ha saputo trasferire in significative immagini opere della narrativa italiana del dopoguerra: “L’Agnese va a morire” (1976), dal romanzo di Renata Viganò con la rappresentazione di una donna che acquisisce una coscienza civile e antifascista (con Ingrid Thulin e Stefano Satta Flores); “Gli occhiali d’oro” (1987) di Giorgio Bassani sulla storia di un omosessuale ambientata a Ferrara durante il fascismo (con Philippe Noiret, Rupert Everett, Stefania Sandrelli e Valeria Golino); “Tempo di uccidere” (1989), dal romanzo di Ennio Flaiano sull’impresa etiopica di legionari italiani nel 1936 (Nicolas Cage e Ricky Tognazzi).
Nel 1987 diresse “Il giorno prima”, ambientato in un rifugio antiatomico. Negli anni Novanta e 2000 ha diretto film in chiave documentaristica, “Ci sarà una volta” (1992) per la televisione, “Le stagioni dell’aquila” (1997), “L’oro di Cuba” (2009), presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, “Salvare Procida” (2009). Tra i suoi film più recenti “I demoni di San Pietroburgo” (2008), ambientato durante la stesura da parte di Fedor Dostoevskij del romanzo “Il giocatore”, e “L’industriale” (2011) con Pierfrancesco Favino. Nel 2018 era tornato anche a fare l’attore, in “Tutto quello che vuoi” di Francesco Bruni, che gli valse anche un David di Donatello al migliore attore non protagonista. Tanti altri sono i premi che Montaldo ha vinto nella sua carriera, dal Globo D’Oro al David alla carriera.
Dal 1999 al 2002 Montaldo è stato presidente di Rai Cinema. Nel 2002 è stato nominato Cavaliere di Gran Croce dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
(di Paolo Martini)

(Adnkronos)