La settimana più calda della storia, tutti i numeri della crisi climatica

Come è cambiato il clima dal 1880 ad oggi e cosa aspettarsi in futuro

La scorsa settimana è stata, a livello globale, la più calda della storia della Terra. Non è bastato il tempo di rilevare i dati, che il preoccupante record potrebbe essere già superato. Il trend rilevato dal 1880 ad oggi lascia poco spazio per le interpretazioni.
“Le emissioni di gas serra con cui il mondo si trova a fare i conti ora” sono “il risultato di emissioni storiche e attuali dovute a un uso insostenibile dell’energia, allo sfruttamento dei territori, a stili di vita e a modelli di consumo e di produzione”, rileva la sintesi finale degli studi sul clima dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite.
Secondo gli esperti dell’Ipcc, a questi ritmi, la soglia psicologica degli 1,5 gradi sarà superata entro la metà della prossima decade.
Ridurre le emissioni è un obbligo per salvaguardare la sopravvivenza umana sul pianeta, ma non solo. Come ha spiegato Lucia Perugini del Centro Euro Mediterraneo per i cambiamenti climatici e riportato wired.it, “i benefici degli investimenti nella riduzione delle emissioni superano i costi delle misure di adattamento necessarie a contrastare i disastri del clima”.
Nonostante queste rilevazioni, le manifestazioni degli ambientalisti e gli impegni presi dalle istituzioni, i dati sono in costante peggioramento. “Abbiamo l’accordo di Parigi che dovrebbe salvare il futuro dell’umanità – – un trattato che dice che dobbiamo fare in fretta a ridurre le emissioni di gas serra ed evitare che la temperatura globale salga oltre i 2 gradi. Tutti i paesi hanno detto ok, ma l’accordo non è vincolante.
Quindi di fatto siamo con una intesa solo sulla carta senza cambiamenti concreti; basti pensare che il 2022 è stato l’anno con le maggiori emissioni di sempre. In più si è aggiunta la guerra in Ucraina che aumenta ancor di più le emissioni: i calcoli di uno studio olandese dice che le emissioni di questo conflitto sono pari a quelle di tutto il Belgio, quindi è come aver aggiunto un paese in più sulla carta geografica del mondo. Altro che riduzione!”.
La “GISS Surface Temperature Analysis” (GISTEMP v4) condotta dagli scienziati del Goddard Institute for Space Studies (GISS) della NASA rileva che “La temperatura media globale sulla Terra è aumentata di almeno 1,1° Celsius dal 1880. La maggior parte del riscaldamento si è verificata dal1975, a una velocità di circa 0,15-0,20°C per decennio”.
Considerando questo andamento, secondo gli studiosi dell’Ipcc il 2025 deve essere l’anno in cui raggiungere il picco di emissioni serra per poi farlo scendere progressivamente. Altrimenti la situazione sarebbe difficilmente recuperabile. Eppure, fino ad ora le emissioni continuano a salire. Il progressivo inquinamento è ben spiegato dai dati sull’anidride carbonica. Tra il 1850 e il 2019 l’umanità ha accumulato 2.400 gigatonnellate di CO2: di queste il 58% è stato emesso tra il 1850 e il 1990, un arco di 140 anni, il 42% tra il 1990 e il 2019, nell’arco di soli 29 anni.
L’Ipcc spiega che le 59 gigatonnellate di CO2 equivalenti emesse nel 2019 sono il 12% in più rispetto al 2010, ma ben il 54% in più rispetto al 1990!
I dati potrebbero sembrare confliggenti con le misure concretamente prese nei processi di produzione e distribuzione. La causa è tanto semplice quanto disarmante: la riduzione dei gas serra dovuta alla migliore efficienza dei processi è stata più che largamente compensata dall’aumento dei consumi.
A questo si aggiunge il tragico paradosso che colpisce circa 3,6 miliardi di persone, ovvero quasi la metà della popolazione mondiale: come spiega l’Ipcc vivono in aree del globo poco sviluppate, inquinano di meno, ma si trovano nelle regioni più colpite dagli effetti dei cambiamenti climatici.
Si è visto che il miglioramento dei processi produttivi non basta a migliorare la salute del pianeta. Un alleato fondamentale nell’assorbimento dei gas serra è il verde presente sui territori. In Europa il 10% di queste emissioni viene assorbito dalle foreste. Anche alla luce di questi dati, la scorsa settimana il Parlamento Ue ha approvato il per iniziare un percorso di recupero degli ecosistemi.
L’Unione europea ha una delle regolamentazioni climatiche più avanzate al mondo e con il programma Fit for 55 si è imposta di ridurre le emissioni serra del 55% rispetto al 1990 entro il 2030.
L’Ue si è inoltre data l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica (il cosiddetto net zero) entro il 2050. Una risorsa chiave nel raggiungere questo obbiettivo è proprio la tutela di foreste e oceani, capaci di assorbire grandi quantità di anidride carbonica.
Come riporta wired.it, il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha proposto che gli Stati appartenenti all’Ocse (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo, un club che accoglie i Paesi più sviluppati) anticipino di dieci anni la soglia per raggiungere il net zero, portandola al 2040. Guterres ha anche invitato le industrie dell’oil and gas a “essere parte della soluzione del problema” e ad essere “credibili”.
A gran parte della popolazione mondiale l’aumento di 1 grado Celsius sembra insignificante e l’allarme climatico, quindi, eccessivo.
È la stessa Nasa a rispondere: “Le temperature che sperimentiamo localmente e in brevi periodi possono fluttuare in modo significativo a causa di eventi ciclici prevedibili (notte e giorno, estate e inverno) e modelli di vento e precipitazioni difficili da prevedere. Ma la temperatura globale – spiega l’Agenzia – dipende principalmente da quanta energia il pianeta riceve dal sole e da quanta ne irradia nello spazio. L’energia proveniente dal sole oscilla molto poco ogni anno, mentre la quantità di energia irradiata dalla Terra è strettamente legata alla composizione chimica dell’atmosfera, in particolare alla quantità di gas serra che intrappolano il calore.
Un cambiamento globale di un grado è significativo perché ci vuole una grande quantità di calore per riscaldare di così tanto tutti gli oceani, l’atmosfera e le masse continentali. In passato, bastava un calo di uno o due gradi per far precipitare la Terra nella Piccola Era Glaciale. 20.000 anni fa, un calo di 5 gradi è stato sufficiente per seppellire gran parte del Nord America sotto un’imponente massa di ghiaccio”, chiosa la Nasa.
Non facilita il contributo dell’opinione pubblica l’inerzia del clima, che ha una durata di circa 20 anni. Con questo termine ci si riferisce al tempo di cui ha bisogno il clima per “assorbire” e rendere visibili gli effetti delle politiche climatiche messe in atto.
Bisogna quindi rinunciare a qualcosa oggi per vedere gli effetti tra due decadi. L’umanità è pronta a questo sacrificio?

(Adnkronos)