Guardare il mondo dai margini

La centralità della periferia – binomio apparentemente contraddittorio – è stata il focus della giornata di studio “Le periferie al centro. I luoghi dell’incontro e dell’annuncio” promossa dal biennio di specializzazione – licenza in teologia spirituale della Facoltà teologica del Triveneto e svoltasi a Padova il 13 dicembre 2022.
«La composizione dei due termini, periferia e centro, nell’apparente contraddizione apre a una visione dinamica della realtà, a una prospettiva più ampia, invitando a guardare il mondo dal bordo, modificando o convertendo la mentalità sociale, economica, culturale che genera esclusione e colossale distanza tra classi sociali, tra paesi ricchi e poveri» ha esordito Antonio Bertazzo, vicedirettore del ciclo di licenza, presentando con il biblista Daniele La Pera il tema dell’incontro. Uscire dal centro permette di re-interpretare la visione globalizzata del mondo e ripartire dalle periferie si presenta come una narrazione alternativa ed esperienziale delle vicende umane e sociali. «La periferia è una chiave per interpretare non solo le situazioni esistenziali difficili ma anche per animare e dare vita alla stessa esperienza spirituale del cristiano. Le periferie – ha concluso Bertazzo – non sono solo luoghi fisici, sono anche punti interni della nostra esistenza; sono luoghi dell’anima che hanno bisogno di essere nutriti».

Il vangelo non è una notizia per certi spazi

Cos’è una periferia? E come entra in relazione con il centro? Matteo Pasinato, docente di Teologia pastorale e Morale fondamentale alla Facoltà teologica del Triveneto, ha sviluppato la questione a partire da una sottolineatura: «La periferia non è soltanto il limite di una città (e di tutto ciò che finisce); è anche, e soprattutto, lo spazio distinto dal centro, oltre il quale percepiamo un pericolo». Qui si inserisce un elemento culturale che potremmo chiamare “barriera” e che «è l’esperienza dei confini, dello stabilire spazi di non comunicazione, di soglie non superabili e non oltrepassabili, di un “fuori che resta fuori” e un “dentro che resta dentro”». Si tratta di spazi “involontari” dove vengono confinati ed esclusi i pericolosi e ai quali non è permesso uscire – ha affermato citando Zygmunt Bauman –, che generano “ghetti volontari” di tutti gli altri che aspirano a difendere la propria sicurezza procurandosi la sola compagnia dei simili, e tenendo lontano gli stranieri». Mettere in equilibrio la periferia come un insieme di limite e di confine è cosa difficile.
Ma centro e periferia sono impossibili all’incontro? È questa una sfida teologica fondamentale, che Pasinato ha rappresentato richiamando il passo lucano dell’incontro tra il fariseo Simone, Gesù da lui invitato e la donna peccatrice che si introduce all’improvviso e tocca Gesù. «La scena esprime meravigliosamente il confine superato tra l’intoccabile (la donna che non deve essere toccata) e l’intangibile (Dio che non può essere toccato – spiega –. In quella stanza evangelica, intoccabile e intangibile si toccano e si guariscono reciprocamente, quasi scambiandosi il posto. La donna intangibile diventa toccabile (il suo corpo di donna diventa amabile in modo dignitoso) e il Dio intoccabile diventa tangibile (l’incontro con Dio diventa esperienza). Tra il centro (Gesù che incarna l’amore di Dio) e la periferia (la donna che incarna la distanza più pensabile) la soglia (di cui è spettatore Simone) è il momento in cui l’intoccabile tocca l’intangibile e l’intangibile tocca l’intoccabile. E il medium (il canale) di quel tocco doppiamente scandaloso è l’amore: l’amore della donna per Gesù e l’amore di Gesù per quella donna. Ma lo spettatore di quella soglia varcata (il nostro Simone fariseo) sembra mancare proprio di quel medium». È facile tornare alla conclusione di Simone: il centro va rimesso al centro (Gesù va tenuto lontano dalla donna) e la periferia va rimessa alla periferia (la donna va tenuta lontana da Gesù): «Qui è un punto sensibile: quanti cristiani osservano, discutono, protestano come Simone fariseo?».
Il vangelo non è una notizia per certi spazi, bensì notizia in movimento; incontro e annuncio sono dei processi, non riducibili a spazi. «Il collegamento fra centro e periferia richiede dei processi – ha concluso Pasinato –. Il confine non è una linea tra dentro e fuori; è come una porta che ha un lato verso l’interno della casa e un lato verso l’esterno. Il confine permette di uscire e permette di entrare, ma permette anche di bloccare la porta in entrata e in uscita. E mentre chiudi l’altro fuori, in realtà chiudi anche te dentro. Se centro e periferia divengono luogo di incontro e di annuncio o luogo di distanza a confinamento… dipende molto dalla porta».

La periferia del carcere come luogo dell’incontro che mette al centro la persona

Di taglio esperienziale l’intervento a due voci del diacono Marco Longo e di Antonio Benfatto, operatori nella cappellania del carcere Due Palazzi di Padova, una struttura che conta oltre seicento detenuti ed è una tra le più avanzate in Italia per l’attenzione verso le persone “ristrette”, con l’offerta di attività di rieducazione e reinserimento sociale. Sì, perché «di persone si parla», ha puntualizzato Longo, precisando subito che «non si sminuisce la gravità della colpa per i reati commessi né il dolore delle vittime che li hanno subiti, assolutamente, ma dentro il carcere ci sono persone che chiedono solo di essere trattate come tali e che possono fare un percorso di recupero tramite il lavoro, tramite la cura delle relazioni – fra detenuti, con i familiari, con gli agenti di polizia penitenziaria, con gli operatori volontari – e in alcuni casi anche tramite un cammino di fede e di conversione». Il carcere toglie la libertà «ma non dovrebbe togliere la dignità alla persona, come purtroppo spesso accade» ha sottolineato Benfatto, aggiungendo: «La dignità è restituita, tra l’altro, dalla possibilità di lavorare e così di contribuire a mantenere la famiglia che sta fuori. La perdita dell’occupazione, in regime di detenzione o di semilibertà, è un dramma che riporta la persona indietro nel percorso di recupero». Sprofondare nella periferia è un attimo.
Chiunque può essere volontario in carcere, può “andare e vedere”. «Accostiamo i detenuti come compagni di viaggio – hanno raccontato – parliamo con loro, ne raccogliamo le confidenze, dialoghiamo con le famiglie e cerchiamo di aiutarle, anche concretamente, a sostenere il viaggio o a trovare alloggio per la notte, perché la maggior parte viene da lontano. E rispettiamo anche la scelta del detenuto che decida di non essere recuperato». Nella parrocchia del carcere la messa domenicale è un momento che aggrega e amalgama il “dentro” e il “fuori”, poiché è permesso alle persone libere di entrare e partecipare; almeno due o tremila finora hanno fatto questa esperienza di trovarsi con i ristretti per celebrare insieme la domenica, sentendosi tutti uguali davanti a Dio. «In quel confine delimitato da mura e cancelli e segnato da profonda sofferenza – hanno concluso – Dio viene a trovare le persone. È nel luogo più basso della propria vita che si incontra Gesù e questo incontro può segnare l’avvio di un percorso, lungo e difficile, per riportarsi dalla periferia al centro».

Paola Zampieri

(Facoltà Teologica del Triveneto)