Nord-Est: direzione binario morto

La locomotiva del nord est sta frenando!. Così la Fondazione Nord Est fotografava qualche giorno fa la situazione delle PMI nel nostro territorio. Le stime parlano di ordinativi in essere solo per un mese (il 40% delle aziende) ,tranne alcune eccezioni in cui si arriva ai tre. Un orizzonte temporale davvero da ultima stazione, per continuare nella metafora. Come dal grafico riportato sotto solo il settore alimentare neltrimestre di quest’anno segna un trend positivo, mentre un forte rallentamento è ravvisabile in settori sino a poco tempo fa strategici, anche in ottica export, quali il metalmeccanico, il tessile e l’arredo.

La cosa maggiormente preoccupante non sta tanto nella fotografia , la quale era abbastanza preventivabile, quanto nelle soluzioni proposte dagli imprenditori per fare fronte alla crisi; il 40% circa di essi  individua la riduzione costi come unica e principale via percorribile per arginare il fenomeno negativo che, tradotto in concreto, sta a significare taglio di forza lavoro, delocalizzazioni produttive, chiusure di stabilimenti e quindi disoccupazione… Il problema è che questa volta non ci saranno gli ammortizzatori sociali ad attenderli, per ragioni facilmente intuibili dall’ultima manovra, anche se nei corridoi di Palazzo Chigi si vocifera di un salario minimo garantito per coloro che perdono il lavoro, ma nulla di assolutamente certo visto che di risorse finanziarie governative a disposizione non ve ne sono. Solo il 22% degli imprenditori invece prevede di intensificare gli investimenti in innovazione per uscire dalla crisi, il ché non lascia per nulla tranquilli sulla direzione che sta imboccando la nostra locomotiva, che sempre più sembra direzionata verso un binario morto. Questo perché la mancanza di una pianificazione innovativa e la ricerca esclusiva del risparmio di cassa attraverso il taglio dei costi è quanto di peggiore si possa auspicare in termini di competitività, la quale ricordiamo rappresenta un elemento fondamentale per coloro che si definiscono export oriented. Ad aggravare il quadro generale è l’aspetto finanziario, sotto due punti di vista: l’accesso al credito, che risulta davvero complesso; a tutti è ben impresso il comportamento delle banche “ostili” ad ogni forma di prestito; le Banche non si fidano nemmeno a prestarsi i soldi tra di loro…; l’altro è il tempo medio di incasso dei crediti vantati nei confronti della Pubblica Amministrazione arrivato oramai a  120 giorni (90 gg. media UE) con punte che toccano l’anno e che troppo spesso sfociano in morte della disperazione. Le modalità di uscita da questo empasse sembrano davvero difficili se non interverrà pesantemente il Governo con una serie di norme in grado di conferire dinamicità al mercato. Occorre per prima cosa “costringere” le Banche a finanziare l’innovazione, attraverso ad esempio una partecipazione più marcata degli Istituti al capitale di rischio dell’impresa (modello tedesco). Questo favorirebbe uno switch degli asset bancari verso investimenti più diretti nell’economia reale rispetto a quelli solo speculativi, andando per esempio a favorire le unioni d’impresa al fine di aumentarne la dimensione e la competitività sui mercati internazionali. Altro campo di intervento riguarda lo stimolo ai consumi, attraverso tre interventi:  liberalizzazione razionale dei settori a partire da quello bancario con l’aumento dell’ingresso di soggetti stranieri che possano avere una maggior propensione al credito, accesso facilitato alla moneta elettronica (carte di credito e bancomat) con deducibilità degli oneri di gestione delle carte, apertura di  credito per i lavoratori con contratti atipici o a termine, con soglie prestabilite e con la costituzione di un fondo di garanzia  a sostegno delle posizioni incagliate per oltre un anno.  A questo si lega un terzo filone, quello del mercato del lavoro che presenta una rigidità non confacente ad un’economia volatile come quella attuale. Le rendite di posizione personali sono oramai vecchie e impossibili da sostenere , ma a dire il vero anche la flessibilità impressa dalla legge Biagi e seguenti hanno avuto un effetto negativo poiché priva dei contrappesi normativi idonei ad evitarne l’utilizzo da parte delle aziende come strumento di abbattimento costi. Dal recente rapporto sull’occupazione nelle PMI i nuovi assunti, per il 66%, sono stati giovani con contratti di somministrazione interinale o atipica, che si prevede nel 2012 torneranno di nuovo nel mercato del lavoro, come disoccupati, poiché espulsi dalla recessione. Questo meccanismo non ha alcun vantaggio di crescita per le aziende, la risorsa lavoro diventa mero strumento di elusione fiscale e contabile. La soluzione non è di facile individuazione, poiché si tratta a mio avviso di partire da lontano  ridisegnando l’intero sistema scolastico ed universitario, orientandolo ad una formazione progressiva e continuativa del giovane verso quelle competenze necessarie e soprattutto spendibili sul mercato del lavoro.

Luigi Del Giacco

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