Maria Luisa Busi al Pride Village: non solo «Brutte notizie»

Maria Luisa Busi al Padova Pride Village (foto Alessandro Leorin)È arrivata ieri sera al Pride Village Maria Luisa Busi per presentare il suo libro Brutte notizie e raccontare, a ruota libera, le sue idee sull’informazione pubblica italiana. E lo ha fatto da giornalista libera battitrice, che «scrive ormai per chi lo chiede», dopo essersene andata dal Tg1 di Minzolini sbattendo la porta.

Si è trattata della ventesima e ultima presentazione del libro in giro per il paese, scegliendo volutamente piccoli centri o manifestazioni alternative. Un libro che non parla solo di telegiornali, ma contiene tante altre storie: «Quelle dell’Italia migliore» tiene a specificare la giornalista

Forse le cose stanno cambiando, ha ribadito Busi sottolineando qualche nuovo movimento nella società. «Stiamo dicendo basta all’assenza di regole, all’attacco alla Costituzione e ai diritti – ha notatoTutto è cominciato venticinque anni fa, a causa di alcune televisioni che martellavano la testa degli italiani con lo slogan: “Vieni a casa in tutta fretta, c’è il biscione che ti aspetta”. Cercavano di cambiarci, ma non ci sono riusciti. A un certo punto, questo, si è verificato uno scatto generazionale, meglio intergenerazionale: lo abbiamo visto con i recenti referendum. I protagonisti sono stati i giovani attraverso la rete; hanno coinvolto gli amici, i genitori, i parenti. Finalmente ci stiamo ponendo per quello che siamo: opinione pubblica, non pubblico televisivo».

In 21 anni di servizio in Rai, al Tg1, ha spiegato Busi, ha avuto ben 17 direttori, di molti colori politici. «Ma i fatti non sono di destra o di sinistra, sono fatti – ha aggiunto – E vanno raccontati tutti. Il giornalista è il cane da guardia dei cittadini, quello del servizio pubblico di più. Non era mai accaduto prima che il servizio pubblico fosse piegato alla propaganda e agli interessi di uno solo. Questo è un problema di democrazia».

Un esempiotragicosi è visto con il disastro del terremoto de L’Aquila, dove, nonostante lo chiedesse ripetutamente da 11 mesi, il direttore non la inviava per un reportage. Quando finalmente è riuscita a recarsi nel capoluogo abruzzese, si è sentita rivolgere dalla gente comune frasi come “Tg1 vergogna” o “Siete scodinzolini”, giocando con il cognome del direttore Minzolini. «L’Aquila doveva essere il luogo del miracolo italianospiegaCosì noi a dimostrare quanto si era fatto. Ma le famose case di Berlusconi sono case in prestito, con i muri in cartongesso, pagate 2.300 euro al mq invece dei 1.100 abituali per le case popolari. A L’Aquila, oggi come lo scorso anno, c’è il 700% di cassa integrazione. E non parliamo del deturpamento del territorio. I cittadini avevano tutto il diritto di essere furiosi: era come se avessero visto due film, quello della Guzzanti e quello del Tg1».

Ma l’idea del miracolo è tornata altre volte, propagandata dal telegiornale. «Doveva passare l’idea che è un miracolo che noi italiani non abbiamo vissuto la crisi economica, così non sono da vedere i lavoratori precari che manifestano sui tetti delle fabbriche. E passano notizie che tali non sono: le code in autostrada perché tutti si muovono per andare in ferie – e sono andata a verificare: code non c’erano –, la scelta del personal shopper (l’aiuto per fare shopping), il coccodrillo che non si trova più nel lago. Per chi guadagna 500 euro al mese, sentire queste notizie date come importanti è uno schiaffo ulteriore. Questo è populismo mediatico. Perché è la cultura a fare paura, coniugata in tre ambiti: scuola, informazione, magistratura. Sono queste tre cose che si sono cercate di cambiare, come ha tentato di fare la P2».          

Cinzia Agostini

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