Cultura e sviluppo economico: un ossimoro?

Centro Culturale San Gaetano, Auditorium, Centro Congressi, Castello dei Carraresi: il lancio di Padova sul piano turistico-culturale sembra passare da queste strutture.

Prima di affrontare qualsiasi ragionamento è però necessario porsi una domanda preliminare: siamo certi che l’intervento di una star dell’architettura per catturare l’attenzione, il restauro prestigioso, il tentativo di dare una risposta alla retorica dei benefici assicurati al sistema, siano garanzia di successo di ogni operazione culturale? E ancora: sarà in grado la Città di Padova – una città medio piccola – di reggere i futuri costi di gestione di quattro opere tanto impegnative? Di sicuro possiamo dire che ancora una volta manca una visione strategica di cosa si vuole fare della Padova del 2020! Le singole opere sono infatti pensate scollegate all’interno della città e, cosa ancora più grave, avulse da ogni ipotesi di posizionamento strategico della città nel panorama competitivo nazionale ed europeo. La vera competizione oggi non avviene più – o perlomeno non solo – tra impresa e impresa, tra città e città, tra evento ed evento, ma tra i diversi sistemi territoriali.

Il pensiero che guida l’Amministratore pubblico sembra invece e ancora una volta orientato dalla ricerca di un rapido vantaggio elettorale (è merito mio! voglio capitalizzare tutto il mio impegno), oppure dalle più vecchie metodologie di marketing: prima penso e realizzo il prodotto/servizio e poi vedo se c’è qualche cittadino/cliente interessato al suo acquisto o al suo utilizzo. Metodo efficace fino agli anni ’60 ma oggi unanimemente ritenuto superato soprattutto quando si parla di marketing delle città e di marketing territoriale.

Come contributo al dibattito e alla riflessione provo a mettere sul tavolo alcune questioni.

La prima: è proprio necessario, visti i probabili alti costi di gestione, costruire due opere separate da poche centinaia di metri come l’Auditorium ed il Centro Congressi?

La seconda: la positiva, triennale, esperienza del Progetto Strategico del Turismo non ha insegnato niente a questa città sul piano del coordinamento, della governance e del capitale relazionale?

La terza: perché si citano sempre le esperienze positive (Barcellona, Bilbao, Rovereto, Parigi , ecc) e mai quelle negative e fallimentari (Sheffield, Helsinki, Madrid, Milwaukee, ecc)?

La quarta: siamo sicuri (e qui mi farebbe piacere conoscere il parere del Prof. Mistri e del Prof. Frateschi dell’Università di Padova, tra i massimi esperti di economia della cultura) che il matrimonio tra sviluppo economico, cultura e turismo sia sempre e comunque vincente e conveniente?

La quinta: la qualità architettonica va ricercata e giustificata solo negli interventi straordinari? O non sarebbe il caso di smetterla con una politica risarcitoria e cominciare a progettare una città bella e attenta alla qualità della vita anche là dove i cittadini-residenti vivono e lavorano?

La sesta e ultima questione: siamo certi che una città come Padova, che ha un patrimonio culturale inestimabile e che sta cercando di ri-definire in modo coerente il suo posizionamento, abbia bisogno di nuove ricadute comunicazionali garantite da opere e architetture di forte impatto? Non c’è forse il rischio, se si agisce senza bussola o pianificazione, di snaturarla o peggio di annacquarne l’identità?

La mia sensazione è che, come 50anni fa, i pianificatori ritengano esistere un nesso logico diretto e  meccanico tra la realizzazione di un’opera (che richiede ingenti risorse per la sua costruzione ma anche per la sua sostenibilità finanziaria) e la crescita economica. Un’opera che dovrebbe contagiare l’intero territorio: si tratta invece di un’equazione né scontata né automatica. I territori che negli ultimi anni si sono ispirati solamente a questa concezione dello sviluppo sono oggi tragicamente immobili, in grave ritardo o in declino. Credo sarebbe stato opportuno collocare “prima” queste opere all’interno di un piano strategico e di marketing territoriale condiviso.

Un’ultima riflessione, per concludere, sul piano culturale.

Per produrre cultura e innovazione non bastano le strutture; è necessario creare un clima sociale e un ambiente nei quali valori come l’etica, la cultura d’impresa, la cultura del rischio, la competenza e il merito, siano valori condivisi. Virtù che dovrebbero prendere il posto di “valori” quali la furbizia, l’opportunismo, l’appartenenza, il provincialismo, il vantaggio personale.

Operare per creare un clima che stimoli le persone a dare sempre il meglio di sé; che favorisca la creatività e la responsabilità individuale; che aiuti a pensare e a progettare sfuggendo a ogni pregiudizio, stereotipo, provincialismo; che incentivi una sana competizione; significa ripudiare la logica della “cattedrale nel deserto” e allontanare il rischio di farsi guidare esclusivamente dai  principi dell’industria dell’intrattenimento interessata al business “tanti, sporchi e subito”. Con Pier Luigi Sacco dello IUAV di Venezia condivido quindi la necessità di pensare ad un modello nel quale il legame tra la cultura (intesa sia come musei, teatri, biblioteche ma anche come spazi ricreativi e di socializzazione) e il territorio (con la sua identità, la sua storia, la sua tradizione) siano il motore propulsivo per la creazione di un sistema integrato di attori, che traggano da un ambiente vivo e stimolante gli elementi per creare nuovo valore e nuova competitività. In sintesi è fondamentale costruire opere di richiamo ma è anche necessario favorire la creatività (sia sviluppando quella interna perché durevole e continuativa, che richiamando creatività esterna, anche se spesso volatile o più modaiola); valorizzare i talenti in tutti i settori; favorire l’accesso dei cittadini alla cultura (che devono sentirla come propria e non come una cosa creata “per i turisti” o per le élite), liberare la tante energie non solo giovanili presenti nella nostra città (universitaria), evitando però ogni compiacimento autoreferenziale e localistico.

 

Articolo di Giampietro Vecchiato (piero_at_prconsulting.it)
Direttore clienti P.R. Consulting, Padova e Vice Presidente FERPI

 

 

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