A Palazzo Zuckermann, da giovedì 21 marzo, “Vincenzo Cecchini – Domenico D’Oora. Un dialogo sul colore” a cura di Giorgio T. Costantino, mostra realizzata dalla Fondazione Giovani Leoni E.T.S in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova. L’esposizione, che resterà aperta al pubblico fino a domenica 19 maggio, propone un dialogo tra Vincenzo Cecchini, nato nel 1934 a Cattolica, e Domenico D’Oora, nato nel 1956 a Londra: due artisti che incarnano due generazioni di pittori i quali, in tempi diversi e con linguaggi e modi personali, interpretano il colore e attraverso di esso indagano la luce, i suoi effetti, le sue mutazioni nello spazio.
“Un dialogo sul colore” non si pone come occasione di scontro tra due generazioni ma evidenzia una ricerca comune che, se da un lato mostra due rilevanti individualità indipendenti sia nella formazione artistica che nelle scelte linguistiche e dei termini interpretativi, dall’altro mette in evidenza come colore e luce siano temi sempre di attualità e in continua evoluzione. È con questo spirito che i due pittori analizzano il colore, con la consapevolezza che la diversità generazionale non fa di uno il maestro dell’altro né dell’altro un discepolo, ma parallelamente intendono l’arte aniconica come un particolare linguaggio che ha la finalità di proporre nuove sensazioni e particolari impressioni, mediante una individuale interpretazione della luce; elemento che da sempre, attraversa un tempo privo di periodizzazioni, ma ricco di sperimentazioni come, per altro, le opere di Cecchini e D’Oora dimostrano.
Il catalogo de “Vincenzo Cecchini – Domenico D’oora. Un dialogo sul colore” presenta un interessante testo critico di Diego A. Collovini.
La Fondazione Giovani Leoni E.T.S è nata nel 2013 dal desiderio filantropico dei fratelli David e Christian Barzazi di aiutare i bambini in difficoltà. Mission della Fondazione è promuovere la ricerca scientifica nel settore della sanità, operare nel settore dell’assistenza socio-sanitaria e tutelare i beni artistici, storici e culturali del territorio. Attualmente la Fondazione è impegnata nel raccogliere i fondi necessari per “Brain up” il progetto di sperimentazione volto ad indagare l’efficacia del metodo Feldenkrais® nella riabilitazione precoce dei bambini affetti da paralisi cerebrale infantile.
“Due artisti di diverse generazioni, che condividono una ricerca sul colore e sul supporto/superficie dell’opera d’arte. Vincenzo Cecchini e Domenico d’Ora sono i protagonisti di questo intenso, raffinato dialogo ospitato nelle sale espositive di Palazzo Zuckermann – dice Andrea Colasio, assessore alla Cultura – La mostra si segnala, oltre che per la sua qualità artistica, per essere una iniziativa di sensibilizzazione sull’attività della Fondazione Giovani Leoni ETS: è quindi di speciale significato la scelta di utilizzare proprio l’arte contemporanea per questa attività di promozione, che i Musei Civici di Padova hanno abbracciato senza esitazione.”
Gli artisti
Per Vincenzo Cecchini, rimane immutabile il senso di una sua affermazione: «… dipingere dà la possibilità di poter essere libero. Io devo vivere in uno spazio che mi lascia la possibilità di muovermi liberamente». Parole come una metafora della luce che origina dai suoi monocromi. Ecco una delle ragioni per cui i suoi colori non ci appaiono mai definitivi, ma sempre mutevoli e soggetti a indefinite interpretazioni; come per altro i segni che, liberi, percorrono la superficie senza seguire una preordinata progettualità. E in questa apparente sequenzialità tra un’opera ed un’altra, si materializza un dialogo che si rinnova continuamente attraverso la luce che le sue pitture emanano. Ne nascono improvvise sonorità cromatiche che si spandono nello spazio, si amplificano, si amalgamano ad altre pitture, facendosi coro ed eco reciproco. Allo spettatore spetta fermare lo sguardo sulla superficie e cogliere le minime vibrazioni che scaturiscono dal piano pittorico, come imperscrutabili movimenti luminosi che danno un senso al divenire del tempo.
La pittura di Domenico D’Oora – evolutasi in uno stretto rapporto con gli ambienti milanesi degli anni settanta, in particolare con i protagonisti della pittura aniconica e con la color field painting internazionale – indaga le varie intensità della luce nel suo manifestarsi attraverso un corposa stesura del colore. Ne scaturiscono conseguentemente degli effetti luminosi che la pittura monocroma produce sia nel piano pittorico che nello spazio circostante. L’apparente bidimensionalità della superficie si perde in un’impercettibile tridimensionalità disegnata dalla modellatura dei pannelli multistrato. L’opera si fa così “corpo cromatico”, solido e nello stesso tempo autonomo nel suo staccarsi virtualmente dalla parete, se non addirittura offrirsi come una struttura colorata, tridimensionale, indipendente, isolata nello spazio, contenente essa stessa ancora pittura. I colori di D’Oora, stesi con materiche pennellate orizzontali, vibrano al variare della loro intensità, seguono l’incidenza e la rifrazione di una luce imponderabile, che origina, in ogni spettatore, imprevedibili sensazioni e inaspettate percezioni.