Salario minimo, Ichino: “Senza idee chiare rinvio non è sbagliato, ma contrattazione non basta”

(Adnkronos) – “Se le idee chiare su quello che si vuol fare non ci sono ancora, rinviare il progetto di legge in Commissione non è di per sé una cosa sbagliata. Purché maggioranza e opposizione ne approfittino per chiarirsele, le idee”. Così, in un’intervista con Adnkronos/Labitalia, il giuslavorista Pietro Ichino, sul rinvio di ieri sul salario minimo. 

Secondo Ichino “il Cnel ha posto una questione di importanza cruciale, sulla quale il progetto di legge dell’opposizione tace: la questione, cioè, delle differenze rilevanti di costo della vita e di potere d’acquisto della moneta tra le varie zone del Paese, con particolare riferimento alle aree metropolitane. Se lo standard minimo vuole affrontare la sostanza del problema, il provvedimento non può ignorare questo problema”, rimarca il giuslavorista.  

Per Ichino comunque “il documento del Cnel contiene molte osservazioni utili e interessanti. Però non affronta la questione di fondo. Sostiene che la contrattazione collettiva, coprendo più di nove decimi del tessuto produttivo, costituisce lo strumento adatto per combattere il lavoro povero; ma non considera che in alcune pieghe del tessuto produttivo dove si annida il lavoro povero la contrattazione collettiva non arriva proprio. Anche in alcuni settori dove arriva, del resto, soprattutto nei settori dei servizi alle persone e alle imprese, i contratti collettivi prevedono dei minimi retributivi molto bassi”, sottolinea.  

Per Ichino per contrastare il lavoro povero “uno standard minimo fissato per legge e debitamente modulato tenendosi conto delle differenze di potere d’acquisto della moneta è sicuramente uno strumento utile, che potrebbe essere introdotto in via sperimentale in alcuni settori più a rischio. Serve per correggere alcune distorsioni del mercato, causate da difetti di informazione e di mobilità delle persone. Ma certamente non è questa la sola arma contro il lavoro povero”. 

Secondo Ichino, infatti, “la povertà lavorativa si combatte soprattutto favorendo l’aumento della produttività del lavoro nelle fasce professionali più basse. E per aumentare la produttività del lavoro occorre favorire la transizione delle persone dalle imprese marginali a quelle più efficienti, che cercano personale qualificato senza trovarlo in un caso su due, in tutte le fasce professionali: anche nelle più basse”. 

“Per questo occorrono, ancora, servizi di informazione e assistenza alla mobilità; ma soprattutto formazione mirata agli sbocchi occupazionali effettivamente esistenti, della quale venga monitorata capillarmente la qualità e l’efficacia”, conclude il giuslavorista. 

 

 

(Adnkronos – Lavoro)

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