Giorno dell’Unità Nazionale e giornata delle Forze Armate

Il 4 novembre l’Italia ricorda l’Armistizio di Villa Giusti. Il documento fu firmato nella villa del conte Vettor Giusti del Giardino da cui prende il nome, che si trova nel quartiere Mandria, a Padova. Lì si trovava la sede del comando dell’esercito italiano. L’armistizio fu firmato il 3 novembre fra l’Impero Austro-Ungarico e l’Italia ed entrò in vigore il 4 novembre 1918. Sancì la fine della Prima Guerra Mondiale e consentì agli italiani di completare il processo di unificazione nazionale iniziato in epoca risorgimentale.

In tutto il territorio italiano sono numerose le iniziative che intendono ricordare la giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze armate. Di seguito il discorso di Sergio Giordani, presidente della Provincia di Padova e sindaco della città capoluogo.

«Porgo il mio saluto a tutte le autorità civili militari e religiose, ai rappresentanti delle associazioni dei combattenti e reduci, alle associazioni d’arma e a tutti i cittadini riuniti qui oggi per celebrare il 4 novembre, Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate. 

Un saluto particolare ed un ringraziamento per aver scelto di partecipare  nella nostra città alle celebrazioni del 4 novembre, al sottosegretario alla giustizia senatore Andrea Ostellari e al senatore Antonio De Poli.

Padova in effetti, nella storia della Prima Guerra Mondiale occupa un posto di rilievo: 

non solo fu il luogo nel quale, con la firma a Villa Giusti dell’Armistizio si pose fine al conflitto, ma fu anche uno dei principali caposaldi dei Comandi Militari Italiani, e ancora luogo dove, grazie anche alla presenza dell’Università e della sua Facoltà di Medicina,  furono approntati i primi moderni Ospedali Militari, che in breve tempo diventarono oltre 20. 

Il prezzo dell’unificazione all’Italia di Trento e Trieste, in termini di vite umane e di feriti anche tra la popolazione civile, fu altissimo ma fu un passaggio fondamentale per la formazione dell’identità nazionale, ancora non ben definita  dopo la raggiunta  unità politica del Paese nel 1861

E’ giusto quindi rivolgere un ricordo ai tanti caduti di quella guerra che oggi ci appare così lontana ma che ebbe importanti conseguenze sulla storia dell’Italia del ‘900

Il ricordo dei ragazzi del ’99 del loro sacrificio, dei loro atti di vero eroismo ci appaiono più come pagine di letteratura che come documenti di un duro scontro bellico,  al quale  tanti giovani  ragazzi hanno partecipato in nome di ideali attorno ai quali si è costruito in senso della mostra  nazione. 

Questa mattina, prima di volare a Venezia, il Capo dello Stato Sergio Mattarella, ha deposto una corona d’alloro all’Altare della Patria, il simbolo dell’unità nazionale finalmente raggiunta, ma anche il segno concreto dell’eterno debito di riconoscenza che noi tutti italiani abbiamo nei confronti dei caduti di quel conflitto.

Come ha sottolineato il Presidente, il significato del ricordo della Grande Guerra non è quello della celebrazione di una vittoria, o della sopraffazione del nemico, ma è quello di aver difeso la libertà, raggiungendo un’unità tanto difficile quanto fortemente voluta.

E non è un caso se noi oggi celebriamo qui il 4 novembre: siamo infatti davanti alla facciata del nostro Municipio, il  nostro Altare della Patria,  che subito dopo la fine del conflitto la Giunta cittadina decise di dedicare alla memoria degli oltre 1400 padovani caduti.  

Di fronte, a pochi metri di distanza il portone monumentale in bronzo della nostra Università riporta i nomi dei circa 200 studenti caduti al fronte, circa il 10% di tutti gli studenti allora iscritti al nostro Ateneo

Possiamo leggere i nomi di questi ragazzi e provare ad immaginarli nelle trincee del Carso o sulle rive del fiume simbolo della Grande Guerra, che Andrea Zanzotto, in una sua celebre poesia racconta così… “e il Piave muscolo di gelo/ nei lacci s’agita, nel bosco”,  testimone muto di tante giovani vite stroncate. 

Tutto questo accadeva oltre un secolo fa: in questi 100 anni gli uomini hanno cambiato il mondo.  

Solo una cosa non è cambiata: la guerra

E se doverosamente ricordiamo il ruolo fondamentale che  le Forze Armate hanno avuto per la  formazione dello Stato Italiano, prima con la Grande Guerra e poi, dopo l’8 settembre 1943,  assieme alle forze della Resistenza e agli Alleati per giungere alla nostra Repubblica, non possiamo non chiederci oggi, che senso ha la guerra.

La nostra Costituzione ripudia la guerra come strumento di offesa e di risoluzione delle controversie internazionali e affida alle nostre Forze Armate l’importante compito di difendere il nostro Paese da eventuali minacce esterne.

Un compito che i nostri militari, donne e uomini svolgono con grande impegno e serietà in Italia e all’estero.   A loro va oggi il nostro sincero e profondo ringraziamento.  

Molti di loro, quasi12.000 unità, sono  impegnati all’estero in missioni di contenimento e deterrenza per la stabilità e la pace.    Rappresentano e difendono il rispetto del diritto internazionale ed umanitario.  

Lo fanno, e non da oggi, in molte e diverse aree del mondo, anche se in questi mesi  la missione  UNIFIL  in Medio Oriente, sotto l’egida dell’Onu è quella più conosciuta e certamente una di quelle più importanti e delicate.

E’ questo il senso che hanno  e devono avere le Forze Armate di un paese democratico e libero come è il nostro oggi, in  un contesto mondiale sempre più complesso e instabile, dove l’uso  della forza,  è pericolosamente considerato sempre più legittimo.

Purtroppo sembra vacillare il rifiuto della guerra che la comunità internazionale aveva, nella sua quasi totalità, abbracciato dopo gli orrori della seconda guerra mondiale e lo shock di Hiroshima e Nagasaki. 

C’è bisogno di diplomazia, c’è bisogno di dialogo di capacità di ascoltare, ma anche di coraggio.

Coraggio di fare la pace.

Pace non vuol dire rinunciare alle proprie ragioni, ma capire che solo con la guerra  non si arriva alla pacificazione, ma solo  ad una transitoria assenza di scontro militare.  

E’ così in Medio Oriente, come in Ucraina.    E non lo dicono dei pacifisti, ma gli stessi esperti militari

E’ difficile oggi parlare di pace, soprattutto è difficile avviare azioni che concretamente fanno fare passi avanti in questa direzione.

C’è sempre qualche interesse particolare che trae vantaggio dal boicottare gli sforzi per la pace.  

Come ha detto il Cardinal Martini, “solo se ogni popolo guarda il dolore dell’altro, la pace si avvicina”.

Il popolo siamo noi, siamo il sentire collettivo di una comunità, sia si tratti di una città che di una nazione intera. 
 
Qui, di fronte a questo memoriale che riporta i nomi dei nostri concittadini e ci ricorda la tragedia di quella guerra chiediamoci che senso ha davvero oggi  parlare di guerre giuste?

Le guerre sono tutte sbagliate, perché sono il frutto degli errori compiuti, delle omissioni, delle indifferenze che le hanno causate.

Non deve più accadere.

Tutti noi dobbiamo partecipare a uno sforzo collettivo che spinga verso la pace. 

Perché il Piave – e con lui tutti i fiumi del mondo-  non sia più muscolo di gelo,  e sulle sue rive non giacciano mai più  i corpi di tanti giovani ragazzi».

(Provincia di Padova)