(Adnkronos) – “Dobbiamo pensare a una governance nuovissima, sempre più globale e democratica, in cui la dimensione pubblica e quella privata trovino una riconfigurazione, che consenta di sfruttare il software piuttosto che le persone, in cui l’Intelligenza Artificiale possa migliorare la sanità e la mobilità, la formazione e la fruizione delle opere dell’ingegno. Dobbiamo puntare a questa prospettiva. L’alternativa potrebbe essere quella di rischiare di soccombere all’algocrazia”. Lo dichiara all’Adnkronos/Labitalia il docente Ingegneria dell’Università Parthenope di Napoli e alla Luiss e imprenditore innovativo fondatore di Protom Group, Fabio De Felice in occasione della presentazione a Milano in Assolombarda questa sera di ‘Il mondo nuovissimo’: il libro che ha realizzato a quattro mani con il consulente in corporate e reputation strategy Roberto Race.
Nel volume, edito da Luiss University Press, collana Bellissima diretta da Nicoletta Picchio, l’era della digitalizzazione e dell’Intelligenza Artificiale è analizzata sotto molteplici profili, in una serie di appassionanti dibattiti tra i due Autori, con una seconda parte in cui a essere intervistati sono alcuni dei più noti top player di multinazionali attive in Italia, testimoni-protagonisti di come l’IA stia trasformando i loro gruppi. ‘Il mondo nuovissimo’, 174 pagine con la prefazione del Presidente della Pontificia Accademia per la Vita Monsignor Vincenzo Paglia, sarà presentato oggi alle 18 a Milano in Assolombarda (Via Pantano 9) nel secondo evento degli ASSOtalk, gli incontri aperti alla città nella sede dell’associazione milanese di Confindustria e domani a Belluno nella sede locale di Confindustria.
All’incontro di oggi, condotto dall’inviato ed editorialista del Corriere della Sera e professore aggiunto all’Università Luiss Massimo Sideri, prenderanno parte il docente del Politecnico di Milano di Advanced & sustainable manufacturing e operations management Marco Taisch e i vicepresidenti di Assolombarda Monica Poggio, chief executive officer di Bayer Italia e Stefano Rebattoni, presidente e amministratore delegato di Ibm Italia.
Il testo si sostanzia di confronti appassionanti tra i due autori sull’impatto dell’innovazione in ambiti svariati: dall’arte all’innamoramento, dalla globalizzazione all’economia circolare. Alle loro analisi interattive, segue una parte seconda, in cui ad essere intervistati e a rivelarsi quali protagonisti-testimonial del ‘pensiero’ e delle pratiche digital sono alcuni dei più qualificati top manager operanti in Italia: Maximo Ibarra, ceo di Engineering; Monica Poggio, chief executive officer di Bayer Italia; Domenico De Rosa, presidente e amministratore delegato del Gruppo Smet; Massimiliano Cifalitti, vicepresidente Hub Europe di Abb – Electrification Smart Power; Stefano Rebattoni, presidente e amministratore delegato di Ibm Italia; Valentino Confalone, country president di Novartis Italia; Pierroberto Folgiero, amministratore delegato di Fincantieri. Un tuffo nella realtà quotidiana, improntato a un moderato ottimismo.
L’approccio di De Felice e Race, peraltro, non fa sconti né concede alcun tipo di credito. I due autori rigettano il soluzionismo tecnologico, sorta di moderno positivismo che assegna alla tecnologia aprioristicamente poteri simil-magici, così come respingono la tecnofobia, che imputa al prodotto conseguenze dannose originate dall’insipienza o malafede di chi lo utilizza. Al fondo di ogni disamina c’è la consapevolezza della oggettiva drammaticità della tematica affrontata, rispecchiata anche nel titolo, che richiama l’inquietante classico di Huxley. C’è da rispondere a tanti quesiti, fondamentali per il futuro dell’antropocene, o, a quanto pare, per la nuova era destinata a superarlo.
“La prospettiva di scenari stile Matrix al momento – spiega – è molto lontana. L’Intelligenza Artificiale è uno strumento, non crea una coscienza e una sensibilità alternative a quelle umane, ma solo capacità infinitamente superiori di calcolo. Il rischio sta nelle modalità con cui viene e potrà essere usata. I social, la rete costituiscono il veicolo attraverso cui software sofisticati possono costruire artificialmente un’opinione pubblica. Le stesse rappresentazioni delle ragioni di conflitti, come in Ucraina o nel Medio Oriente, possono basarsi su miliardi di dati e informazioni costruiti e selezionati in base a interessi di potere di chi li gestisce. La potenza assicurata dal controllo pervasivo di informazioni immesse in rete da miliardi di individui mette poi le holding del digitale nelle condizioni di influenzare il contesto politico globale. Tra i punti poco noti al cittadino occidentale, c’è il nuovo colonialismo digitale”.
“Chi implementa i servizi digitali e l’Intelligenza Artificiale – fa notare De Felice – lo fa attraverso l’etichettatura di dati. L’algoritmo su basa su informazioni riconoscibili, tracciabili, codificabili, grazie alle quali, ad esempio, un’auto a guida autonoma può distinguere una strada, una persona, un ostacolo imprevisto. Per provvedere a queste esigenze è attivo un esercito di lavoratori di Paesi sudamericani o di realtà come Kenya, la stessa India, disposti per pochi soldi a offrire le proprie prestazioni a holding che approfittano della disintermediazione assicurata dalle piattaforme tecnologiche universali”.
“Alla base – spiega – c’è sempre il concetto di esercito industriale di riserva di marxiana memoria. È chiaro che in certi paesi le condizioni di vita sono così misere da indurre ad accettare pochi dollari per un lavoro di dieci-dodici ore che non sarebbe mai disposto a svolgere chi risiede in aree con livelli di reddito medio-alti”.
Nel libro si parla di una tecnocrazia che aumenta le diseguaglianze. Ma per De Felice “non è strada senza uscita se si riesce a governare questi processi con una nuova etica, in grado di fornire risposte alle esigenze del Mondo Nuovissimo. Una etica che, ovviamente, non può risolversi nella demonizzazione luddistica della tecnologia, ma che, utilizzandone le strumentazioni, costruisca un contesto a misura di Uomo, senza disperdere i valori su cui abbiamo edificato la nostra civiltà. E’ una sfida contro il tempo. E non per il rischio di un prossimo dominio del Robot. La distopia oggi diventa una rappresentazione sempre più diffusa del destino della nostra specie, ma per altri motivi. Pensiamo alle pandemie, al climate change, al consumo irrefrenabile di materie prime dell’economia lineare che sta tagliando il ramo su cui siamo seduti, alle guerre sempre più tecnologiche ma non per questo devastanti. In un contesto così precario, la tecnologia può ergersi anche a strumento di salvezza, ottimizzando la svolta verso un nuovo modello di economia circolare”.
(Adnkronos – Lavoro)
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