Contro le mafie, investire in capitale umano

Padova, 21 ottobre 2021. Un viaggio dentro le mafie, a partire dall’uso corretto delle parole, passando per i dati, approdando alle buone pratiche. Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale dell’associazione Avviso pubblico, è intervenuto al seminario-laboratorio Etica sociale ed educazione alla legalità, promosso dalla Facoltà teologica del Triveneto con il contributo della Regione del Veneto. Di fronte a insegnanti, dipendenti pubblici e studenti, nella regione che per prima nel Nord Italia ha generato una mafia autoctona, la Mala del Brenta di Felice Maniero, Romani ha spiegato che oggi la mafia non spara più in strada, se non per qualche regolamento di conti, ma agisce infiltrandosi, e stabilizzandosi, nel tessuto economico e sociale. Controllo di attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti, servizi pubblici, ostacolo al libero esercizio di voto per realizzare profitti e vantaggi: così l’art. 416bis della legge 646/1982 definisce giuridicamente le associazioni di tipo mafioso.

«La mafia oggi fornisce servizi che lo stato o le banche non garantiscono e attecchisce bene dove l’evasione fiscale è più alta – ha sottolineato Romani –. Le mafie acquisiscono attività commerciali, prestano denaro con il fine di impossessarsi delle imprese, offrono la possibilità si smaltire illecitamente rifiuti a costi più bassi, riciclano denaro sporco attraverso i loro circuiti, gestiscono appalti, movimento terra, gioco d’azzardo».

«La mafia è impresa, – ha proseguito – che in Veneto opera soprattutto nell’edilizia, nelle attività commerciali, nel settore immobiliare, nel manufatturiero. Il mafioso manda i figli a studiare nelle migliori università, perché si specializzino nel settore economico-finanziario o giuridico per gestire i beni: “make or buy”, o lo faccio in casa o lo compro, e se ho il servizio in casa salvaguardo un pilastro del potere mafioso, che è la segretezza. E nell’impresa familiare fondamentale è il ruolo delle donne, destinate a generare figli, molti, possibilmente maschi, e a educarli come mafiosi».

Dotazione di eserciti privati, armi e capitali illeciti, commissione di reati per un arricchimento rapido e impune (i soldi significano potere), esercizio della corruzione, della violenza e dell’intimidazione per controllare il territorio sul quale agiscono: è questa la carta d’identità delle mafie oggi, dalla ‘Ndrangheta (la più forte in Italia e quella maggiormente presente nella nostra regione) a Cosa Nostra, dalla Camorra alla Sacra Corona Unita, e ancora Stidda, Basilischi, Mafia del Brenta e altre mafie “locali” che operano a Roma e provincia. Nel Veneto agiscono anche gruppi criminali mafiosi stranieri provenienti dai Balcani, dall’Europa centrale e orientale, dall’Africa e dal Sudamerica, dediti soprattutto al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti, allo sfruttamento della prostituzione, alla tratta di esseri umani; svolgono queste attività illecite in accordo con le mafie italiane, unite nella ricerca del profitto.

Nate nell’Ottocento nel Mezzogiorno d’Italia, l’esistenza delle mafie è stata riconosciuta dallo Stato italiano solo nel 1982. L’espansione al Nord è stata favorita dai soggiorni obbligati, dalla fuga dalle guerre di mafia de Meridione e dal contrasto delle forze dell’ordine e della magistratura, dai flussi migratori degli anni Sessanta e Settanta, dal riciclaggio (penetrazione nell’economia, creazione di un sistema bancario parallelo), dal rapporto con la criminalità locale, soprattutto nel traffico di droga, e dall’espandersi della corruzione.

«Nel Nord-Est la lotta alle mafie per molti anni non è stata considerata una priorità – ha ripreso Romani citando la relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia del 2018 –. Qui non sono stati utilizzati in maniera sistematica strumenti che in altre regioni del nord hanno prodotto risultati significativi: accessi ai cantieri, interdittive, ricognizione della presenza di pregiudicati e loro familiari per reati di mafia, verifiche fiscali sulla provenienza dei patrimoni, controlli su fallimenti e liquidazioni di imprese. Soltanto nel 2015, con l’indagine Aemilia della DDA di Bologna è emersa con chiarezza la diffusione delle cosche della ‘Ndrangheta in vaste aree del Veneto. Oggi in Veneto la mafia non è infiltrata ma radicata, cioè è ormai una presenza stabile».

La mafia non è l’anti-Stato, cerca piuttosto di essere uno stato nello Stato, ha bisogno della politica, dei voti, del consenso, si potrebbe dire che crea un “welfare mafioso di prossimità”, perché il mafioso cerca e gode del consenso sociale. «Dobbiamo pensare alle mafie – ricorda Romani – come modo di atteggiarsi, di comportarsi».

Conoscere, informarsi, capire è fondamentale per poi agire. Serve una autoeducazione personale e collettiva, un cambio culturale e un passaggio etico-morale per capire che è richiesta una radicalità nello schierarsi e nell’impegnarsi: o si è contro o si è complici della mafia. «”Si può sempre fare qualcosa” – ha sottolineato Romani citando Giovanni Falcone –. L’Italia è modello internazionale in fatto di legislazione di lotta alla mafia, ha strutture importantissime quali la Direzione investigativa antimafia, la Direzione nazionale antimafia, i commissari antiracket e antiusura».

C’è anche un’“antimafia sociale”, Avviso pubblico, una rete di enti locali che concretamente si impegnano per promuovere la cultura della legalità e della cittadinanza responsabile. L’associazione dal 1996 oppone alle mafie un progetto di legalità e di responsabilità organizzata, generando un tessuto connettivo e sociale solido mediante la formazione per funzionari della pubblica amministrazione e per le scuole. «Lavorare sui ragazzi – ha concluso Romani – è il migliore investimento in capitale sociale che possiamo fare per il nostro paese».

Paola Zampieri

(Facoltà Teologica del Triveneto)