In queste settimane stiamo assistendo a un intenso dibattito a riguardo della campagna vaccinale che il nostro paese ha intrapreso. Gli allarmi sul vaccino AstraZeneca, ora Vaxzevria, e il cambio delle linee guida circa la sua somministrazione, hanno generato paura, confusione e preoccupazioni. Complice la stanchezza psicologica legata a una situazione che sta assomigliando sempre di più a un lungo tunnel di cui non si riesce a scorgere la fine, molti nostri contemporanei stanno perdendo, insieme alla fiducia nelle istituzioni, siano esse scientifiche o politiche, anche quella lucidità e quel senso critico che sono conditio sine qua non per uscire da quella che sarà ricordata come la più grande emergenza sanitaria del secolo. La pandemia da Covid-19 ha infatti profondamente destabilizzato la società, facendo emergere tutta la nostra vulnerabilità fisica, culturale e politica.
Scienza, politica e bioetica
Da subito, questa emergenza sanitaria senza precedenti è stata interpretata attraverso un framework puramente scientifico, e le decisioni politiche sono state prese considerando quasi esclusivamente le ragioni fornite dai comitati tecnico-scientifici. Sebbene la situazione di emergenza reclami – giustamente – delle soluzioni tempestive sul piano organizzativo-gestionale, queste non esauriscono però l’impegno che ci è richiesto per affrontare questi tempi non facili. Una «maggiore profondità di visione e una migliore responsabilità dell’apporto riflessivo sul senso e sui valori dell’umanesimo [ha] la stessa urgenza della ricerca di farmaci e vaccini» (cf. Pontificia Accademia per la vita, Pandemia e fraternità universale. Nota sulla emergenza da Covid-19, 30 marzo 2020).
La riflessione bioetica è infatti letteralmente “esplosa” in questo periodo. Espressioni quali triage, priorità di accesso alle cure, allocazione delle risorse, nazionalismo vaccinale – un tempo appannaggio di pochi esperti del settore – sono entrate a pieno diritto nel dibattito giornalistico quotidiano e nelle arene televisive. Di conseguenza la domanda etica per eccellenza: “Cosa è buono/giusto fare qui e ora?” chiede di essere affrontata nel modo più competente e celere possibile.
Una cultura umana integrata
La maturità nelle scelte – la prudenza (o phronesis, citando Aristotele) – mai come ora ha bisogno di avvalersi di una conoscenza integrale, non riduttiva né settorializzata. Se l’iper- specializzazione dei saperi, cui oggi assistiamo, ha permesso in breve tempo all’umanità di raggiungere un livello altissimo di conoscenze dettagliate sulla realtà che ci circonda, con notevoli ricadute pragmatiche, non possiamo però non constatare che si è rivelata miope nel guardare al globale, alla visione d’insieme: the big picture.
Ce ne stiamo accorgendo in questi giorni, quando a livello di policies – nel tentativo di orientare l’azione –, si fa molta fatica a bilanciare le ragioni provenienti da un ambito del sapere con quelle che provengono da un altro: i protocolli formali risultano spesso insufficienti quando applicati a decisioni che riguardano l’essere umano, la sua salute e la sua vita in società. Senza contare come spesso la preoccupazione etica resta confinata a bilanciare le conflittualità e a mettere in luce le responsabilità in gioco – spesso solo per fini economici – ma con scarso interessamento circa le esigenze del bene comune e la promozione morale della società. Pochi sembrano effettivamente interessati a promuovere una cultura umana integrata, unificata dalle domande di senso e dai fini che dovrebbero illuminare l’azione del soggetto.
Fermarsi e riprogettare il futuro
Tanto più che oggi non viviamo soltanto un’epoca di cambiamenti – di cui l’attuale emergenza sanitaria rappresenta la punta dell’iceberg – ma un vero e proprio “cambiamento d’epoca”, segnalato da una complessiva crisi antropologica e socio-ambientale, che richiede una coraggiosa rivoluzione culturale (cf. Francesco, Veritatis gaudium, n. 3). Ecco allora come un approccio integrale, multi e trans-disciplinare, alle questioni etiche e bioetiche che l’attuale pandemia sta sollevando, uno stile che cerchi di adottare uno sguardo sapienziale sull’uomo e sul suo vivere in società, può davvero rivelarsi uno strumento prezioso per ripartire. Sì, perché di questo si tratta: riprogettare il nostro futuro.
Se nelle epoche passate, infatti, l’umanità è andata avanti procedendo su binari più o meno stabili
– e il cambiamento era difficile da introdurre – il deragliamento provocato dal Covid-19 sta costringendo la famiglia umana a fermarsi, a ripensare le sue vie e a farlo tempestivamente. Paradossalmente questa “disgrazia” potrebbe rivelarsi una preziosa opportunità che ci viene offerta per attingere a risorse di senso finora non sfruttate o forse sconfessate, così da promuovere uno stile di vita più inclusivo e solidale, in una cornice di autentica fraternità universale. Come ci ha ricordato più volte papa Francesco: «peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla» (Omelia del Santo Padre Francesco nella Solennità di Pentecoste, 31 maggio 2020).
don Diego Puricelli
docente del corso “Bioetica e Covid-19”
Istituto superiore di Scienze religiose “Giovanni Paolo I”
Belluno-Feltre, Treviso e Vittorio Veneto