Assoluzioni generali: disciplina canonica

La vigente normativa sulle assoluzioni generali, contenuta ai cann. 961-963 CIC, riprende i principi dei precedenti provvedimenti con cui la Santa Sede è intervenuta in materia, nel contesto dei due conflitti mondiali del XX secolo. Il primo fu una declaratio della Sacra Penitenzieria Apostolica del 6.02.1915, mentre il secondo fu a opera di Pio XII l’8.12.1939, tramite la Sacra Congregazione Concistoriale. In pericolo di morte, a causa della guerra, si concedeva di assolvere i fedeli da peccati e censure, anche riservati, senza la confessione individuale quando non vi fosse tempo per ascoltarli ed essi fossero debitamente disposti, premesso l’atto di dolore; così potevano comunicarsi, ma restava il fermo dovere di integra confessione individuale dei peccati gravi una volta passato il pericolo. La successiva istruzione della Sacra Penitenzieria Apostolica Ut dubia del 25.03.1944 ha disciplinato in modo più compiuto la materia prevedendo le due ipotesi di assoluzione generale che oggi sono riportate al can. 961. La Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede emanò poi il 16.06.1972 le Norme pastorali circa l’assoluzione sacramentale generale Sacramentum Paenitentiae, che sottolineavano l’eccezionalità del ricorso all’assoluzione collettiva e ribadivano che la confessione individuale e completa rimaneva l’unico mezzo ordinario per riconciliarsi con Dio. L’Ordo Paenitentiae del 2.12.1973 ha quindi incluso la terza forma di celebrare la penitenza. Il nuovo codice ha accolto in parte le citate Norme pastorali e ha portato all’adeguamento dell’Ordo Paenitentiae.

Il can. 961 contempla due ipotesi che legittimano l’assoluzione collettiva, ovvero l’imminente pericolo di morte quando al sacerdote o ai sacerdoti manchi il tempo per ascoltare le confessioni dei singoli penitenti, e la grave necessità, quando, tenuto conto del numero dei penitenti, non si hanno a disposizione confessori sufficienti per ascoltare come si conviene le confessioni dei singoli entro un tempo conveniente sicché essi sarebbero costretti a rimanere a lungo, senza loro colpa, privi della grazia sacramentale o della sacra comunione. Per quest’ultima evenienza si precisa che la necessità non si considera sufficiente quando non possono essere a disposizione dei confessori per la sola ragione della grande affluenza di penitenti, quale può aversi in occasione di una grande festa o di un pellegrinaggio. Il Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi ha ulteriormente chiarito, con Nota esplicativa, che il contesto originario dellimmineat periculum mortis era quello delle due guerre mondiali, mentre per la seconda ipotesi del canone precisa che le due condizioni devono concorrere congiuntamente (Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi, Nota esplicativa: la normativa sull’assoluzione generale senza previa confessione individuale, 8.11.1996, Communicationes 28 [1996] 177-181).

Si sottolinea che l’eccezionalità dell’assoluzione generale è messa in luce pure dalla formulazione in negativo del primo paragrafo della norma, attraverso l’espressione impertiri non potest nisi, che marca l’assoluto divieto di ricorrere alla terza forma salvo la rigorosa sussistenza delle tassative ipotesi indicate, rimanendo portante il principio sancito dal can. 960, qualificato di diritto divino dal Concilio di Trento, ovvero che la confessione individuale costituisce l’unico mezzo ordinario per ottenere la riconciliazione con Dio e con la chiesa. Il carattere straordinario porta a conferire all’intero canone in questione un’interpretazione stretta ai sensi del can. 18, senza possibilità di ulteriori estensioni, come ribadito anche dall’esortazione apostolica Reconciliatio et Paenitentia di Giovanni Paolo II (AAS 77 [1985] n. 32).

La straordinarietà dell’assoluzione generale, soprattutto in riferimento alla seconda ipotesi, è stata ulteriormente evidenziata dalla lettera apostolica Misericordia Dei di Giovanni Paolo II, la quale afferma che «non è ammissibile il creare o il permettere che si creino situazioni di apparente grave necessità, derivanti dalla mancata amministrazione ordinaria del Sacramento per inosservanza delle norme sopra ricordate e tanto meno dall’opzione dei penitenti in favore dell’assoluzione in modo generale, come se si trattasse di una possibilità normale ed equivalente alle due forme ordinarie descritte nel Rituale» (Misericordia Dei, AAS 94 [2002] n. 4). Il provvedimento esemplifica i casi di gravi necessità con quelli che si possono verificare in territori di missione o in comunità di fedeli isolati, dove il sacerdote può passare soltanto una o poche volte l’anno o quando le condizioni belliche, meteorologiche o altre simili circostanze lo consentano. Inoltre, quantifica, sempre a livello esemplificativo, in un mese il periodo di riferimento per considerare la lunghezza con cui i fedeli potrebbero rimanere priva della grazia sacramentale e della Comunione se non approfittassero dell’assoluzione generale. La stima di un tempo inferiore non configurerebbe quell’impossibilità, fisica o morale, di accostarsi alla confessione individuale tale da giustificare il riscorso alla modalità straordinaria (Misericordia Dei, n. 4).

Il secondo paragrafo del can. 961 stabilisce che la valutazione delle condizioni richieste non spetta al singolo confessore bensì al vescovo diocesano, il quale però, nel determinare i casi di necessità, deve tener conto dei criteri concordati con gli altri membri della Conferenza Episcopale. A tal proposito la citata let. ap. di Giovanni Paolo II precisa che, essendo di fondamentale importanza la piena armonia tra i vari Episcopati del mondo, le Conferenze Episcopali, a norma del can. 455 § 2 del C.I.C., devono far pervenire alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti il testo delle norme che intendono emanare oppure aggiornare il Dicastero su tutto quanto concerne l’applicazione del can. 961. Inoltre essa suggerisce l’opportunità che i Vescovi diocesani riferiscano alle rispettive Conferenze Episcopali circa il verificarsi o meno, nell’ambito della loro giurisdizione, dei casi di grave necessità; sarà poi compito delle Conferenze informare la Congregazione circa la situazione di fatto esistente nel loro territorio e gli eventuali mutamenti che dovessero registrarsi (Misericordia Dei, n. 4).

La vigente disciplina pone al can. 962 delle chiare condizioni per la validità e la liceità dell’assoluzione collettiva. La validità è legata al verificarsi di due presupposti tassativi; il primo, comune a tutti i sacramenti, è la retta disposizione, che nel caso della Penitenza comporta la necessità del sincero pentimento; il secondo è il proposito di ricorrere debito tempore alla confessione dei singoli peccati gravi che non si sono potuti confessare. Tale condizione deve essere, a pena di liceità, fatta presente ai penitenti, premessa anche un’esortazione, nei limiti del possibile, che porti i fedeli a porre l’atto di contrizione. Tutto questo conferma come non sia dispensabile il precetto divino della confessione integrale, siccome ricorda Giovanni Paolo II nella Reconciliatio et Paenitentia (n. 270). Riguardo al tempo a disposizione per compiere tale atto, il can. 963 stabilisce che avvenga quam prium occasione data e prima che abbia a ricevere un’altra assoluzione generale, nisi iusta causa interveniat.

don Pierpaolo Dal Corso
docente di Diritto canonico
Facoltà di Diritto canonico San Pio X
Venezia

(Facoltà Teologica del Triveneto)