Un modello per risolvere il mistero MH370

Ricercatori dell’Isac-Cnr propongono un approccio innovativo per individuare il punto di impatto con l’oceano del velivolo Malaysia Airlines scomparso lo scorso 8 marzo: utilizzare le coordinate spazio-temporali dei detriti avvistati, ripercorrendo il loro spostamento all’indietro nel tempo

La scomparsa dell’aereo Malaysia Airlines MH370, in rotta da Kuala Lampur a Pechino con 239 passeggeri a bordo, risale ormai al giorno 8 marzo 2014.

Nessuna traccia evidente dei resti del velivolo, ne’ delle scatole nere, e’ stata finora identificata, e le ricerche continuano ininterrottamente, senza esito, in un’area molto estesa che risulta difficile circoscrivere in assenza di precise indicazioni. Una delle ipotesi e’ che l’aereo, per ragioni sconosciute, poco dopo il decollo, abbia virato a sud in direzione dell’Oceano Indiano e si sia inabissato in mare, a largo dell’Australia, presumibilmente dopo aver percorso una distanza compatibile con le riserve di combustibile.

In caso in cui fosse questo lo scenario, un modo per risalire al punto d’impatto, in linea di principio, e’ quello di utilizzare le coordinate spazio-temporali di eventuali detriti, avvistati in qualche parte dell’oceano e ipoteticamente riconducibili al velivolo, e provare a ricostruire il loro spostamento sulla superficie del mare all’indietro nel tempo, fino alla data presunta del disastro. Tecnicamente, la questione e’ delicata, poiche’ -anche avendo a disposizione un modello di circolazione generale dell’oceano- i problemi che si presentano sono fondamentalmente di due tipi: il primo e’ che il modello non rappresenta mai esattamente la realta, e di conseguenza le traiettorie numeriche non sono mai uguali a quelle vere. Il secondo e’ che la dinamica, in ogni caso, e’ ‘non lineare’, e cio’ comporta una crescita molto rapida degli errori sulle traiettorie.

Se il sistema descritto dal modello e’ ‘regolare’ -ad esempio la caduta di un grave in prossimita della superficie terrestre o l’orbita di un pianeta intorno al Sole- il fatto che ci siano dei piccoli errori non influisce in maniera significativa sulla previsione dello stato futuro, anche su tempi molto lunghi; se invece, come in questo caso, il sistema e’ fortemente ‘non lineare’ (ad esempio, un fluido turbolento) errori comunque piccoli commessi dal modello si amplificano velocemente nel tempo, pregiudicando l’affidabilita delle previsioni, caratteristica ben nota dei sistemi detti ‘caotici’ sin dai tempi di E. Lorenz.

Tornando al problema di partenza, e’ acile rendersi conto che, al massimo, si possono fare considerazioni solo probabilistiche sulla localizzazione del punto d’impatto. Questo perche’ un sistema conservativo (come il mare, con buona approssimazione) se e’ caotico in avanti nel tempo lo e’ anche all’indietro. Operativamente, c’e’ poi un altro importante aspetto da considerare. I modelli di circolazione ricostruiscono i campi di velocita solo entro certi limiti di risoluzione. Nei casi in cui sia necessario esplorare un dominio molto esteso, non e’ possibile, dal punto di vista computazionale, spingere la risoluzione a scale molto piccole: nel nostro caso significa non poter risolvere strutture su scale minori di qualche decina di km. Naturalmente, in problemi di ‘search and rescue’, le prime fasi del processo di dispersione sono molto importanti e, dato che queste fasi interessano inizialmente le piccole scale, si deve in qualche modo intervenire sul modello a grande scala per ristabilire, almeno in senso statistico, la rapidita della dispersione di oggetti fluttuanti altrimenti sottostimata. Tale intervento consiste nell’ innesto di un secondo modello, molto semplificato ma efficace, all’interno del grande modello di circolazione, in grado di simulare la dispersione turbolenta di mesoscala di traccianti passivi, dopo opportuna calibrazione dei parametri su dati osservativi in-situ (boe Lagrangiane di superficie). Una volta messa a punto la catena modellistica, si procede con la simulazione all’indietro nel tempo delle traiettorie dei detriti endash; assumendo che provengano tutti da una stessa sorgente – e si cerca il punto di rilascio, alla data del presunto incidente, all’interno dell’eventuale area di intersezione delle distribuzioni di probabilita’ associate a ciascun insieme di oggetti. Nel nostro caso particolare, i dettagli della simulazione preliminare sono riportati di seguito. Data di avvistamento e coordinate geografiche di presunti insiemi di detriti A, B e C:

A: 16 marzo, 44S 91E

B: 18 marzo, 45.5S 90.5E

C: 23 marzo, 44.7S 90.5E

Area di localizzazione del punto d’impatto (vedi figura allegata): ‘quadrato’ di vertici (45S, 89.5E), (45S, 90.5E), (44S, 90.5E) e (44S, 89.5E).

La previsione puo’ essere migliorata con una calibrazione del modello su dati osservativi locali (la calibrazione attuale e’ sulle caratteristiche medie oceaniche) ma non in misura rilevante; tutta l’impalcatura si regge sull’ipotesi che i detriti avvistati provengano realmente dall’aereo -cosa non ancora accertata-;l’area d’impatto simulata e’ prossima alle zone di avvistamento dei detriti, cosa che puo’ apparire ovvia ma che dipende, in realta, dal fatto che le acque superficiali in quella zona di oceano seguono delle ri-circolazioni e non delle correnti a getto.

Per informazioni:

Guglielmo Lacorata, Isac-Cnr (Lecce), e-mail: [email protected]

Luigi Palatella, Isac-Cnr (Lecce), e-mail: [email protected]

Rosalia Santoleri, Isac-Cnr (Roma), e-mail: [email protected]

Allegati: Test preliminare di localizzazione presunta dell’area d’impatto del velivolo con l’Oceano Indiano Mappa di avvistamento di presunti detriti

(Ufficio stampa CNR)

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