Contrasto alle mafie: l’impegno delle vittime

Padova, 18 novembre 2021. Nel percorso “Etica sociale ed educazione alla legalità” che si sta svolgendo in Facoltà teologica del Triveneto con il contributo della Regione del Veneto, sono state portate due testimonianze di persone vittime di attività criminali: Mirco Schio, agente della Polizia di Stato e presidente dell’associazione Fervicredo onlus (Feriti e vittime della criminalità e del dovere), ferito in un agguato della famigerata Legione Brenno, organizzazione paramilitare di destra che trafficava armi con la ex Jugoslavia, e Donato Agnoletto, presidente di una cooperativa di vigilanza privata, vittima della mafia del Brenta di Felice Maniero. È intervenuto anche Mauro Armelao, segretario generale regionale del sindacato Fsp-Polizia di Stato del Veneto e neo-sindaco di Chioggia.

La vita toglie, la vita dà

3 settembre 1995. Una e mezza di notte, Marghera. Giro di pattuglia per Mirco Schio, ventitreenne, che ha scelto di fare il poliziotto dopo le superiori perché gli piaceva aiutare gli altri, stare in mezzo alla gente. Fatte le ossa a Milano è rientrato a Venezia, sua terra natale. È nella polizia di frontiera, assegnato alla zona del porto. Quella notte un’auto sospetta segue la macchina di pattuglia. I poliziotti accostano e la fermano per un normale controllo. Gli occupanti dell’auto estraggono armi da guerra e fanno fuoco. Schio avverte una scossa, come di corrente, e un forte dolore. Cade a terra. Milza, rene e colonna vertebrale sono colpiti dai proiettili. Riesce a mettere il colpo in canna e sparare. Pensa che ha appena acquistato un appartamento al terzo piano, senza ascensore, e che ha cento milioni di debito con la banca e che non può lasciare da sola la sua compagna.
Si salva ma rimane in sedia a rotelle. La compagna oggi è sua moglie e la coppia ha due figli che vanno all’Università. Tanti amici e colleghi gli sono rimasti vicini. «La vita da qualche parte ti dà, da qualche parte ti toglie», dice.
Nel 1999 ha fondato l’associazione Fervicredo onlus (Feriti e vittime della criminalità e del dovere) che promuove leggi in favore delle vittime e dei loro familiari: giusti risarcimenti, borse di studio per gli orfani, benefici per le vedove, così difficili da ottenere. In particolare, si batte per l’equiparazione delle vittime del dovere (oltre 7mila in Italia) alle vittime del terrorismo (700), che a tutt’oggi godono di un trattamento migliore da parte dello Stato. Oltre alla tutela e all’assistenza, l’associazione promuove iniziative per tenere vivi il ricordo delle vittime e l’attenzione sui temi della sicurezza.

A tu per tu con “Faccia d’angelo”

Notte di san Valentino 1988. Mezzanotte e mezza. La famiglia di un vigilante dorme nella sua abitazione in centro a Mestre. Suonano alla porta. Otto persone in divisa da finanziere esibiscono un mandato di perquisizione firmato da un conosciuto giudice veneziano. Invitano la famiglia a vestirsi e a seguirli. Due macchine, la moglie, incinta al settimo mese e la figlia di due anni da una parte, il marito, Donato Angoletto, dall’altra. Arrivano a un casolare. Buio. Freddo. Tredici persone incappucciate fanno scendere l’uomo dall’auto, gli ordinano di camminare. La canna di una pistola, fredda, puntata alla nuca. Il rumore del cane che viene armato. Donato reagisce, nasce una colluttazione, spara alla pancia dell’uomo, che cade a terra. Poi i colpi. Tre raggiungono Donato: alla mascella, al collo del femore, al gluteo destro in risalita fino al polmone. Emorragia interna, sangue in gola, respiro in affanno. È in fin di vita. Sente la voce di un uomo sopra di sé: «Fermo o ti finisco». È Felice Maniero, il capo della mafia del Brenta. Poi tutti se ne vanno. La moglie, liberata, corre in cerca di aiuto. Arrivano i soccorsi, la corsa in ospedale all’Angelo di Mestre. Donato non perde mai conoscenza. I chirurghi disperano di salvarlo. A fare il miracolo è un difetto nella vena aorta. La trasfusione di 56 sacche di sangue gli ridà la vita ma lo infetta con l’epatite c. Altro calvario
Per il sequestro – messo in atto dalla banda di Maniero con tre terroristi rossi fuggiti dal carcere di Padova – ha pagato una sola persona: il tizio di Brunico che ha fornito le divise false da finanziere.
Agnoletto, a 70 anni, continua il suo impegno attivo di testimonianza e di pungolo allo Stato perché sia più efficiente, con leggi, uomini e mezzi, nel contrasto alle forme di criminalità e più vicino a chi viene colpito nell’esercizio del proprio dovere.

Il contrasto alla mafia è responsabilità di tutti

Mauro Armelao evidenzia la forte carenza di uomini e mezzi che segna ormai costitutivamente la situazione delle forze dell’ordine e richiama l’importanza della prevenzione in un territorio fragile come è il Veneto.
Cita un’indagine condotta dal prof. Antonio Parbonetti dell’Università di Padova, che ha preso in considerazione gli anni dal 2005 al 2016 per un complesso di 160 operazioni di mafia. «La ricerca ha messo in luce la presenza di circa duemila aziende, in tutto il centro-nord Italia, connesse con una organizzazione criminale: principalmente ‘Ndrangheta, seguita da Camorra e Cosa Nostra. Il solo Veneto ha il 20 per cento di queste “aziende criminali”, cioè circa 400. Al primo posto è la Lombardia, secondo il Veneto, terza l’Emilia-Romagna. Le regioni più ricche e produttive sono divenute ricettacolo della presenza criminale».
«I grandi appalti, i cantieri – prosegue Armelao – sono terreno fertile per le mafie; ma anche il mondo dell’associazionismo può diventare un luogo ideale per introdurre persone che si integrino nelle comunità e svolgano gli interessi della mafia. È necessario vigilare e prevenire. Ciascuno deve fare la sua parte: lo Stato, senza dubbio, ma anche il cittadino, che deve sapere che può parlare con le forze dell’ordine anche in forma riservata per portare a conoscenza situazioni particolari».

Se l’illegalità diffusa – in particolare l’evasione fiscale – è un terreno favorevolissimo al proliferare della mafia, la formazione delle coscienze per un retto agire è l’arma alla portata di tutti per poter agire nel terreno di coltura di questo fenomeno e per contrastarlo.

Paola Zampieri

(Facoltà Teologica del Triveneto)