
Roma, 19 set. “Volevo raccontare l’uomo del confine perché quello è il luogo poroso in cui ci si mescola. Il confine va pensato come luogo multiculturale non come un muro”. Così Federica Manzon, scrittrice, vincitrice dei premi Rapallo Carige e Campiello Selezione Giuria dei Letterati, racconta il suo ultimo libro, ‘Il bosco del confine’, edito da Aboca e presentato oggi a pordenonelegge. La Manzon, nata e cresciuta a Pordenone, terra di confine, attraverso le lunghe passeggiate fatte nei boschi con il padre, capisce che non esistono confini, che il bosco è di tutti. E la protagonista del suo romanzo “nato da un elemento biografico”, passeggia per i boschi con il padre che le dice: “Hai mai visto una betulla ritrarre i rami per non sconfinare in territorio straniero?”. Eppure lei, affascinata e al tempo stesso spaventata, si accorge che di là c’è la nazione con uno degli eserciti più forti al mondo, una terra di uomini sanguinari con il coltello tra i denti e la barba da pastore.
Federica Manzon, durante le sue lunghe passeggiate nei boschi, ha “capito che questo semplice attraversare i confini mi ha insegnato molto e mi ha formato nella dimensione dello stare soli con sé stessi nel silenzio. Ma ho anche capito che il confine – spiega la scrittrice profondamente innamorata di Trieste, città di confine – è un concetto importante in un momento in cui l’Europa guarda a Est. Dall’attaccamento per i luoghi è nato l’interesse per le persone, per quelli che hanno combattuto nei Balcani, un mondo di cui ancora conosciamo poco. Sarajevo e Trieste sono due città complesse che possono trasformarsi in luoghi del multiculturalismo ma possono anche trasformarsi in luoghi di conflitti”, osserva.
Per scrivere ‘Il bosco del confine’ la Manzon si è avventurata in lunghe ricerche, si è fatta raccontare molte storie, “un modo – spiega – per trovare un’appartenenza, qualcosa che ci accomuna. E’ molto forte questo sentirsi europei anche se parte dei Balcani non appartiene all’Ue. Mi chiedo qual è l’Europa che ci stiamo immaginando? E’ senza confini o ha dei muri?”. E ribadisce che “il concetto di confine è utile per immaginare un’identità che non sia chiusa, perché quello che immaginiamo come identità non è mai una cosa monolitica. Dobbiamo pensare il confine come luogo multiculturale. Quando incontri qualcuno nel bosco ti saluti nella lingua dell’altro – sottolinea la scrittrice – Credo quindi che sia importante recuperare un’idea di confine come valorizzazione del diverso, di ciò che non è omologabile, altrimenti si rischia di vivere in una società statica. La diversità va valorizzata per rendere la società capace di evolversi”, conclude la Manzon.
(Adnkronos)
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