Omicidio Vannini, figlio Ciontoli: “Non volevo nascondere nulla”


Federico Ciontoli in una dichiarazione spontanea resa in Aula nel corso del processo d’Appello Bis: “Chiamai i soccorsi”
Roma, 8 lug. “E stato fino ad oggi ripetutamente detto, solo sulla base di supposizioni, e questo è presente addirittura in alcuni atti processuali e non solo detto nei luoghi di spettacolo, che anche a costo di far morire Marco, io avrei nascosto quello che era successo. La verità è che io ho chiamato i soccorsi pensando che si trattasse di uno spavento, figuriamoci se non l’avrei fatto sapendo che era partito un proiettile”. Cosi’ in una dichiarazione spontanea Federico, figlio di Antonio Ciontoli, nel corso del per l’disposto dopo la sentenza della Cassazione del 7 febbraio scorso.
“Se avessi voluto nascondere qualcosa, perché avrei chiamato subito l’ambulanza di mia spontanea volontà dicendo che Marco non respirava e perché avrei detto a mia madre che non mi credevano e di fare venire i soccorsi immediatamente? Vi prego: non cadete in simili suggestioni che sono totalmente contraddette dalla realtà”, ha proseguito.
“La prima cosa che mi è interessata quella sera e che qualcuno che sapesse cosa fare potesse intervenire visto che, anche se mio padre diceva di poterci pensare lui, a me dopo un po’ non sembrò così. Mio padre diceva che Marco si era spaventato per uno scherzo, e io gli credetti perché non c’era nessuna ragione per non farlo”, ha detto ancora Federico Ciontol.
“Non c’era niente che mi spinse a non credere in quello che mio padre chiamò ‘colpo d’aria’, del cui significato non mi interessai più di tanto essendo stato solo uno scherzo. In più, gli credetti perché mio padre si comportava proprio come se stesse gestendo uno spavento, ossia alzando le gambe e rassicurando. Il tipo di scherzo che aveva causato lo spavento, in quel momento non era una preoccupazione per me”, ha aggiunto.
“Sono qui non per paura di essere condannato, ma perché la verità è quello che ho sempre raccontato. Per anni sono sceso per strada con la certezza che qualche giornalista mi sbarrasse la strada, mi pedinasse o bloccasse la portiera dell’auto per non farmi partire e forzatamente cercasse di estorcere un’intervista, come ormai avveniva abitualmente”, ha detto ancora.
“Ma questo non era niente – ha aggiunto- rispetto al fatto che per tre interminabili anni sono uscito ogni giorno da casa per andare a lavorare e ho camminato perseguitato dall’immagine di qualcuno che potesse venire e spararmi alla testa spinto da quello che si diceva su di me in televisione”.
“Non che questo non possa avvenire oggi, o che io non lo pensi più oggi, ma oggi ho paura, ho più paura perché ho raggiunto una certezza che rimarrebbe anche se io non esistessi più. Anche se quello che veniamo a sapere, che vediamo, che sentiamo spesso non è la verità, ma una costruzione di fronte alla verità ogni costruzione crolla”, ha concluso.

(Adnkronos)

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