Latinitas christianorum, lezioni in latino sui testi cristiani

La Facoltà teologica del Triveneto ha siglato un accordo di collaborazione didattica con la Schola humanistica di Padova, nel comune interesse di promuovere attività scientifiche, didattiche e culturali nel settore del latino, con particolare attenzione alla letteratura patristica, medievale e rinascimentale, della liturgia, del canto sacro, del diritto canonico nonché dei documenti ufficiali della Santa Sede. Il primo frutto di questa sinergia è un corso annuale, dal titolo Latinitas christianorum. Dall’antichità all’umanesimo cristiano e oltre, articolato in 22 lezioni che si terranno nella sede della Facoltà (via del Seminario 7 a Padova) il martedì dalle ore 16 alle 17.45, a partire dal 5 novembre 2019.

La caratteristica delle lezioni è che saranno tenute interamente in lingua latina dai docenti della Schola Giuseppe Marcellino e Paolo Pezzuolo.

Il corso è aperto a tutti ed è rivolto, in particolare, a quanti, avendo una conoscenza anche solo di base della grammatica latina, desiderino incontrare il latino come lingua di cultura, attraverso un contatto diretto con alcuni testi del passato e del presente. Il programma partirà dal latino della Vulgata per passare a quello degli apologisti (con la lettura di Tertulliano, Minucio Felice, Cipriano), dei padri della chiesa (Girolamo, Ambrogio, Agostino), degli scolastici (Tommaso), fino al latino dei moderni (Erasmo da Rotterdam, il concilio di Trento, Roberto Bellarmino) e a quello del Vaticano fra Otto e Novecento (da Leone XIII a Paolo VI) e del concilio Vaticano II, per finire con il latino della liturgia (gli inni e le sequenze, l’Ordinarium missae).

Il corso è gratuito per gli studenti della Facoltà e dell’Istituto superiore di Scienze religiose di Padova. Per gli esterni, informazioni al seguente link.

La riscoperta del latino e il progetto di Schola humanistica

Nel maggio 2019 è nata a Padova Schola humanistica, su progetto e grazie all’esperienza decennale dei docenti Giuseppe Marcellino (direttore scientifico) e Paolo Pezzuolo (direttore didattico), entrambi provenienti dalla Scuola Normale di Pisa. La Schola si presenta come un istituto per la conservazione e promozione della cultura classica, specializzato nell’insegnamento del latino e del greco antico tramite metodi che si ispirano alle tecniche didattiche degli umanisti. Oltre a promuovere lo studio delle lingue classiche, le attività si propongono di diffondere la conoscenza di opere scritte in latino in epoca moderna. Ai corsi accedono persone che desiderano accostarsi per la prima volta alle lingue classiche, o per necessità di studio (ad esempio per leggere le fonti in lingua originale) o per desiderio di recuperare le lingue studiate al liceo e riscoperte in seguito come strumento di conoscenza; ai seminari e alle scuole estive partecipano studiosi anche stranieri.

Particolare è il metodo usato nella didattica, come ci spiega il direttore, prof. Giuseppe Marcellino.

Il metodo usato dalla Schola si definisce “ispirato alle tecniche didattiche degli umanisti”: che cosa significa?
«Nel corso del rinascimento il latino era la lingua di cultura internazionale e fino all’Ottocento l’insegnamento ne prevedeva l’uso scritto e parlato; solo dal tardo Ottocento si affermò il metodo grammaticale-traduttivo in uso oggi nei licei. Chiunque studi una lingua moderna sa che la “produzione attiva” (cioè parlare la lingua) ha ricadute significative anche sulla conoscenza passiva (leggerla): se parlo il tedesco, ad esempio, lo leggo molto più facilmente rispetto a chi lo traduce col dizionario. Il nostro metodo quindi da una parte si collega al metodo tradizionale degli umanisti e allo stesso tempo viene rivisitato tenendo in considerazione i principi della moderna glottodidattica».

Qual è la prospettiva che sta alla base di questo approccio alle lingue classiche?
«È una prospettiva storica. L’aspetto fondamentale per noi è la consapevolezza dello statuto della lingua latina nel corso dei secoli: essa è stata certamente la lingua degli antichi romani, in cui si è espressa la letteratura latina, ma il suo arco di vita va dall’antichità al Pascoli. In epoca rinascimentale nessun parlante la apprendeva come prima lingua, ma la utilizzava come lingua di cultura, principalmente nello scritto».

In questo nostro tempo sembra esserci un ritorno di interesse per la lingua latina. Penso, ad esempio, all’account Twitter di papa Francesco (@pontifex_lt, con 916mila followers) e al notiziario radiofonico settimanale in onda su Radio Vaticana…
«Credo che non ci sia mai stato, di fatto, un disinteresse per la lingua latina. Piuttosto si può dire che nel presente l’interesse sta assumendo forme differenti rispetto al passato. Negli ultimi trent’anni soprattutto, e nell’ultimo decennio in particolare, si sta assistendo a un rinnovato interesse per l’uso del latino al di fuori delle università e della scuola».

Un latino che ritorna “vivo”?
«Nelle diverse lingue sono state coniate espressioni come “latino vivo”, “latin vivant” “lebendiges latein” e anche in latino stesso la forma, abbastanza scandalosa, “latinitas viva” come risposta implicita all’altro slogan, un po’ più antico, del “latino morto”. All’interno di questo grande contenitore del “latino vivo” c’è di tutto. Noi cerchiamo di riportare l’uso del latino ai fini didattici perché siamo convinti che, utilizzando un metodo di insegnamento in linea con i principi della glottodidattica moderna, si possa facilitare il processo di apprendimento della lingua, ma con un unico obiettivo: accedere direttamente ai testi antichi e moderni, senza l’intermediazione delle traduzioni».

Dall’antichità fino al presente, secondo una recente stima proposta da Jürgen Leonhardt, sono stati scritti circa 5 milioni di volumi in latino. Oggi che cosa si scrive in latino?
«Di latino c’è qualche traccia ancora in ambito accademico, soprattutto nei paesi dell’Est qualche filologo scrive in latino. La stessa filologia però ha abbandonato la tradizione secolare del latino come lingua per i contributi e le prefazioni (la collana Oxoniense ha iniziato a utilizzare l’inglese…). C’è qualche concorso di composizione latina, sia in prosa sia in poesia. Però, per essere concreti e pragmatici, ciò che si scrive oggi in latino sono le email e gli sms. Dato questo rinnovato interesse per l’uso del latino in tutto il mondo, gli studiosi lo utilizzano come lingua di comunicazione. Lo stesso progetto di Schola humanistica è nato tutto in latino e le nostre conversazioni, anche per iscritto, sono avvenute sempre in questa lingua».

Quindi l’uso del latino potrebbe assumere nuove forme, proprio nella comunicazione fra gli studiosi, anche grazie a internet?
«Internet ci fa entrare in contatto con persone che parlano spesso altre lingue, con le quali si potrebbe comunicare anche in inglese o in tedesco, ma si parla in latino perché è una lingua di cultura: ci sentiamo parte di quella res publica literarum che per secoli ha utilizzato questa lingua. È anche una questione di identità. D’altra parte i termini non ci mancano: riferendoci a un passato dove si parlava latino non c’è necessità di coniare nuovi vocaboli, abbiamo già tutto ciò che ci serve».

Certamente questo è un ambito di nicchia. Pensa sia possibile allargarlo, magari coinvolgendo i giovani?
«Il problema della formazione – cioè se il latino e il greco debbano far parte del codice genetico del cittadino o no – è una questione molto più ampia, che riguarda anche le istituzioni. Però, se si scardina il binomio latino=lingua degli antichi romani e si pone l’accento sulla continuità ininterrotta del latino come lingua di cultura dell’Europa – è la lingua nella quale, dall’antichità all’epoca moderna, si sono espressi la chiesa, i letterati, la scienza e anche l’amministrazione – allora ci si rende conto che la lingua latina è lo strumento di accesso al nostro patrimonio culturale. Ed è chiaro quanto sia utile che il latino non resti prerogativa degli studiosi ma si allarghi a molti come strumento per fare ricerca attiva, autonoma e diretta. Per fare un esempio semplicissimo: quanti cittadini sono in grado di leggere un’epigrafe latina su un monumento, che potrebbe far conoscere aspetti inediti della storia della propria città?».

Paola Zampieri

(Facoltà Teologica del Triveneto)