Veneto Babele di lingue-Incontri con i poeti veneti contemporanei

Martedì 2 aprile 2019 – oe 16.30 – Circolo Unificato Esercito Prato della Valle 82 Padova
Incontro con … Marco Munaro
Per il ciclo “Veneto Babele di lingue-Incontri con i poeti veneti contemporanei”
a cura di Matteo VERCESI

MARCO MUNARO è nato a Castelmassa nel 1960. Vive a Rovigo, dove insegna. Si è laureato a Bologna in lettere moderne nel 1984. Nel 2003 ha fondato “Il Ponte del Sale – Associazione per la Poesia”, che è anche casa editrice. Ha pubblicato le raccolte poetiche: L’urlo (1990), Cinque sassi (1993), Il Rosario del Lido (in 5 Poeti del premio “Laura Nobile” Siena 1993, 1995), Il portico sonoro (1998), Vaso blu con narcisi (2001), Ionio e altri mari (2003), Nel corpo vivo dell’aria (2009), Berenice (2014). Sue poesie sono state tradotte in inglese, spagnolo, finlandese e polacco. Ha tradotto: Raymond Queneau, in Poeti surrealisti (a cura di P. Di Palmo, 2004), Rimbaud (Da Rimbaud a Rimbaud, 2004) e Virgilio, Il canto d’api. Georgiche Libro quarto (con G. M. Tregiardini, 2012). Ha curato tutte le poesie di Bino Rebellato, In nessun posto e da per tutto. Poesie 1929-2004 e 20 disegni dell’Autore (2005; seconda edizione riveduta, corretta e commentata: 2016); Il lampo della bocca e altre figurate parole tra poeti italiani del Novecento (con G. M. Tregiardini, 2005); La bella scola. La Comedìa di Dante letta dai poeti e illustrata (2003-2014) e la nuova edizione delle poesie di Gino Piva, Cante d’Ádese e Po e Bi-ba-ri-bò (con L. Caniato, 2016).

UN TEMPO NEL TEMPO
A Bino Rebellato

Un tempo nel tempo in cui non ero nato
mi ricordo di essere venuto anch’io
lungo lo stradone
con te e il tuo compagno di quarta
una mattina in bicicletta
sul campanile di Piazza San Marco
a Venezia

e ho ancora nel naso la neve
quando eri nel Brenta
da solo
Mi ricorda l’odore che hanno i tuoi libri
dispersi nelle cantine d’Italia

e quando ti tramutavi e sparivi
nella pianura
e avevi paura
di essere altro, quell’altro che eri
e non conoscevi – io ero dove tu eri

Ma adesso che sono nel tuo tinello
e ti guardo e ti ascolto
come se tu stesso fossi Cima da Conegliano o Chagall
imparo che sei stato tu a darmi il foglio
a dirmi il nome che ancora conservo
come un voler essere ciò che si è stati
e stiamo per essere e si è

SETTE PASSI

Nel famoso girotondo
nel villaggio sugli alberi
è aprile. Le gru ruotano
nel cielo, due anatre avanzano nel grano

e io corro su sparse parole, tracce
come teste di pali
nelle sabbie mobili

Ho in mano una ridicola luce
accesa dal vento

e guardo nell’acqua
verbi divenuti dune
infilzati assiderati

e penso e sogno la vigna di Comenio
e i granai di Bratislava

Sarò, tra poco, al cancelletto di legno
dove arrivava il postino col mare

Gli vado incontro tra gli orti.

VARIAZIONI SU UN TEMA DI MALLARMÉ
Tout à coup et comme par jeu
Mallarmé.
1
Chi saprebbe eguagliare
il riso delle rondini
venute da chissà che
oltremare remoto

se non il nostro sguardo
incantato dal vetro?

Musica che zampilla
nel segreto di un orto
e irrompe e vaga e vòrtica
sulla terra promessa.

2
Chi come il nostro occhio
nel silenzio divampa
esulta rima danza ?

Ottoflautate rondini
plene di festa e grazia.

3
Gioca con me a rincorrermi
a prendermi a toccarmi
e io gioco con te a correre
oltre te oltre per farmi

come te: dice uno
che è muto ma capiamo
tutti che è amore. Un altro
è un bambino che gioca

con sua sorella. Un altro
è la voce di un altro
un’altra, e nessuno
è se stesso, nessuno.

4
D’incanto e come per gioco
eccomi dietro le canne
pioggia o strepitoso fuoco
che sale sulle capanne

appeso alla porta aperta.
Fragore dall’autostrada.
Notte stellata, a coperta.
Perduto, dovunque vada.
Canzone, bevanda oscura
midolla della paura
ombra in cui fu disciolta
la vampa del sole, ascolta:

fa’ che il disgusto e la feccia
si faccia nube, corteccia
la parola, il sangue il male
linfa estiva verticale.

ERO SUL CAMPANILE (Canzone)

Ero sul campanile e chiamavo
l’azzurro vinceva l’azzurro, e le nubi
si mutavano, sempre più bianche nel cielo
spiegavo la mia bandiera nel vento
era azzurra e veniva dall’alto dei comuni
e anche da prima
da stalle
da granai dove si raccoglieva
anche il fiume
e da un mulino sospeso sull’acqua

Ero sul campanile e pensavo
l’azzurro vinceva l’azzurro e le nubi
e i pesci entravano dalle finestre
guizzavano dalle finestrelle
vicino al grano e la farina
Le assi imparavano il gelo di gole
remote, il sasso, i gorghi, le secche

Ero sul campanile e credevo…

Poi scendeva la sera
e, a notte, scioglievano le funi
l’arca si staccava da terra
oscillavano le lanterne
un usignolo di fiume cantava
io ero sul campanile e dicevo
l’azzurro vinceva l’azzurro le nubi

(Al risveglio ero a Cavarzere, a mezzogiorno al mare).

da Nel corpo vivo dell’aria (2009)

L’AMORE CHE PORTO PURO

eri davanti a me ferita
nella selva dei nostri pensieri
ti colava da un fianco e dalla voce una sola
vita di parole e sangue
e il tuo naso i meandri
io impaurito
di ogni abbraccio che disegnavo
con ampi gesti da te intuiti

non siamo?
Non siamo, ciechi, che nobiltà
fatta sguardo e ardore

ma trattenuto sai l’annuncio la fine ogni spigolo
osso io so di te
l’amore che porto puro, e il mito?
le dissolvenze senza veli

nella selva senza veli ferita

MI HAI VISTO?
Venivo dallo Scortico
lungo le rive della tua assenza
e tu eri lì in un bar
dove ero entrato da prima
al buio, baravo e vincevo.

Mi hai visto? La nobiltà e la tua figura sulla soglia,
la veste dipinta per te
da un pittore sublime che non esiste,
il contorno bianco e nero
acerbo

Mi hai visto. Cadevo e ricadevo
e mi risvegliavo in un letto
quasi vicino a te
bambino
poi vecchio poi ragazzo sconsolato

Hai cantato. Una pietra che balza.
Il pavimento a scacchi di una cucina veneziana.
“La mia chioma è sacra”.
Sì mi hai visto. Nove e nove soli,
la volta del cielo scorticata

GIGLIO DELLE RISORGIVE

Con questa luce viene la poesia
che ha generato il mondo
e io la scrivo su questa punta macedone
sulla sabbia
La dedico
al giglio delle risorgive
marinaio muto e felice
fiorito a pochi passi dal sale

Da Berenice (2014)

GOLENA
A Cristina

Nella fontana di luce
che riempie la stanza
mi fermo ad ascoltare
la musica dello stagno e dei platani
delle canne e delle tane di volpe
raccolta insieme in un’ansa
del fiume in secca.

Tra le canne scendono sentieri ai maceri
che gli ontani intorno hanno scoperto
e poi hanno coperto
entrando numerosi nell’acqua.

Tutto ruota, camminando, e Alza gli occhi,
mi dici, vibrano come uno sprazzo
giovani uccelle nel cielo azzurro.

Davanti, un campo arato
e qualche filare, e gemme tese di salice.
Le case in golena hanno finestre che arrivano al tetto,
da una di quelle finestre
mi sporgo e ti chiamo.

L’aria è così tersa che prende fuoco,
nel buio veneziano.

CANONICA
A mia zia Leda, sorella di mia madre

Le ore infinite nello spiazzo dell’asilo
dietro un pallone
o è notte
o pioggia o nebbia
e il silenzio da cui sottovoce chiamano i morti
nel cimitero vecchio
dietro la canonica: loro
SANNO DI TE

o è vicolo Fabio Filzi lastricato di sassi di fiume ed erba,
i lampioni gettano una luce che si allunga
sulle scale
hai visto il tempo favoloso dei giorni
e quello straniero della storia

io l’ho imparato dalle tue gambe
sghembe
dal volto che si inteneriva
dagli occhi buoni
dalla follia
che trascorreva nei colpi secchi
del tuo parlare antico

il marmo crepato delle due chiese
le candele consumate
la voce delle campane
SANNO DI TE

Qualcosa che si sente e si capisce
dopo, quando non c’è più

CIUZO E CIARO
Arrivano in coppia a piedi con una
graziella a mano parlando sospesi
tra la legge Basaglia e il nulla in via Orti
i matti,

dalle caldaie dall’oratorio
dai polli dalle bietole da tutti
quei letti tutti quei bottoni
rovesciati per terra.

Parlano una lingua indecifrabile a
brandelli tra la guerra e l’alluvione.
Mi muovo tra i mattoni
crollati del fienile

e l’edera si arrampica ed inghiotte
le case, sacra a Dioniso.
Erano in due,
parlanti in una lingua

ignota Ciuzo e Ciaro e barcollavano
come fossero brilli
scampati fuori tempo
i parenti cangianti della luce

dell’aria della terra
e delle lentarine
nel fosso, di quello che c’è – e poi
scompare.

Lentarine (Alto Polesano): lenticchie d’acqua, frequenti negli stagni e nei fossi.
Da un libro inedito.

Marco Munaro è nato a Castelmassa nel 1960, vive a Rovigo, dove insegna. Si è laureato a Bologna in Lettere moderne nel 1984. Nel 2003 ha fondato “Il Ponte del Sale – Associazione per la Poesia”. Ha pubblicato le raccolte poetiche: L’urlo (1990), Cinque sassi (1993), Il Rosario del Lido (1995), Il portico sonoro (1998), Vaso blu con narcisi (2001), Ionio e altri mari (2003), Nel corpo vivo dell’aria ( 2009), Berenice (2014), L’arciere piumato (2015). Ha tradotto Rimbaud e Virgilio. Sue poesie sono tradotte in inglese, finlandese, spagnolo, polacco.

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